Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Le storie che seguono sono vagamente ispirate a fatti reali. Se qualcuno vorrà riconoscersi nei diversi personaggi lo farà per propria scelta, e a proprio rischio e pericolo. Questo libro non parla di nessuno in particolare ma forse di tutti noi, e certamente parla del sottoscritto, del quale costituisce una sorta di autoritratto divertito e disperato. Anche se, a dire il vero, qui non ci si dispera troppo, né troppo si spera; vi si accetta che il mondo è inesatto, e noi con lui
Un giovane direttore mi invita ad una tavola rotonda che si tiene nella fiera che dirige. Per tre anni di fila rifiuto con scuse varie, tipo la prole, la febbre, un funerale. Il quarto anno devo accettare. Un mese prima, pentito di aver accettato perché ormai mi pesa perfino uscire di casa, scrivo al mio amico e gli dico che la cosa non s’ha da fare. E quindi lui comincia con una tirata impossibile sulla professionalità (figuriamoci), sull’amicizia (figuriamoci), sul rispetto (figuriamoci), sull’importanza della mia presenza (figuriamoci). Mi mette alle strette, provo a tergiversare e poi gli chiedo di avere pietà di me, fino a quando – sembratomi inamovibile – finalmente vuoto il sacco. Dico al mio amico che non credo alle tavole rotonde, ai talk, alle conferenze e al teatrino dell’arte. Non ho più nulla da dire, ecco qui. Aggiungo che capisco il suo punto di vista, che anch’io quando è stato il momento ho fatto la mia parte, esattamente come lui, ma ora non ne posso più. Mi sento al capolinea.
Il direttore rimane in silenzio, penso di non averlo convinto ma spero di averlo almeno commosso. E non appena ho finito di vuotare il sacco mi dice con fare sbrigativo: va bene dai, devi essere depresso, ne parliamo il prossimo anno. A quel punto, amico mio, non potrai rifiutare.