Capsule Digitale

Arte astratta

Le storie che seguono sono vagamente ispirate a fatti reali. Se qualcuno vorrà riconoscersi nei diversi personaggi lo farà per propria scelta, e a proprio rischio e pericolo. Questo libro non parla di nessuno in particolare ma forse di tutti noi, e certamente parla del sottoscritto, del quale costituisce una sorta di autoritratto divertito e disperato. Anche se, a dire il vero, qui non ci si dispera troppo, né troppo si spera; vi si accetta che il mondo è inesatto, e noi con lui

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Con il collezionismo lei ha chiuso

Oggi ho pranzato con M.F.W., la quale è arrivata al ristorante carica di una energia sopra le righe, come una massa d’acqua pronta a far esplodere una diga. È una energia senza direzione, che mi imbarazza e mi tiene sulle spine. Si è spalmata del glitter mezzo centimetro fuori dalle sue labbra sottili, perennemente screpolate. La sua storia è semplice e come la vita di tutti noi tende al cliché. I suoi due figli maschi, allevati con le migliori cure, sono partiti per studiare a Londra: e dopo il vuoto. Non sapendo bene cosa dire le chiedo del suo ex marito, e lei – con un gesto rapido della mano come a scacciare una mosca – risponde che tutto questo è passato, che non ricorda più, che non ha nessuna importanza. È tornata a studiare – questa la grande novità – e purtroppo temo di sapere anche cosa: “Frequento un master in arte ed economia all’Università di Losanna” mi dice, come illuminata. Frequenta il corso due volte alla settimana e non le rimane il tempo di fare nulla, è troppo indaffarata. Tutti la cercano e le chiedono qualcosa: organizzare un vernissage, curare la comunicazione di una galleria, fare le pubbliche relazioni di un ristorante. Ovviamente non presterà i propri servigi per un semplice ristorante: si tratta di un nuovo “concept”, un simpatico posticino che sarà aperto per soli 15 giorni, senza repliche. Il locale istantaneo è l’idea di un cuoco autodidatta ma geniale, esperto di musica jazz e direttore di una fiera d’arte. Costui è persona di talento, uno che in qualche modo mi assomiglia, sentenzia sicura.

Si felicita – tornando a me con rinnovata complicità – per la mia ultima mostra. Finalmente, aggiunge, sei riuscito a fare una collettiva rilevante, sento che vorrebbe aggiungere un aggettivo indimenticabile ma non trova la parole. Quindi preferisce tornare subito a sé stessa. Non considera più interessante comprare arte, investire tanti denari per entrare in possesso di opere destinate a un oscuro deposito di periferia. Con il collezionismo lei ha chiuso, adesso è tempo di mettere al centro gli artisti. Al centro di che cosa? provo a chiedere. Al centro dell’interesse della gente, nella fattispecie di un gruppo di collezionisti amici suoi, una sorta di club esclusivo, i quali sarebbero felici di essere intrattenuti per qualche ora dall’autore delle opere che comprano. A questo punto ordina un’insalata di carote che mangia compunta e svogliata come sbrigando un’ordinanza comunale. Piccoli frammenti di carota continuano a caderle dagli angoli della bocca, a intermittenza regolare; somigliano a una pioggia di refusi, i quali – precipitando – accompagnano la regressione del linguaggio a cantilena. Ora si offre di aiutarmi, anche a titolo gratuito, a fare non sa bene che cosa. Ma è con il caffè che arriva il momento della confessione, mentre mi sfiora con fare disinvolto l’avambraccio, come fosse un suo inappellabile diritto biologico. Spero niente di troppo privato, provo a buttare li sorridendo, e lei mi dice: “Ma figurati. Volevo solo farti sapere – e spero non me ne vorrai per questo – che io ho un problema con l’arte astratta”.