Capsule Digitale

Le Mille e una Notte di Kathelin Gray

Kathelin Gray non è solo una meravigliosa testimone della storia segreta della cultura degli ultimi decenni, ma un’avventurosa esploratrice che dal suo grande maestro Burroughs ha colto la lezione più urgente: cambiare la vita è un modo per sfuggire all’Apocalisse imminente. Gianluigi Ricuperati  l’ha incontrata a New York e Londra in due diversi pomeriggi dell’autunno più caldo degli ultimi secoli

Social Share

Tangeri

‘Tangeri è una città nella quale camminando sembra di cadere’ è una delle tante splendide frasi di William Burroughs, del quale ad agosto si sono festeggiati vent’anni dalla morte, e che sempre di più appare come una delle menti fondanti della condizione artistica e mentale contemporanea. La stessa cosa – pensare di camminare, e invece cadere – succede con la storia culturale, una sequenza piena di cliché e icone abusate, se non si percorrono le strade, che spesso sono le più segrete e ben custodite. Una delle vie preziose e feconde per raccontare il XX Secolo della cultura e della controcultura porta il nome e le sembianze di una donna americana sospesa fatalmente tra i 60 ei 70, chiamata Kathelin Gray, residente a Santa Fè, New Mexico, ma cittadina del mondo delle idee e delle utopie realizzabili.

 

Le Mille e una Notte del viaggiatore culturale

[Gianluigi Ricuperati] Kathelin, la sua vita sembra le Mille e una notte del viaggiatore culturale: com’è entrato in contatto con un tardo viaggiatore con la personalità più straordinaria del Novecento ?

[Kathelin Gray] Sono nata in California. Mio padre insegnava scienza dei computer a Stanford, negli anni Quaranta e Cinquanta, e mia madre era un’intellettuale curiosa e amante di tutto ciò che sembrava nuovo e strano: uno dei suoi migliori amici era Neal Cassady, quindi con lei da bambina respiravo l ‘ aria anticonformista che informa la comunità letteraria di San Francisco dell’epoca. Ma a dire il vero il momento fondamentale è stato quando i miei mi hanno lasciata da sola, sulla West Coast, per trasferirsi a New York, nel 1966.

[GLR] Quanti anni aveva?

[KG] Quindici. È stato lì che è iniziato tutto: avevo l’età giusta ed era il tempo giusto per sperimentare: amavo la musica e suonavo il pianoforte, e rimasi incantata la prima volta che un’amica mi fece ascoltare un disco di Cecil Taylor, uno dei grandi avanguardisti del jazz di quegli anni. Frequentando i concerti capitavano cose strane. Un giorno andammo ad ascoltare band, io ero in prima fila e portavo sulla fronte il indiano che poi potrebbe segno adottare tanti giovani occidentali dopo il ’67, batterista mi osservava, ricambiato, e al termine del concerto mi invitò a salire così sul palco , io pensavo di incontrare lui ma inaspettatamente mi disse “ti presento una persona con cui andrai d’accordo, si chiama Keith e fa il pianista.”

Keith Jarret Piano, GI Gurdjeff, copertina della discoteca “Sacred Himns” registrato nel marzo 1980, Tonstudio Bauer, Ludwigsburg, ingegnere: Martin Wieland, prodotto da Manfred Eicher. (ECM 1174)

Keith Jarrett

[GLR] Era Chi?

[KG] Era Keith Jarrett, col quale con un’amicizia lunghissima, che mi ha addirittura portato ad aiutarlo a registrare il famoso disco con musiche di Gurdjeff.

[GLR] Gurdjeff l’esoterista?

[KG] Sì! Negli anni Settanta, quando ormai la fama di Keith aveva raggiunto vette straordinarie, ci capitarono tra le mani questi spartiti rarissimi di composizioni scritte da Gurdjeff. Il cosmo dei seguaci di Gurdjeff era strano e fascinoso, come si può immaginare anche misterioso: così ritrovai a Parigi alla fine degli anni Settanta per chiedere l’autorizzazione a quelle musiche per la ECM, nella splendida casa della più importante allieva di Gurdjeff , la mistica svizzera-francese Jeanne De Salzmann, che con nostra sorpresa ci ha dato l’autorizzazione a proseguire nell’impresa. Nei crediti dell’album il mio nome non c’è, sostituito da un nome de plume.

[GLR] Perché?

[KG] Non mi è mai piaciuto stare sotto i riflettori, e poi forse c’entra anche un po’ di snobismo e pazzia giovanile. In ogni caso la mia vita a quel tempo ricordava da vicino il titolo del più importante libro di Gurdjeff, ‘Incontri con uomini straordinari’.

William Burroughs – Nova Express – Sugar editore – [stampa: Tipografia F.lli Ferrari – Milano], 1967, copertina psichedelica a due colori con il ritratto fotografico dell’autore. Traduzione di Donatella Manganotti. Pubblicato per la prima volta nel 1964. Prima edizione italiana 1967.

William Burroughs

[GLR] Fu allora che conobbe Burroughs.

[KG] Un po’ prima: nel 1974. Avevamo iniziato insieme ad alcuni amici che ancora frequentio e amo a lavorare a questa specie di santuario delle idee nel deserto, in un ranch a Santa Fè nel quale ancora oggi: invitavamo chi ci pareva e cercavamo di realizzare cose impossibili, o perlomeno interessanti. Una delle persone cui scrivemmo fu William Burroughs, che consideravo un eroe culturale e un artista straordinario anche in virtù del lavoro fatto col pittore Bryon Gysin.

[GLR] E Burroughs ha risposto subito ?

[KG] Fu gentilissimo, accettò con entusiasmo: così gli comprammo un biglietto aereo e andai a prenderlo. Mi aspettavo di incontrare il Dr.Benway di ‘Nova Express’, o l’inquietante autore in impermeabile delle foto che circolavano allora, e quando il suo volo fu atterrato non vedendo nessuno vestito in quel modo pensai che ci aveva dato buca: finché non mi accorsi che in fondo alla sala d’aspetto degli arrivi, con una valigia molto ordinaria ei pantaloni corti e la camicia da turista, c’era un uomo che assomiglia molto all’autore del Pasto Nudo.Così ci salutammo, salimmo in auto e la prima cosa che ci domandò fu di andare a comprare vodka e coca-cola, visto che lo invitavamo per una residenza e sarebbe rimasto qualche giorno in un luogo che secondo lui non era provvisto delle cose essenziali per la sua vita quotidiana.

[GLR] Com’era Burroughs?

[KG] Un continente: difficile definirlo in poche parole. Era un uomo dai modi straordinariamente formali, ma dotato di uno humor quasi extraterrestre, come se vedesse le cose dal punto di vista di un rettile o di uno strano animale: non amava molto le persone, e pensavo anche che avesse un problema con le donne , un problema di misoginia, forse dovuto al famoso incidente con la moglie (nel 1951 il giovane Burroughs e la moglie, in preda a droghe e alcol, giocarono a ‘Guglielmo Tell’ e lei mori a causa di un colpo sparato dal fucile del futuro scrittore).

[GLR] Ed era vero ?

[KG] Glielo chiesi, un giorno, mentre eravamo lì nel New Mexico, durante quel primo incontro: fu grazie alla mia curiosità che nacque la nostra amicizia, perché per qualche ragione l’innocenza o la sguaiatezza delle mie parole riuscirono a infrangere la strabiliante impenetrabilità: mi guardava, e scoppiò a piangere, abbracciandomi fortissimo. Disse che sua moglie l’amava moltissimo, e che non avrebbe mai voluto farle del male, e che quell’incidente era la cosa peggiore che gli fosse mai capitata. Da lì scattò qualcosa tra di noi, e non ci separammo più, come amici, fino alla sua morte.

[GLR] C’è qualcosa di Burroughs nei progetti in cui è coinvolta adesso, o è stata coinvolta in passato. Penso a Eraklitus*, o Biosphere2.

[KG] C’è qualcosa di Burroughs in tutti noi, credo: era un rabdomante. Per questo gli piaceva il deserto. Senza di lui non avrei mai posseduto la libertà e il coraggio che ci vuole per imbarcarsi in imprese assurde e ambiziose. Burroughs era interessato alla mitologia dell’età spaziale, e Biosphere ed Eraklitus sono figli dell’atmosfera mentale che lui incarnava: un’investigazione continua della mente umana e della tecnologia della vita. Conserva ancora un dipinto che mi ha regalato, dovuto mani su sfondo argenteo che mirano alle stelle.