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Sibilla Aleramo e Dino Campana, lettere #4

Dal carteggio di Sibilla Aleramo e Dino Campana

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Casetta di Tiara, Firenzuola, vedutine 1920 ca.

Epistola VII
Sibilla a Dino

Villa La Topaia, Borgo S. Lorenzo, 31 luglio – 1 agosto 1916

Mio caro Cloche,
incomincio a farmi un’idea della topografìa dei nostri rispettivi eremi. Dal canto vostro avete da sapere che io mi trovo più vicino a Panicaglia che a Borgo. Alla stazione di Panicaglia si va in 15 minuti attraverso i campi, mentre a quella di Borgo ci vuole un’ora buona. Vi direi di venire voi senz’altro, ma vedo che preferite che venga io costà, e va bene, poiché sperate che il posto m’invogli a tornare. Prenderò dunque l’automobile a S. Piero giovedì mattina alle sette e scenderò a Rifredo, a meno che il conduttore non mi dica che Barco vien prima, nel qual caso voi m’aspetterete a Barco, sta bene? Non occorre rispondiate, se va bene. E io spero che nulla m’impedisca di venire ‘. Forse resterò anche la sera – siamo poeti notturni, le stelle ci propizieranno l’avvenire -. Se foste venuto qui, la prima impressione che v’avrei fatta sarebbe stata forse migliore, senza cappello e tutti gli altri imbarazzi del viaggio… Ridete? Ma voi mi prospettate la vostra testa rossa e la vostra aria da gentil garzoni…
Mio caro Campana. Ho un tono scherzoso, ma voi sentite quanto in realtà sia profonda la mia tenerezza. Vi ringrazio d’avermi scritto quelle parole sul dolore patito a Marradi. Vi saprò dir poco, a voce, sono una silenziosa, ma vedrete che il travagliato nodo della mia anima lascia tuttavia al mio volto e al mio silenzio un poco di chiarità.

Vostra Sibilla

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Epistola IX
Sibilla a Dino

Villa La Topaia, Borgo S. Lorenzo, domenica-lunedi, 6-7 agosto 1916

Perché non ho baciato le tue ginocchia?
Avrei voluto fermare quell’automobile giù per la costa, tornare al Barco a piedi, nella notte, che c’è il tuo petto per questa bambina stanca.
Tornare. Come una bambina, questa del ritratto a dieci anni. Non quella che t’ha portato tanto peso di storie di memorie affannose, che t’ha parlato come se stesse ancora continuando il suo povero viaggio disperato, come se non ti vedesse, quasi, e non vedesse lo spazio intorno, le querele, l’acqua, il regno mitico del vento e dell’anima Tu che tacevi o soltanto dicevi la tua gioia. Sentivi che la visione di grandezza e di forza si sarebbe creata in me non appena io fossi partita? Nella tua luce d’oro. E non ho baciato le tue ginocchia.
I nostri corpi su le zolle dure, le spighe che frusciano sopra la fronte, mentre le stelle incupiscono il ciclo.
Non ho saputo che abbracciarti. Tu che m’avevi portata cosi lontano. Che il giorno innanzi ascoltavi soltanto l’acqua correr fra i sassi. Oh, tu non hai bisogno di me!
È vero che vuoi ch’io ritorni? Come una bambina di dieci anni. È vero che mi aspetti? Rivedere la luce d’oro che ti ride sul volto. Tacere insieme, tanto, stesi al sole d’autunno. Ho paura di morire prima. Dino, Dino! Ti amo. Ho visto i miei occhi stamane, c’è tutto il cupo bagliore del miracolo. Non so, ho paura. È vero che m’hai detto amore! Non hai bisogno di me. Eppure la gioia è cosi forte. Non posso scriverti. Verrò il 19. dovunque. Il 14 resterò qui; a Firenze andrò poi per un giorno. Son tua. Sono felice. Tremo per te, ma di me son sicura. E poi non è vero, son sicura anche di te, vivremo, siamo belli. Dimmi. Io non posso più dormire, ma tu hai la mia sciarpa azzurra, ti aiuta a portare i tuoi sogni? Scrivimi.

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Epistola X
Dino a Sibilla

Casetta di Tiara, Firenzuola, 7 agosto 1916

Leggo il Rubayat di Ornar Kaimar. Questo libro è eccellente e ben tradotto. Benché vi abbia appena stretto la mano bella dubitosa vi vedo qua in fondo ai pensieri e in fondo al paesaggio. Pura bellezza oro dell’occaso qualche cosa che conta nella solitudine dice Ornar Kaimar e dice bene, nella febbre del crepuscolo tra i grandi boschi.

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