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book to book 10: 100 Artists’ Manifestos

Il manifesto – inteso come foglio d’intenti, strillone che condensa il programma di un gruppo d’artisti o scrittori o architetti – è stato uno dei generi letterari fondanti del XX Secolo

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La copertina del libro “100 Artists’ Manifestos : From the Futurists to the Stuckists, Alex Danchev, Penguin Modern Classics, 2011

Alex Danchev, ph. Steve Black

100 Artists’ Manifestos : From the Futurists to the Stuckists, Alex Danchev

Il manifesto – inteso come foglio d’intenti, strillone che condensa il programma di un gruppo d’artisti o scrittori o architetti – è stato uno dei generi letterari fondanti del XX Secolo: il punto di fusione capace di sintetizzare in un solo strumento retorico l’influenza dell’epoca industriale e della società di massa sull’alveo della vita intellettuale, l’equazione instabile fra élites e grandi numeri, il rapporto di forza esistente fra le ambizioni di pochi individui che ‘vedono tutto’ e una macchina sociale che tutto sente, tutto addomestica e tutto dimentica. Ha ancora senso, in un’età che tende clamorosamente verso il fluido e l’immateriale, il peso piombato delle parole dei Dada? Chissà – ma è interessante rispondere affrontando l’intero spettro di manifesti concepiti nel ‘900, dal surrealismo al lettrismo, antologizzati da Alex Danchev* in un bel volume grigioperla pubblicato nel 2011 (100 Artists’ Manifestos, Penguin Modern Classics, 12 sterline e 99).

Si trovano davvero tutti i manifesti che hanno contato qualcosa, e anche quelli che avrebbero meritato di contare di più. Ci sono i classici, com’è naturale, ma anche importanti variazioni come ‘Il manifesto futurista della lussuria’ di Valentine Saint-Point, del 1913, o il ‘manifesto femminista’ di Mina Loy. Ci sono curiosità magnifiche come il ‘Mavo manifesto’ del 1923, a cura di un gruppo di artisti e intellettuali giapponesi capeggiati da Tomoshoy Murayama. E ovviamente si giunge fino al postmoderno, con la rivalutazione-condanna che Rem Koolhaas fa in Delirious New York con il suo ‘Manifesto retroattivo per New York’, del 1978, e i formidabili esperimenti di Gilbert & George, e con le incursioni di Dogma 95, di Lars Von Trier, oltre alla Minnesota Declaration di Werner Herzog, del 1999 – con cui si chiude il secolo.

Alex Danchev ha assegnato a ogni testo una lettera con numerazione progressiva, M1, M2, etc. A rileggerli in ordine cronologico, arrivando fino al centesimo, si prova un brivido indimostrabile – proprio come le asserzioni aggressive di qualsiasi manifesto che si rispetti: che queste parole siano il vero rumore del precipizio storico, e che domani verranno lette come ieri si leggevano i libri dei profeti – il super-andante alato e violento che ha prodotto il futuro quando è stato immaginato dai migliori umanisti del mondo. Ecco un compito per gli umanisti attuali – aiutare gli ingegneri delle rivoluzioni digitali a cantare nuovi manifesti degni di questa storia.

Le prime tre edizioni in volantino del manifesto di Valentine de Saint-Point: Manifeste de la Femme futuriste, 1912. La prima è in francese del marzo 1212, la seconda in tedesco esce in maggio, infine l’italiana in luglio

Valentine de Saint-Point, Manifesto futurista della Lussuria
Milano, Direzione del Movimento Futurista, 1913

MAVO 1, Jul 1924

Due pagine interne di “Delirious New York, Un manifesto retroattivo per Manhattan”, Rem Koolhaas, 1978