Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Il manifesto – inteso come foglio d’intenti, strillone che condensa il programma di un gruppo d’artisti o scrittori o architetti – è stato uno dei generi letterari fondanti del XX Secolo
Il manifesto – inteso come foglio d’intenti, strillone che condensa il programma di un gruppo d’artisti o scrittori o architetti – è stato uno dei generi letterari fondanti del XX Secolo: il punto di fusione capace di sintetizzare in un solo strumento retorico l’influenza dell’epoca industriale e della società di massa sull’alveo della vita intellettuale, l’equazione instabile fra élites e grandi numeri, il rapporto di forza esistente fra le ambizioni di pochi individui che ‘vedono tutto’ e una macchina sociale che tutto sente, tutto addomestica e tutto dimentica. Ha ancora senso, in un’età che tende clamorosamente verso il fluido e l’immateriale, il peso piombato delle parole dei Dada? Chissà – ma è interessante rispondere affrontando l’intero spettro di manifesti concepiti nel ‘900, dal surrealismo al lettrismo, antologizzati da Alex Danchev* in un bel volume grigioperla pubblicato nel 2011 (100 Artists’ Manifestos, Penguin Modern Classics, 12 sterline e 99).
Si trovano davvero tutti i manifesti che hanno contato qualcosa, e anche quelli che avrebbero meritato di contare di più. Ci sono i classici, com’è naturale, ma anche importanti variazioni come ‘Il manifesto futurista della lussuria’ di Valentine Saint-Point, del 1913, o il ‘manifesto femminista’ di Mina Loy. Ci sono curiosità magnifiche come il ‘Mavo manifesto’ del 1923, a cura di un gruppo di artisti e intellettuali giapponesi capeggiati da Tomoshoy Murayama. E ovviamente si giunge fino al postmoderno, con la rivalutazione-condanna che Rem Koolhaas fa in Delirious New York con il suo ‘Manifesto retroattivo per New York’, del 1978, e i formidabili esperimenti di Gilbert & George, e con le incursioni di Dogma 95, di Lars Von Trier, oltre alla Minnesota Declaration di Werner Herzog, del 1999 – con cui si chiude il secolo.
Alex Danchev ha assegnato a ogni testo una lettera con numerazione progressiva, M1, M2, etc. A rileggerli in ordine cronologico, arrivando fino al centesimo, si prova un brivido indimostrabile – proprio come le asserzioni aggressive di qualsiasi manifesto che si rispetti: che queste parole siano il vero rumore del precipizio storico, e che domani verranno lette come ieri si leggevano i libri dei profeti – il super-andante alato e violento che ha prodotto il futuro quando è stato immaginato dai migliori umanisti del mondo. Ecco un compito per gli umanisti attuali – aiutare gli ingegneri delle rivoluzioni digitali a cantare nuovi manifesti degni di questa storia.