Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Eleonora Marangoni è titolare di una prosa che ammiro per intenzione, ampiezza di raggio, coltivazione: forse la più curiosa, stratificata, aerea e volteggiante tra quelle della nuova scrittura italiana, e dovrei dire europea, perché l’orizzonte dei suoi libri è sempre ben aldilà dei confini astiosi nazionali
Gli interessi dei libri di Eleonora Marangoni** sono idoli sottoposti alla pressione di un remix che è al contempo psicologico, sociale, culturale, come le canzoni di Bowie ripensate in sala di montaggio dal fedele produttore Tony Visconti per ‘Moonage Daydream’, lo splendido film documentario di Brett Morgen uscito qualche mese fa, nel quale un pezzo del 1969 si insinua una vocina del 2016, cosicché gioventù e morte si tengono a braccetto in distese spesso imprevedibili di suoni e ritmi completamente diversi dall’originale. Eleonora Marangoni ha scritto di Monica Vitti, di Parigi, delle figure di schiena nell’iconologia di ogni epoca – e, in questo volume appena ristampato da Feltrinelli ma uscito diversi anni or sono con un diverso editore, di Proust e dei suoi pittori, o meglio, delle avventure cromatiche della Recherche.
Il testo accompagna con brevi testi un ricco apparato di immagini, ma è – appunto – un vero testo recit nel senso perfettamente francese della parola, un testo che è assieme peso e spirito, saggio e divagazione. Si impara leggendolo che le spose non si sono sempre vestite di bianco, e che esiste una passerella attitudinale tra l’artista americano Edward Hopper e la vocazione intima del capolavoro proustiano. Si imparano molte cose, ma si gioisce soprattutto del divagare tra le forme e i colori, tra l’assoluta adorazione del narratore per Vermeer e la sua Veduta di Delft e un reticolo finito ma infinito di riferimenti, apparizioni, tinte, sfumature, timbri che volano verso l’alto o virano verso il basso, come un tubetto di colore che emetta il barrito di un trombone.
La Recherche è puntellata con ostinata varietà da citazioni musicali e pittoriche, e all’inizio dei Guermantes il narratore addirittura sembra persino sapere – perché lo scrive – cosa siano i ‘cattivi pittori’ (quelli che lavorano usando la memoria volontaria, anziché lasciarci incantare dalle bocche improvvise aperte da quella involontaria).
Aggiungo che la delizia de “I colori del tempo” arriva nella fuga finale, un paratesto non più composto di parole e paragrafi ma di schemi, una sorta di griglia Excel sulle cromie ‘pantone’ estratte da ogni singolo quadro emerso dalla schiuma miracolosa della Recherche.
Quando un’opera riesce a un tempo solo ad avvicinare a un capolavoro assoluto della letteratura e al misterioso gusto per la flanerie museale, instillando il desiderio di camminare per ogni pinacoteca al mondo, bisogna salutarlo con felicità ed eccitazione.