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Book to book 3: Melville on Melville

Uno dei più significativi libri-intervista mai pubblicati, oggi che le interviste agli artisti sono diventate un vero e proprio caposaldo della produzione di contenuti intorno alle arti vale la pena di tornare ai capolavori del genere: il rapporto tra intervistato e intervistatore deve essere di fiducia e comprensione reciproca, come quello di due compagni di viaggio, così succede tra il critico cinematografico portoghese naturalizzato francese Rui Nogueira Eugenio e il regista francese Jean Pierre Melville
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Jean-Pierre Melville

Melville on Melville by Rui Nogueira (Viking Press, 1972) Il cinema secondo Melville, di Rui Nogueira (Le Mani, 1994)
Questo è uno dei più significativi libri-intervista mai pubblicati, oggi che le interviste agli artisti sono diventate un vero e proprio caposaldo della produzione di contenuti intorno alle arti vale la pena di tornare ai capolavori del genere: il rapporto tra intervistato e intervistatore deve essere di fiducia e comprensione reciproca, come quello di due compagni di viaggio, così succede al critico cinematografico portoghese naturalizzato francese Rui Nogueira Eugenio e il regista francese Jean Pierre Melville*, autore di alcuni dei più straordinari film mai realizzati tra cui forse il più bel film sulla resistenza al nazifascismo mai girato, L’armee Des ombres del 1966 (distortamente tradotto da noi ‘L’armata degli eroi’) capace di unire la metafisica del dettaglio di un Bresson con la potenza narrativa del ‘polar’ (thriller), di cui si può definire il padre assoluto, nonché fratello maggiore si tutti i registi della Nouvelle Vague.
Melville è il mio regista preferito, ogni anno rivedo tutti i suoi film perché si tratta di opere magistrali nell’economia narrativa nella messa in scena, nella necessità ed esattezza dei dialoghi, nella direzione degli attori, nella malcelata urgenza metafisica. Consiglio a chiunque pratichi qualsiasi forma artistica o espressiva di fare lo stesso, e tradurre nel proprio linguaggio gli insegnamenti tramandati da lungometraggi come Le Samurai del 1967 (comicamente tradotto da noi ‘Frank Costello faccia d’angelo’), oppure ‘Le cercle rouge’ del 1970 (bizzarramente tradotto da noi ‘I senza nome’):
1) mai piegare la propria visione di cliché di un genere, semmai fare il contrario
2) rispettare sempre chi legge fruisce ascolta, ma sapendo che è l’autrice o l’autore a guidare
3) non dimenticare mai che si fa un lavoro per esprimere qualcosa di autentico intorno all’esperienza di essere vivi
4) dimenticare l’egocentrismo in favore dell’opus-centrismo.
Quest’ultima frase, in realtà, più che dalla visione dei film di Melville, viene fuori dalla lettura del libro di Nogueira: è infatti il regista, nell’ultimo capitolo (ogni capitolo è dedicato a uno dei tredici film girati in vita da Melville, nato nel 1917 e morto d’infarto in un ristorante parigino nel 1973), a discutere il proprio complesso rapporto con le troupes e le maestranze dell’industria cinematografica dell’epoca definendosi non ego-centrato, ma ‘opus-centrato’, nel senso che ogni centimetro di attenzione energetica della vita si trasferiva puntuale nella costruzione dell’opera, e tale ossessività a volte rendeva tirannici i rapporti con i collaboratori.
Mai con gli attori, però, che adorava e rispettava e accarezzava fino a trarne perfomance pressoché perfette, e parliamo di alcuni dei più formidabili nomi del cinema europeo del XX secolo, da Belmondo a Lino Ventura, oltre al magnifico Alain Delon che proprio Melville ha consegnato alla Storia con i ruoli eccezionali nei suoi ultimi lavori – mentre è gustoso leggere i rimbrotti riservati a Gian Maria Volontè, dal quale lo divideva anche la politica, visto che di fondo Melville è rimasto ‘gollista’ fino alla fine, non solo nei cinque anni in cui ha militato attivamente nella resistenza sotto la guida del Generale de Gaulle (anche su questo ha la mia simpatia, ma non importa).
Melville, oltre che fenomenale regista, è stato anche una figura molteplice: produttore di se stesso, curatore ante-litteram che a partire dal nom-de-plume adottato dal romanziere americano ha trasferito la potenza della grande letteratura nel fare cinema, sceneggiatore, nottambulo, appassionato occhio divoratore di dettagli della cultura materiale del suo tempo (nei film degli anni ‘60 appare una vera e propria summa del miglior design e ‘decor’ modernista, e tecnologica, del periodo).
Il libro* di Nogueira – che si trova solo in edizioni originali ma a prezzi abbordabili su piattaforme varie – va ristampato con urgenza, perché si tratta di un esempio luminoso di fraternità costruttiva tra critico e artista, ma anche di una modalità esemplare di trasformarsi in megafono per la voce di qualcuno che si ammira senza condizioni.