Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Geoff Dyer* è un campione assoluto di desiderio – ha preso alla lettera l’indicazione di Duchamp, inventate un formato nuovo a ogni mostra, adattandola alla scrittura e allo slittamento progressivo della voglia di inventare nuovi generi, delle forme, delle intenzioni
È chiaro a ogni libro nuovo che mette a punto, ciascuno diverso dal precedente e irriducibile rispetto alle categorie – ed è chiaro anche frequentando l’autore a Londra, e sorprendendolo a proprio e perfetto agio durante una festa dall’architetto Richard Rogers, oppure a una celebrazione del suo maestro completo John Berger, o a una pensosa riflessione radiofonica sul rapporto tra fotografia e letteratura. Zona – a book about a film about a journey to a room, pubblicato in Inghilterra e negli Stati Uniti nel 2012, è una lunga descrizione di un film – del film, per molti cinefili: Stalker di Andrej Tarkovskij, uno dei più impressionanti di sempre. Ogni pagina o quasi è poi divisa a metà da una linea tipografica che separa il testo dalle note, anche se chiamarle ‘note’ non rende giustizia all’ardimento di Dyer, visto che si tratta di un secondo testo, parallelo e subsequente, un embrione narrativo che ogni quattro passi ne fa uno all’interno della propria sacca. E nella sacca ci sta il mondo intero: memorie, divagazioni, analogie, arguzie, sciocchezze anche, affondi auto indulgenti e autentiche meraviglie. Da una parte si racconta passo a passo, scena dopo scena, tutte le immagini di Stalker e dello Scrittore, e di come si avvicinano inesorabilmente alla Zona, il luogo dove tutti i desideri dell’uomo divengono realtà. Dall’altra ci sono la somiglianza della moglie dell’autore con un’attrice del remake di Solaris, altro caposaldo del regista sovietico, oppure la voglia di fare sesso con due ragazze insieme, ma anche la parsimonia del padre, il piccolo mondo dei cinèphile ragazzini nella Gran Bretagna degli anni Settanta, i consigli agli aspiranti cineasti di Robert Bresson, e decine di illuminazioni incantevoli.
È una modalità di lettura eccitante e disorientante, che ci obbliga a scarti improvvisi e nervosi, simili a quelli che sperimentiamo quando stiamo per addormentarci e la testa scatta in avanti. Ecco – la scrittura di Dyer fa scattare la mente in tutte le direzioni consentite dalla curiosità, proprio perché sovrappone a una griglia chiara e quasi noiosa-sublime (Stalker) la furia controllata di tutto ciò che si sfrega contro un oggetto al quale decidiamo di piegare tutta la nostra attenzione. È una prosa ordinata e piena di ascisse deliranti e buffe, sornionamente ilari, improntate a una lieve comicità da cornice provinciale colta britannica: la gabbia tipografica, una sottile linea nera che separa le due isole testuali, era già stata sperimentata da Dyer in un vecchio bellissimo libro su D.H. Lawrence e in un altro volume sulla Battaglia della Somme (quale fantastica varietà di argomenti!). Dyer non istituisce alcuna gerarchia tra l’occhio che guarda Tarkovskji e l’occhio bendato che come in un ‘Notturno’ dotato di ironia: i due io che affollano questo ‘memoir dell’immagine-tempo’ abitano uno spazio di clamorosa ed egualitaria convivenza.
A pagina 109 dell’edizione cartacea inglese si legge: “Sarebbe delizioso se alla fine della propria vita si potessero rivedere i luoghi in cui hai perduto i dieci o venti oggetti cui tenevi di più, o se ci fosse un film in cui assistere al momento in cui il tuo sé più giovane, un po’ ubriaco, al Festival di Adelaide, si alza dal suo tavolo e si allontana, mentre la borsa Freitag, così piena di stile nei suoi toni di grigio, rimane sulla sedia, del tutto inosservata e muta, incapace di urlare in tedesco non perdermi!”. Notazioni come questa rendono Geoff Dyer l’urgente testimone distratto del passaggio di questo tempo, così sospeso fra distrazione e urgenza.