Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Che fascino straordinario, la vocale I – un magnetismo sottovalutato, per eccesso di quotidianità dell’uso: il pronome singolare inglese che indica la soggettività per eccellenza, io, ma anche l’articolo determinativo plurale in italiano, e poi il potere di declinare in moltitudine qualsiasi nome
E difatti già l’autore statunitense Stephen Dixon aveva scelto la nona lettera dell’alfabeto per un suo romanzo, tradotto anni fa da Alet. E oggi, alle prime luci dell’alba di un’Italia finalmente diversa, esce un poema narrativo per immagini intitolato “I.” per nottetempo. Lo ha pensato e diretto un artista fiorentino chiamato Francesco D’Isa, e si possono denunciarne le qualità sin dal principio, se il principio di ogni libro-oggetto è il formato: un quadrato perfetto, 15 per 15. <
n verità il responsabile di questo agile cantiere di verbi e visioni non ha prodotto alcunché. Ha scelto e impaginato materiali e icone di pubblico dominio, o licenziati in creative commons, aggiungendovi qua e là lemmi di colore rosso e frasi vergate in un carattere un poco gotico, quasi antiquato, parzialmente sgranato, da manualetto culinario rinvenuto in un cassetto di una casa di campagna britannica, tra Lewis Carroll, Roland Topor e le copertine dei dischi di Kevin Ayers.
C’è una qualità di bricoleur post-surrealista, ma anche formule lapidarie che restano impresse: “Ho pianto come un asino per diecimila anni”, soffia la nuvoletta in alto a sinistra, mentre una ruota astrologica fa da sfondo all’animale ragliante. Ma di cosa ‘parla’ I, dunque? Come certi lontani contes philosophiques, s’interroga, con grazia spazio-temporale, sui fondamenti di tutto.
Il protagonista è una domanda – cosa sono io? E la risposta è l’altalenante declinarsi di tale interrogativo lungo i secoli e le latitudini fisiche e ideologiche: per immaginarlo, bisogna raffigurarsi l’ultima parte di 2001 Odissea nello Spazio, quella ultrasonica in cui il ‘soggetto’ del film, o forse lo spettatore, o forse il cinema in sé, scorrono a velocità inavvicinabile lungo lastre di luce, energia e materia.
Ma è necessario rallentarla, riordinarla, scolorarla. Si tratta infatti di un’enciclopedia dell’essere per figurine: dentro viene scomposto e riassunto l’intero scibile delle questioni inevase: da un palombaro-Wittgenstein alla lotta di classe nei secoli bui, fino alle più vertiginose aporie. Forse c’è troppo, per essere un’opera artisticamente compiuta (ecco perché Kubrick andava così veloce!).
Ma D’Isa è sulla strada eccitante, quella della compenetrazione totale dei linguaggi, e il suo delizioso I dovrebbe essere adottato da insegnanti di filosofia al liceo come colonna visiva.