Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
I segreti nascosti hanno un prezzo e più sono ingombranti, più costa tenerli lontani dalla luce del sole. Riciclaggio e una delle tante aziende che si erano fatte sfuggire di mano la situazione
Ne era venuta a conoscenza per puro caso ascoltando una conversazione sui divanetti di un club e aveva colto l’occasione al balzo: qualche piccola ricerca, richieste discrete ad amici nell’ambiente e in poco tempo aveva messo le mani sulle prove incriminanti.
L’idea di portare quei documenti alla Polizia non le era passata nemmeno per l’anticamera del cervello; sarebbe stato uno scandalo se si fosse venuto a sapere ma al caos mediatico preferiva il ricatto: di quei soldi lei ne aveva un disperato bisogno.
In quel momento, accomodata con una grazia prettamente borghese in un bar altrettanto snob, sorseggiava il suo drink con l’amara consapevolezza di avere abbastanza per campare fino al martedì successivo. Sguardi ammalianti e piccoli furti la tenevano a galla e a lei in fondo quella vita fatta di precarietà forse non dispiaceva nemmeno troppo: preferiva architettare per settimane un colpo piuttosto che ridursi allo schiavismo da ufficio.
Eppure, a vederla così nessuno avrebbe mai pensato che fosse al verde: vendere una visione completamente diversa di sé stessa era quello che le riusciva meglio fare.
Il suo piano non era ancora terminato eppure già sentiva di festeggiare con un calice di Ruinart contenente una fetta d’arancia e una ciliegia al maraschino. Ne beveva piccoli sorsi, quel tanto che bastava per far durare il drink fino all’arrivo della sua vittima; allo stesso tempo doveva controllarsi: la sua voglia di arrivare alla ciliegia era spropositata ed era necessario tenere a bada quella sete ingorda. Decise che quel piccolo sprazzo scarlatto di dolcezza sarebbe stata la sua vera ricompensa e posò lo champagne sul tavolino.
Era seduta nell’angolo in traiettoria con l’ingresso del bar su una poltroncina con gli inserti in velluto verde acido. Adorava quel colore: quando visualizzava la sua casa ideale immaginava un salotto con un enorme divano di quello specifico colore e tessuto. La trovava una combinazione estremamente elegante, specialmente se tutt’attorno si fosse creata una foresta di mobili in mogano arricchiti da dettagli in ottone, possibilmente.
Lo aveva pedinato tutta la settimana e conosceva alla perfezione i suoi spostamenti. Una volta uscito dall’ufficio avrebbe preso il caffè in quel bar nel mentre attendeva il tram che si sarebbe fermato dall’altro lato della strada: era un uomo puntuale, uno di quelli che segue i rituali giornalieri con un morboso attaccamento e lei aveva la sfacciata certezza che oggi sarebbe stato anche più ligio del solito.
Sbuffò e nel mentre accavallò le gambe per scacciare l’attesa; nell’accompagnare quel movimento coi fianchi, le applicazioni rosa sulla sua gonna rimbalzarono sulla profilatura in legno della sedia. Caratterizzata dall’orlo smerlato, la sua lunghezza era talmente ridotta che a vederla appesa nell’armadio si sarebbe potuta scambiare per una fusciacca in seta georgette. Interamente incrostata di strass e paillettes rosa sia lucide che opache, le applicazioni andavano a formare degli stilizzati fiori di ciliegio; quel capo le ricordava che non aveva bisogno di veri diamanti per sentirsi preziosa.
Per un momento fece mente locale su come fosse finita tra le sue mani ma non riusciva a ricordarsi se l’avesse presa nell’armadio di qualche ricca dimora nella quale si era imbucata con la scusa di un party oppure se le era stata regalata da una delle sue pseudo-amiche schifosamente abbienti tanto da indossare un capo una volta per poi gettarlo nel dimenticatoio. Poco importava: le stava a pennello e con quella semplice camicia in popeline e un paio di occhiali da sole dalle lenti impenetrabili viveva l’illusione di essere la criminale con più stile di tutta la città.
Proprio quando stava per perdere la speranza, l’uomo entrò nel locale con due valigette tra le mani. Aguzzando la vista sulla tensione nelle sue dita, la giovane decretò che a occhio e croce quella di sinistra doveva contenere il suo bottino essendo più leggera mentre nell’altra presupponeva ci fossero scartoffie, agende e forse una camicia di ricambio: robaccia da ufficio.
Seguiva i suoi movimenti incerti con la coda dell’occhio intenta a sorseggiare lo champagne restante impregnato del sapore zuccherino della scorza d’arancia; non voleva guardarlo in viso ma aveva la certezza che l’uomo stesse sudando freddo.
Egli, adocchiata la busta che sapeva contenere le prove che avrebbero messo al lastrico la sua azienda, si limitò a fare quanto segnalato nella lettera che la giovane si era scrupolosamente impegnata a scrivere con caratteri ritagliati dal giornale (lo aveva visto fare nei film e pensava fosse di grande effetto): appoggiò la valigetta appena dentro il bar a ridosso della cassa mentre scambiava saluti di cortesia con il proprietario e giustificando il motivo dell’astensione al suo solito caffè post-lavoro, poggiò la mano sulla busta grossolanamente nascosta dal vasetto per le mance.
Lei, finito il drink, accavallò nuovamente le gambe, pronta a scattare appena l’avesse visto dileguarsi sul tram che nel frattempo aveva fatto capolino pochi metri fuori dal locale. Muovendosi, le decorazioni sulla gonna tintinnarono ancora una volta, le une sfregandosi contro le altre e l’uomo, incuriosito da quel rumore, si girò. Per un momento pensò di essere stata scoperta e continuò a guardare nel vuoto in maniera meccanica sollevata dal fatto di poter nascondere la tensione nei suoi occhi dietro gli occhiali.
Con la punta delle unghie che avevano la forma di una mandorla color amaranto, prese la ciliegia sul fondo del bicchiere e iniziò a sgranocchiarla in silenzio, contenendo il movimento delle ganasce ed evitando di voltarsi verso l’uomo. Con la coda dell’occhio lo vide scuotere il capo come se persino egli stesso non volesse persuadersi dell’idea che quella giovane donna seduta in un esclusivo bar con le gambe troppo lunghe per una gonna così corta fosse la sua aguzzina e prendendo la busta sottobraccio corse sul tram, scalpitante di partire verso la periferia della città dove finalmente si sarebbe sentito salvo.
Con le punte delle dita cariche di zucchero e le labbra disgustosamente dolci, lei, alzandosi, gettò il gambo della ciliegia nel calice pronta a pagare il suo drink e pregustando la refurtiva. La sua giornata lavorativa poteva dirsi conclusa.