Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
In un’epoca in cui fare tabula rasa eliminando direttori creativi all’indomani di un passo falso è prassi, ritrovare la strada della creazione senza mollare le redini è pura rivoluzione. John Donne, il grandioso poeta e religioso britannico del Diciassettesimo secolo, è il soggetto di uno dei più intriganti saggi letterari degli ultimi anni, Super-Infinite di Katherine Rundell.
La parola ‘infinito’ compare spesso nei versi di Donne, così come le parole composte col prefisso ‘super’: ‘super-morente, ‘super/universale’, e così via. Pensando agli erratici umori di Donne, predicatore di assoluta sensualità e cantore di un amore che non è nulla senza il corpo, abbiamo dato voce allo spirito di Demna, tra i più grandi poeti della lirica vestimentaria del nostro tempo, alle sue esitazioni ed esaltazioni, anelli nella mente e sussulti nei volumi del cuore, prima di una sfilata pressoché perfetta.
Ruvidi e polverosi, con quel paio di vecchi pantaloni tra le mani pensai che fossi rimasto vittima dello stesso spettacolo che avevo generato: finito e super infinito, dall’invisibilità all’essere centro di tutto, motore stesso del sistema.
In quei due mesi di riflessione mi ero domandato fino a che punto ci si potesse spingere per provocare, se una reazione era davvero quello che cercavo o il mio era un puro esercizio retorico al servizio di quel circo che si chiama moda. Le accuse, l’ostracismo dei fedelissimi; l’allontanamento e la concentrazione sembravano gli unici modi per riemergere. Per farlo dovevo rimuovere l’immateriale cilicio che mi ero autoimposto e fare pulizia nella mente attraverso l’essenza del mio Io creativo: i vestiti.
Nei momenti in cui una rotta sembra assente, cercare nel passato può solo portare ordine e con quei pantaloni in fresco lana nero appartenuti al bambino che ero, tutto sembrava di nuovo possibile. Senza il tremore che è talvolta portato dal disegno, presi quel caro ricordo del passato e lo scomposi, la trama e l’ordito che scricchiolavano al rompersi delle cuciture. Nel farlo, fu come ferire il me del passato: a quei tempi abitavo in un eterno inverno eppure, senza che nemmeno io lo sapessi, già sognavo la luce. Finito e infinito, ordinario e infra-ordinario.
Sulla gamba del pantalone aperta dal cavallo interno fissai il cartamodello di una giacca e notai che l’orlo toccava la chiusura con gancio a barretta. Tagliai quel cimelio e vedendo prendere vita un indumento davanti a me fu come tornare ai tempi della scuola di Anversa, ai mancati schizzi prima di mettere mano ai tessuti e a tutti quei successi ancora in potenza.
Dopo qualche minuto, davanti a me si stagliava un capo insolitamente classico nel taglio ma sovversivo per la presenza della fascia della vita al posto dell’orlo inferiore.
Nonostante fosse privo di bottoni, delle spalline imbottite e unicamente sostenuto sul manichino grazie agli spilli, nella sua radicale semplicità quel doppiopetto sembrava reggere tutti i codici stilistici che col tempo avevo creato oltre che essere la chiave per uscire dagli scandali che mi ero cercato, in cui ero capitato. Guardai meglio quella giacca e ragionai sul fatto che girare pagina era necessario ma rinunciare alla provocazione per l’atemporalità era forse un azzardo. Ma magari non bisognava scegliere: il vero obiettivo era creare qualcosa di unico che fosse in grado di provocare eternamente in uno spazio in cui tutto fosse passato e continuo: infinito e super-infinito.
Quella giacca doppiopetto avrebbe aperto la mia sfilata di concentrazione, in cui il super-infinito supera l’infinito.