Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Nell’ottobre del 1983 fu inaugurata nelle sale di Palazzo Reale a Milano la mostra “Arte programmata e cinetica”. dal “Giornale dell’Arte” n° 5 del settembre 1983 riproponiamo un’intervista alla sua curatrice*
Quali sono le motivazioni di questa mostra, la prima in Italia, almeno in queste dimensioni?
Si sono fatte mostre analoghe ma documentative o celebrative, non con un taglio critico come questa, per cui è la prima che viene fatta con questi intenti. L’ho realizzata su sollecitazione della Ripartizione Cultura; ho scelto queste ricerche perché in un periodo come questo, di effimero, di postmodern, di cultura all’Abatantuono mi pareva giusto porre l’accento su quella che secondo me è stata l’ultima delle avanguardie partita dall’Europa. Farla a Milano aveva una ragione perché Milano ha una grande tradizione artistica di tipo teorico: l’artista scrive sempre, documenta, spiega quello che fa; poi perché molti italiani come il gruppo T, il gruppo N, come Mari, come Munari, come Alviani hanno dato un contributo di primissimo piano nell’ambito di questa tendenza, non solo a livello italiano ma dell’occidente, facendo lavori di gruppo e non rinunciando mai all’utopia, al «progetto».
Teme che la mostra possa risultare difficile per il grosso pubblico?
Non credo. Sarà una mostra interessante sia per il grosso pubblico, sia per gli studiosi; ogni opera, o quasi ogni opera avrà accanto una didascalia esplicativa sui modi, sui materiali usati ed eventualmente su come usarla. Ci saranno naturalmente opere fatte con tutte le tecniche e tutti i materiali disponibili in quel tempo, dal 1953 al 1963, materiali antitradizionali per l’arte come la plastica, il plexiglas, i box luminosi, il neon ecc., oltre a quadri fatti con tecniche tradizionali.
Perché la mostra parte dal 1953?
Non volevo farne una mostra celebrativa: mi ha interessato il momento della nascita di questa tendenza, cioè perché in quegli anni dove imperavano l’informale, la pittura gestuale, l’astrattismo ecc, da matrici costruttiviste venga fuori questa tendenza detta «programmata» e i suoi rapporti con la scienza, la cibernetica, la teoria dell’informazione. Questi artisti realizzavano modelli e progetti anche per scardinare una certa figura dell’artista auratico, non solo i mezzi tradizionali dell’arte: volevano cambiare effettivamente le cose, dare una dimensione didattica, sociale, sociologica, un’espansione del fare arte alla portata di tutti, molto prima di quando si comincerà a parlare dei problemi del rapporto arte-vita, dell’arte povera, del minimal, della body art. Si sono posti problemi della partecipazione attiva dello spettatore all’opera d’arte, come socialità dell’arte, superamento dell’individualismo, interesse politico (e anche partitico per alcuni) con la carica di entusiasmo e di ingenuità che comporta. Dopo il 1963 molta di questa gente continua a lavorare, però penso che le cose più interessanti le abbiano fatte o progettate prima del 1963, soprattutto dal 1960 al 1963. Poi sono subentrati il mercato, la moda, i gadget e altri interessi.
Ha incontrato difficoltà a riunire le opere?
Lavoro a questa mostra da un paio d’anni: ho potuto avere certe opere dall’estero soprattutto per rapporti personali, sia da musei che da mercanti, poiché è difficilissimo riuscire ad avere opere in Italia con la politica culturale che si persegue, all’italiana. Ci siamo creati una mentalità da paese colonizzato e continuiamo a fare le grandi mostre ad artisti stranieri con i nostri soldi da colonizzati: abbiamo ancora un grosso complesso d’inferiorità.
La mostra si articolerà in tre sezioni fondamentali: una, introduttiva, in cui vengono presentate alcune opere di futuristi, astrattisti, costruttivisti, ecc., come citazioni e punti di riferimento storici. Poi il nucleo centrale che vedrà raggruppate opere e artisti che intorno agli anni ’60 hanno operato nella direzione che è stata poi definita «programmata» o «cinetica»: ci saranno lavori tra gli altri di Alviani, del gruppo Equipo ’57, del GRAV, del gruppo T, del gruppo N, di Mari, Molnar, Munari, Soto, Talmann, Vasa-rely, Wilding, Steele e altri.
Infine una terza sezione di artisti contemporanei che, al di là delle apparenti affinità con gli altri, mettono in luce procedimenti e intenzioni diverse: da Castellani a Deburg, da Dada-maino a Christen, da Tinguely a Ballocco, Mack, Bury ecc…
Lea Vergine è coadiuvata da Laura Bianchi, il catalogo è di Mazzotta.