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Frank O’Hara: un poeta New Dada a New York (Vol. 3/6)

Il saggio sulla poetica di Frank O’Hara e la relazione tra la poesia contemporanea e la pittura, tesi di ricerca per il conseguimento della laurea in Lettere e Filosofia presso l’Università di Pisa, nel 1981. La prima pubblicazione, in edizione limitata, di questo saggio, ha accompagnato l’inaugurazione di FAUST il 20 maggio 2018, curata da Gianluigi Ricuperati

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Frank O’Hara, John Button, James Schuyler, and Joe LeSueur, 1960, watching TV at John Button’s. ph: John Button (using a timer).

l‘«io»

Nello specifico, nel poema, «Funny Stories» suggerisce i giochi di parole di Duchamp, «un gruppo di rubini» si rifà a Perché non starnutire Rose Sélavy? (1921), un ready-made in cui 152 pezzi di marmo a forma di cubo sono posti in una gabbia per uccelli; «Drugstore» si riferisce alla Rharmacie già pronta (1914); «Una fontana di champagne» a Duchamp’s Fountain (1917); macina cioccolata dipinto Broyeuse de Chocolat (I, 1913), nonché al Man ready made di Man Ray (1918), un vero macinino; «Scendendo da una rampa di scale» al famoso discendente di Les Ducali (1911, 1912); «Ruota panoramica» alla ruota della bicicletta pronta (1913); «Semiramis», «orecchini» e «ragazze sorridenti» alla già preparata Belle Haleine (1921), che mostra Duchamp vestito da donna; infine, «ti supererò e ti porterò a Venezia! » Allude al famoso montaggio. La mariée mise à nue pas ses célibataires, les memes (1915-1923).

Come si può vedere chiaramente in questo poema, sebbene la prima poesia Dada di O’Hara sia permeata dell’importanza degli oggetti e della realtà esterna, piena com’è del gioco linguistico, del divertimento e dell’umorismo, differisce sostanzialmente dalle sue opere di Neo-Dada. Le prime poesie, infatti, non raffigurano un chiaro paesaggio urbano e raramente si riferiscono a immagini prodotte e prodotte in serie (film, giornali, fast food); piuttosto modellano un paesaggio infantile di piccoli oggetti, giocattoli, gioielli, caramelle e cose colorate. Questa differenza iconografica, tuttavia, ne sottolinea una più basilare riguardo al ruolo dell‘«io» nella struttura generale dei poemi: la realtà di percezione «io» è presente in tutta la poesia di O’Hara, ma mentre i poemi precedenti sono apertamente sui sentimenti del poeta in relazione a quella realtà (l’io è costantemente sorpreso e mosso dalla bellezza di oggetti comunemente inosservati e dotati di valore estetico), la sua produzione successiva appare, invece, come una lista fredda e passiva di percezioni. L ‘ «io» diventa così un filtro, che sceglie e seleziona gli oggetti dal flusso prevalentemente urbano delle immagini e quindi li congela in una apparente casualità.[1]

Questa apparente casualità è analoga all’accettazione della realtà di Rauschenberg: egli semplicemente seleziona e configura il materiale incontrato senza intervenire direttamente su di esso («Non credo nel caso più di quanto io creda in qualsiasi altra cosa … Con me, si tratta più che altro di accettare qualsiasi cosa accada, accettare tutti questi elementi dall’esterno e poi provare a lavorare con loro in una collaborazione gratuita») [2].

Per il pittore, significa ordine casuale abolendo ogni gerarchia tra le immagini scelte e creando una superficie uniforme e densità. In O’Hara, una simile “superficie” viene raggiunta nella prima parte della sua opera «I do this, I do that» poesie per la mancanza di emozione e di riflessione, oltre che per il continuo cambiamento dell’io immagine o oggetto di attenzione, un movimento che ricrea l’ipotetico movimento reale del poeta nella città [3][4].

Accettare il flusso della realtà all’interno dell’opera d’arte significa accettare il tempo con tutte le sue implicazioni. Nelle sue poesie di ‘processo’ scritte fra il 1953 e il 1957, O’Hara sembra lottare contro l’incorporazione della vita e del tempo reali («La vita si muove troppo velocemente per essere catturata. Contro la morte l’arte è l’unica barriera in quanto è una ricreazione in un tempo ragionevole delle componenti fuggevoli della vita», «quella che è conosciuta come la normale esistenza sociale quotidiana è efficace solo in due modi: passa il tempo, soffoca l’impulso creativo»). Molte di questi componimenti sono il risultato di momenti speciali di «chiarezza» in cui il flusso può essere fermato e un movimento psicologico (spesso collegato a immagini di spazi aperti, argentati e tonalità bianche, stelle nella notte) può essere rintracciato, come in : «C’è il Pollock, bianco, il danno / non cadrà, la sua mano perfetta io e i molti viaggi brevi» («Digression On Number One, 1948», CP260), e in: «rendere le mie linee sottili come il ghiaccio, poi si gonfiano come pitoni/ il colore di Aurora quando per la prima volta ha portato il fuoco nell’Artico in una slitta »(«Ode On Causality », CP302).

Anche in «Musica» (CP210), scritto nel 1953, anticipazione dell’uso delle immagini urbane, O’Hara forma un paesaggio terrestre surreale in cui il tempo reale viene fermato e vengono registrati i processi emotivi: La memoria è quindi abolita, poiché il poeta è attento solo al presente, nel quale avviene il processo.

Nelle sue «poesie Neo- Dada», d’altra parte, O’Hara è ancora consapevole della banalità della vita quotidiana e del tempo normale, ma c’è la sensazione che la vera vita – quindi l’arte – sia intimamente connessa con essa («può darsi che la poesia renda tangibili gli eventi nebulosi della vita e ripristini i loro dettagli o, al contrario, che la poesia porti alla luce la qualità intangibile degli incidenti che sono troppo concreti e circostanziali» [5]).

Il poeta, quindi, incorpora le immagini della realtà urbana nel processo creativo, che forma così un movimento dialettico, oscillante tra un «Io» passivo e percepito e un «Io» emotivo e riflessivo. I due poli di questo movimento possono essere visti, ad esempio, nel divario tra le percezioni della vita reale dolorosa e noiosa all’inizio di «Joe’s Jacket» (CP329-330), e la sintesi emotiva e poetica della seconda metà del poema: In «Joe’s Jacket», come in tutte le poesie di O’Hara «I do this, I do that», infatti, l’espressione diretta delle emozioni ha un ruolo così secondario da essere relegata agli ultimi versi; tuttavia, queste emozioni e queste riflessioni sono sempre presenti, accennate indirettamente attraverso l’anonimato, la passività e quasi l’atteggiamento DeChirichiano dell’Io.

Questo gioco tra percezione ed emozione è parallelo alle strutture figurative Neo-Dada in cui le tecniche altamente pittoriche dell’espressionismo astratto modellano insieme un collage di immagini urbane. Inoltre, accettare il flusso del presente implica, per un newyorkese, accettare quella specie di iconografia urbana che coincide con la cultura spazzatura. L’uso di tali immagini – presenti sia in O’Hara che nei pittori Neo- Dada – può essere letto come un modo per esprimere angoscia e disagio, come in “The Day Lady Died” (CP325)13, o come atto simbolico di recupero, come in «Poesia personale» (CP335) [6].

Note:

[1] Vedi ad esempio «The Day Lady Died» (CP 325): «Cammino per la strada afosa che inizia a prendere il sole ho un hamburger e un malto e compro / un brutto NUOVO WORLD WRITING … casualmente chiedo un pacchetto di Gauloises e un pacco / di Picayunes, e un NEW YORK POST con la sua faccia su di esso //. e sto già sudando parecchio e pensando di / appoggiandomi alla porta di John nel 5 SPOT/ mentre lei sussurrava una canzone lungo la tastiera / a Mai Waldron e tutti e io abbiamo smesso direspirare ». Un’introduzione utile a questo poema, sebbene la sua connessione con New Dada nonsia trattata, è in: P. Carroll, Il poema nella sua pelle, Chicago e New York, Follet, 1968, pp. 157-165.

[2] R. Rauschenberg, citato in: C. Tomkins, The Bride and the Bachelors, Harmondsworth, Penguin, 1968,
p. 231.

[3] O’Hara si riferisce spesso alla necessità di movimento e velocità nella poesia («poesia … si muove rapidamente
// un istinto di autodichiarazione», «A Gottufried Benn», CP309-311) e ha visto questo stesso
movimento in Il lavoro di Rauschenberg («le lampadine si accendono e si spengono, le luci proiettano
ombre e sollevano un po ‘di garza rosa che fissi fuori dall’immagine nel tuo magnifico occhio. Le porte
si aprono … ruota un’enorme ruota …», F. O ‘Hara, recensioni e anteprime, cit., Pag 47).

[4] F. O’Hara, Early Writing, ed. di D. Allen, Bolinas, Gray Fox Press, 1977, pp. 106; p. 101.

[5] «Dichiarazione per la New American Poetry», in F. O’Hara, Standing Still e Walking a New York, ed.
di D. Allen, Bolinas, Gray Fox Press, 1975, p. 112.

[6] M. Calvesi tends to see New Dada from this point of view (M. Calvesi, op. cit., pp. 280-287).

[7] G. Dorfles preferisce questa interpretazione (G. Dorfles, Rauschenberg o la sconfitta deU ‘«obsolescenza
», «Metro», 1961, 2, pp. 32-35). In questa sorta di «recupero», vedi anche: C. Pietroiusti, Opera
scarto, scarto come opera, «Rivista di Psicologia dell’Arte», 1980, 3, pp. 57-76.

 

Robert Rauschenberg, Barge, 1962-63, olio e inchiostro serigrafato su tela, 203 x 980 cm.