Capsule Digitale

Is Beeple an artist or what? (Vol. 1/5)

La prima parte di una lunga conversazione tenutasi il 9 aprile 2021 tra la curatrice Carolyn Christov-Bakargiev e Mike Winkelmann, in arte Beeple, artista americano di «Everydays: the First 5000 Days», l’opera venduta in NFT per 69 milioni di dollari

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#01.1 atterrato da un altro pianeta

[Carolyn Christov-Bakargiev] So che sei una persona molto impegnata ora; quindi, non dovrei prenderti così tanto tempo, ma ho ventitré domande.

[Mike Winkelmann] Ok. Fantastico. Anche io avrei qualche domanda da porti. Probabilmente più di ventitré. Facciamo una seconda sessione dove te le pongo.

[CCB] Sì. Oppure puoi pormi una domanda dopo la mia. Ho molte domande perché è quasi come se fossi atterrato su un’astronave da un altro pianeta. È molto interessante.

[MW] In realtà una delle cose più interessanti è che nessuno nel mondo dell’arte mi conosce, ma milioni di persone nel mondo dell’arte digitale sanno chi sono. Il fatto che milioni di persone mi conoscano mi rende forse uno degli artisti contemporanei più seguiti e conosciuti. Esistono molti artisti di cui si sente parlare nel tuo mondo e che sono famosissimi. Ma non hanno un tale seguito e tutti questi like.

[CCB] Beh, questo riguarda la domanda numero 18 che avrei voluto porti.

[MW] (ride, ndr) Ok, mi dispiace. Ti lascio parlare.

[CCB] In realtà volevo chiederti delle modalità attraverso le quali attribuiamo valore ai numeri.

[MW] Certo.

[CCB] È una domanda rilevante da un punto di vista filosofico. Non è detto che se dieci milioni di persone sanno qualcosa, stiamo parlando di una conoscenza più profonda. Voglio dire, la fisica quantistica è conosciuta da pochissime persone. Quanti di noi conoscono il fisico Anton Zeilinger? Eppure, senza di lui non esisterebbe il calcolo quantistico, perché è lui che ha fatto quella buffa connessione tra le due cose. Ma queste sono considerazioni successive.

[MW] Ok, mi zittisco. 

[CCB] Vorrei conoscerti un po’, se me lo permetti, perché in realtà mi ha stupita non sapere chi tu fossi. Ma devo confessarti che uno dei miei consulenti di comunicazione digitale a Torino mi ha fatto alcuni nomi circa un anno fa e uno degli artisti che ha menzionato sei tu. 

[MW] In quale occasione?

[CCB] In occasione di un incontro con il Politecnico. Stavamo per richiedere dei fondi per poter offrire a dei giovani artisti di lavorare sull’Intelligenza Artificiale. Non abbiamo questi mezzi al Museo, ovviamente.  

[MW] Certo.

[CCB] Volevo fornire alcuni strumenti agli artisti. Stavamo studiando e gli ho detto “devi darmi alcune informazioni, cosa sta accadendo nel mondo digitale?” Sono certa mi abbia fatto il tuo nome. Ricordo di esserne rimasta sorpresa perché Winkelmann è il cognome del filosofo che ha definito cosa significhi “arte”.

[MW] Sì. L’ho letto sul New Yorker. Non ne avevo idea.

[CCB] Prima di Winckelmann il termine “arte” non si usava.

[MW] Molto interessante. Di che periodo parliamo?

[CCB] Metà diciassettesimo secolo.

[MW] Metà diciassettesimo secolo? Davvero?

[CCB] Sì.

[MW] E come chiamavano le sculture prima di allora? 

[CCB] Le chiamavano “sculture” o “artigianato”. Il primo artista a firmare con il proprio nome fu Leonardo. 

[MW] Davvero? 

[CCB] Sì, fino all’epoca di Giotto in alcune civiltà gli artisti erano chiamati “creatori di immagini”. Gli antichi greci si riferivano all’arte con il termine “téchne”. Singolare come cosa, perché in greco “téchne” è la radice del termine “tecnologia”. Non si è parlato di autorialità fino al diciassettesimo secolo.

[MW] Che cosa intendi per autorialità?

[CCB] Beh… ero io ad avere ventitré domande da farti!

[MW] OK, scusa! Te l’avevo detto che ne avevo più di te!

[CCB] In qualche articolo hai detto che avresti voluto fare un corso accelerato sulla storia dell’arte degli ultimi cento anni. Ho pensato “glielo tengo io quel corso!”

[MW] Mi piacerebbe. È tutto così interessante. Un mondo talmente diverso, con regole diverse, norme diverse, persone e figure importanti. Alcune questioni che credevo risolte nella storia dell’arte non lo sono affatto. Quando qualcuno guarda quello che faccio e dice “questa non è arte!” penso “addirittura? Capisco che possa non piacere… ma da qui a dire che non sia arte!”

[CCB] Beh, non lo so. In realtà ti ho chiesto di incontrarci proprio perché voglio capire se lo è e se può esserlo. Nella mia ultima domanda – avrei voluto chiedertelo dopo ma lo faccio adesso così magari ti faccio stare un po’ meglio…

[MW] Aspetta, devo confessarti che non mi offendo facilmente. Quindi, qualunque cosa tu dica, sii sincera.

L'Andy Warhol dei nostri tempi

[CCB] L’ultima domanda che volevo farti riguardava Andy Warhol. Ho la sensazione che potresti essere l’Andy Warhol dei nostri tempi. Andy Warhol non aveva idea di cosa fosse l’arte. Veniva da una famiglia ungherese di immigrati e frequentava una scuola pubblica a Pittsburgh. I suoi genitori non avevano alcun legame con l’arte. Ha studiato graphic design e ha trovato lavoro in un’azienda di graphic design. In particolare, disegnava scarpe per riviste. Si è poi trasferito a New York e ha trovato un lavoro in una società di pubblicità come grafico, di nuovo per le scarpe e cose del genere. In qualche modo, ma non so grazie a chi e come, ci deve essere stato un momento in cui è diventato famoso e non è stato attraverso una vendita. Stiamo parlando del 1960, più o meno. Molte persone dicevano “questa non è arte” perché all’epoca erano famosi gli espressionisti astratti. Si esprimeva il proprio “io interiore” come faceva Jackson Pollock con il dripping. Quindi, questo ragazzo che veniva da Pittsburgh – assolutamente da un altro pianeta – in qualche modo ha cambiato il mondo intero. Quello che ha fatto è stato introdurre quelle tecniche del design nel mondo dell’arte, ma ha commesso degli errori. In altre parole, la serigrafia non era mai stata usata nell’arte. Di solito si fanno combaciare le serigrafie. Lui non le ha fatte combaciare. Quindi, per il fatto che fosse un po’ sfocato – pensa alla Marilyn Monroe o qualsiasi altra immagine – improvvisamente non era più graphic design ma un dipinto. Una cosa molto strana. E poi sono arrivate le Campbell’s Soups, la Factory e la sua rivoluzione nell’arte. Inoltre, proveniva da un ambiente cattolico, il che è piuttosto interessante in un Paese protestante come gli Stati Uniti. Il mio è uno sguardo sugli Stati Uniti in prospettiva, sono nata negli Stati Uniti ma sono tornata in Italia. Te l’ho detto adesso perché penso che questo potrebbe spiegare perché non ho alcun pregiudizio.

[MW] Non credo tu lo sia. Onestamente, mi hai contattato semplicemente per parlare. In realtà penso che tu venga da un mondo diverso.

[CCB] Vado con la prima domanda, ok? Riguardava la tua vita personale, la tua infanzia e il motivo per cui ti sei trasferito a Charleston, perché fa molto freddo da dove vieni e fa molto caldo nella Carolina del Sud.

[MW] Mio fratello ha lavorato per Boeing a Charleston. Qualche anno fa lavoravo già da casa come freelance. Era un po’ tipo “Ok, potremmo vivere ovunque. Perché non ci trasferiamo a Charleston? Costa poco! Possiamo vivere in periferia e il clima è molto più bello!” Preferisco il caldo al freddo. Se vai a nuotare nel Missouri fa davvero freddo, congeli letteralmente. Mi piace molto quaggiù. È adatto a noi.

[CCB] Sì. E quindi, il trasferimento non è legato all’aver conosciuto qualcuno o a un matrimonio?

[MW] Oh no, no, no. Sono sposato da 11 anni e ho un bambino di cinque anni e uno di sette anni. Anche mio fratello ha figli. Ho trentanove anni.

[CCB] Bene. Quindi, in un certo senso, si tratta di un esempio di lavoro a casa. Il mondo intero lo sta attualmente sperimentando.

[MW] Sì. Passo molto tempo a casa ed è qui che mi piace stare. Sai, solo, seduto al computer.

[CCB] Sì. In un certo senso l’intero pianeta sta sperimentando ciò che per te era già normale.

[MW] Sì. Sarò onesto, anche prima del COVID-19 passavano giorni prima che uscissi di casa. Succedeva che mi rendessi conto di non uscire di casa dal fine settimana precedente! Ed era proprio così… perché lavoro così tanto… poi intervallavo con dei viaggi, rimanevo a casa, lavoravo, e così via. Andavo a fare conferenze di design in giro per il mondo. Era un po’ come stare a casa, come se non conoscessi nessuno a Charleston. Non ho amici in città, a parte ovviamente mio fratello. Non conosco nessuno da queste parti. Onestamente non ho voglia di fare amicizia. Le conferenze sul design sono state una bella pausa.

[CCB] Ti mancano le tue relazioni nel mondo professionale senza le conferenze, doverle fare online?

[MW] Per me le conferenze erano utili per parlare con le persone. Quando andavo alle conferenze… non vado quasi mai ad ascoltare i discorsi di qualcun altro… vado a parlare con le persone faccia a faccia. Voglio incontrare le persone e avere più tempo per socializzare, perché posso sempre guardare i loro talk su YouTube. Vado per essere presente e vedere la gente di persona. Questa conversazione su Zoom va bene, ma sarebbe molto meglio se fossimo seduti nella stessa stanza. E non credo che tu possa ricrearlo.

[CCB] Beh, speriamo di poterti riaccogliere presto in Europa.

[MW] Amo l’Italia. Amerei assolutamente tutti lì. Non sono mai stato a Torino, quindi sarebbe fantastico.

[CCB] Fantastico. Ti faccio un’altra domanda, la seconda – salto da un argomento all’altro e poi magari torniamo indietro. Dirò cose che sono probabilmente davvero banali per te. E mi sento un po’ in imbarazzo perché non ne so molto della “cultura pop”, diciamo così. Ma vorrei sapere: in che modo l’estetica dei film di fantascienza ti influenza? La ritrovo molto nel tuo lavoro. Nelle tue interviste parli di eventi quotidiani, notizie che vedi sulla CNN e così via, ma l’estetica non è affatto quella. Quali sono i mondi immaginari e i riferimenti visivi che utilizzi e che ti ispirano? Penso anche che Mad Max, potrebbe essere qualcosa a cui ti riferisci? Forse qualcosa come Oblivion con Tom Cruise? O anche Her, stranamente, o Transcendence con Johnny Depp? Da cosa prende spunto l’estetica dei tuoi lavori?

[MW] Sì, direi che proviene da quei film. Sono molto influenzato da quello che fanno anche gli altri artisti digitali, perché è così facile condividere. Penso che sia come l’arte. Con “arte digitale” mi riferisco all’arte realizzata nell’ultimo ventennio quasi esclusivamente su computer con alcuni software come Photoshop, software 3D, con elementi video, ecc. Ma è creata con un computer e diffusa su Internet. Questa è la mia definizione in questo contesto. Essendo molto condivisa, l’arte digitale si evolve davvero velocemente. Le tendenze cambiano rapidamente e qualcosa rimane in voga per sei mesi o un anno, e poi ne esce un’altra. Sono decisamente influenzato da quella roba. Mi sto anche occupando un po’ di più delle mie cose. Tonnellate e tonnellate di persone hanno iniziato a fare Every Days, grazie al mio, al punto che è diventato tipo “Oh, stai facendo Every Days? Che sfigato!”