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IX Ecloghe*

Le IX Ecloghe furono scritte da Andrea Zanzotto tra il febbraio del 1957 e l’ottobre del 1960 ed uscirono alla stampa nel 1962, nella collana de “Il Tornasole”

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Andrea Previtali, scene dalle ecloghe di Tebaldeo, la storia di Damone, 1510 ca.

Andrea Previtali, scene dalle ecloghe di Tebaldeo, la storia di Damone, 1510 ca. Tirsi chiede a Damone la causa della sua sofferenza

Andrea Previtali, scene dalle ecloghe di Tebaldeo, la storia di Damone, 1510 ca.

Andrea Previtali, scene dalle ecloghe di Tebaldeo, la storia di Damone, 1510 ca. Tirsi trova il corpo di Damone

Così siamo

Dicevano, a Padova, “anch’io”

gli amici “l’ho conosciuto”.

E c’era il romorio d’un’acqua sporca

prossima, e d’una sporca fabbrica:

stupende nel silenzio.

Perché era notte. “Anch’io

l’ho conosciuto”.

Vitalmente ho pensato

a te che ora

non sei né soggetto né oggetto

né lingua usuale né gergo

né quiete né movimento

neppure il né che negava

e che per quanto s’affondino

gli occhi miei dentro la sua cruna

mai ti nega abbastanza

E così sia: ma io

credo con altrettanta

forza in tutto il mio nulla,

perciò non ti ho perduto

o, più ti perdo e più ti perdi,

più mi sei simile, più m’avvicini.

L'attimo fuggente

Ancora qui. Lo riconosco. In orbite

di coazione. Gli altri nell’incorposa

increante libertà. Dal monte

che con troppo alte selve m’affronta

tento vedere e vedermi,

mentre allegria irrita di lumi

san Silvestro, sparge laggiù la notte

di ghiotti muschi, di ghiotte correntie.

 

E, puro vento, sola neve, ch’io toccherò tra poco.

Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi.

In voi fui, sono, mi avete atteso,

non mai dubbio v’ha offesi.

Sarai, anima e neve,

tu: colei che non sa

oltre l’immacolato tacere.

Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami. E.

È questo il sospiro che discrimina

che culmina, «l’attimo fuggente».

È questo il crisma nel cui odore io dico:

sì, mi hai raccolto

su da me stesso e con te entro

nella fonte dell’anno.

Nautica celeste

Vorrei renderti visita

nei tuoi regni longinqui

o tu che sempre

fida ritorni alla mia stanza

dai cieli, luna,

e siccom’io, sai splendere

unicamente dell’altrui speranza.