Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
24 luglio 1984, sul fondo del fosso Reale di Livorno, vengono rinvenute delle pietre scolpite e subitoattribuite ad Amedeo Modigliani. Una burla organizzata da Angelo Froglia, giovane pittore locale, e un gruppo di amici. Lo scherzo è stata una salutare ventata d’aria fresca nel mondo dell’arte: un atto di allegra e antica intelligenza toscana che ha infranto il sogno di un ritrovamento emozionante. In seguito al caso, sui giornali dell’epoca, si scatena un acceso e divertente carosello di dichiarazioni dei critici d’arte. Da “Il Giornale dell’Arte” n° 16, settembre 1984
ARGAN Giulio Carlo, storico dell’arte e docente universitario.
BARILLI Renato, critico di «L’Espresso» e docente universitario.
BERTI Luciano, soprintendente alle Gallerie di Firenze e direttore degli Uffizi.
BEVILACQUA Alberto, scrittore.
BORGESE Giulia, collabora al «Corriere della Sera».
BRANDI Cesare, storico dell’arte e docente universitario.
BRIGANTI Giuliano, storico dell’arte, docente universitario, critico di «La Repubblica».
CALVESI Maurizio, critico di «L’Espresso», docente universitario e direttore della Biennale di Venezia Arti Visive.
CARLI Enzo, storico dell’arte docente e universitario, curatore della prima mostra antologica su Amedeo Modigliani alla VI Quadriennale di Roma, 1952.
CASCELLA Pietro, scultore.
CERONI Ambrogio, esperto di Modigliani.
DE PAZ Elisabetta, ex collaboratrice di Vera Durbé (vedi).
DRAGONE Angelo, critico di «La Stampa».
DURBÉ Dario, storico dell’arte, soprintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, supervisore scientifico della mostra di Livorno, curatore del catalogo Due pietre ritrovate di Amedeo Modigliani, fratello di Vera Durbé (vedi).
DURBÉ Vera, conservatrice del Museo Progressivo di Arte Contemporanea Villa Maria di Livorno, curatrice della mostra di Modigliani e ispiratrice del dragaggio del Fosso Reale, sorella di Dario Durbé (vedi).
FERRUCCI Francesco, livornese, studente di medicina, coautore di «Modi 2» e «Modì 2 bis».
FRANZINI Mario , ingegnere, del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa.
FROGLIA Angelo, livornese, portuale, pittore e scultore dilettante che asserisce di appartenere al «manierismo ci-tazionista», un passato turbolento nelle file di «Autonomia» (3 anni di carcere per un assalto alla sede Cisnal, ’78), autore di «Modì 1, 3, 4».
FRONTERA Claudio, assessore alla Cultura del Comune di Livorno (PCI).
GENOVESI Michele, livornese, studente di economia e commercio, coautore di «Modì 2» ma «dissociato» nelle rivelazioni a «Panorama».
GHELARDUCCI Michele, livornese, studente di economia e commercio, coautore di «Modì 2» e «Modì 2 bis».
GIANNINI Rino, scultore, do cente di tecnica della lavorazione del marmo nell’Accademia di Belle arti di Carrara.
GUASTALLA Guido e Giorgio, galleristi di Livorno e rappresentanti in Italia degli Archives Légales Amedeo Modigliani.
LANTHEMANN Joseph, critico d’arte, affiancatore di Jeanne Modigliani (vedi) autore di libri e curatore di mostre su Amedeo Modigliani.
LEYMARIE Jean, direttore dell’Accademia di Francia a Roma.
LURIDIANA Pietro, livornese, studente di ingegneria, coautore di «Modì 2» e «Modi 2 bis».
MACCARI Mino, pittore.
MARCHESSEAU Daniel, ex conservatore del Museo d’Arte Moderna di -Parigi, curatore della mostra di Modigliani Parigi (1981) e di quella futura a Tokyo (luglio 1985).
MICACCHI Dario, critico di «L’Unità».
MODIGLIANI Amedeo detto Modì o Dedo, (1920).
MODIGLIANI Jeanne, (27 luglio 1984), fondatrice e presidente degli Archives Légales Amedeo Modigliani, autrice di un libro sulla vita del padre Amedeo (1958) e di una nuova monografia, Modigliani racconta Modigliani (1984).
NANNIPIERI Alì, sindaco di Livorno (PCI).
PAGLIANI Enzo, restauratore capo della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
PARISOT Christian, figlio del pittore Adriano, archivista degli Archives Légales Amedeo Modigliani e responsabile degli stessi dopo la morte di Jeanne Modigliani (vedi).
PATANI Osvaldo, esperto di Modigliani.
PIANCASTELLI POLITI Giovanna, architetto, soprintendente di Pisa.
POLITI Nicola, consigliere al Comune di Livorno.
QUINTAVALLE Arturo Carlo, docente universitario e critico di «Panorama».
RAGGHIANTI Carlo Ludovico, storico dell’arte, docente universitario e direttore di «Critica d’Arte».
RIGONI Franco, livornese, testimone notturno del lancio di «Modi 2».
SCHEIWILLER Vanni, editore, collaboratore di «Il Sole 24 ore».
SGARBI Vittorio, critico d’arte di «L’Europeo» e «FMR», funzionario della Soprintendenza di Venezia.
SPAGNOL Mario , editore e collaboratore di «La Stampa».
TESTORI Giovanni, storico dell’arte e critico del «Corriere della Sera».
TITONEL Angelo, pittore e fotografo, autore delle foto «ufficiali» di «Modi 1, 2, 3», editore del volume Due pietre ritrovate di Amedeo Modigliani.
URBANI Giovanni, ex direttore dell’Istituto Centrale del Restauro.
VITALI Lamberto, esperto di Modigliani.
ZERI Federico, storico dell’arte.
Vera Durbé : «Sono sicurissima che sono le “teste” di Modi, sono talmente belle… Quando ho visto la seconda testa l’ho creduto ancora di più. La prima è più bella, nobilissimo il naso, mentre la seconda sembra un dipinto. Chi ha occhi per guardare guardi. Bisogna saper guardare, diceva Matteo Marangoni: è un dono di natura come la voce, e non c’è laurea che te lo possa dare» («La Repubblica», 26 luglio).
Dario Durbé : «Sono due sculture, seppure appena delineate, che confermano il filo conduttore tra una fase iniziale e le stesse sculture che sono state esposte a Villa Maria… Che si tratti di sculture di Modigliani non ho davvero dubbi personalmente… Macché commissione, già la soprintendenza alla Galleria d’Arte Moderna di Roma è la più titolata per esprimere un giudizio… Inviterò altri studiosi… per confrontare con loro le nostre deduzioni. Il verdetto deve risultare universale, liberare il fronte da ogni incertezza» («Il Giornale», 27 luglio).
Vera Durbé : «È dal ’55 che mi batto perché i fossi siano dragati… Io l’ho sempre saputo che quelle statue erano lì. E non perché, come ora dice qualcuno, in una foto, la settimana scorsa, per caso, ho indicato il punto esatto dove poi sono state trovate le teste» («Il Secolo XIX», 27 luglio).
Mario Franzini : «Provare a scolpire granito dell’Elba [“Modì 1”] pietra che si utilizza per il selciato delle strade, è dimostrazione evidente di inesperienza, come inesperto era allora Modigliani. Anche la pietra serena [“Modì 2”] una pietra serena di bassa qualità, geologicamente macigno, rappresenuna materia difficile da lavorare» («Il Giornale», 27 luglio).
Maurizio Calvesi: «Il ritrovamento delle sculture… è una festa per Livorno e per il nostro Paese… Il Comune potrebbe ora allestire a Livorno, attorno ai preziosi reperti, una vera mostra delle sculture di Modigliani» («La Repubblica», 28 luglio).
Vera Durbé: «Jeanne era molto scettica sulla possibilità che suo padre avesse realmente gettato nel fosso quelle opere. In base a cosa, dico io? Quando Amedeo è morto, aveva due anni. Io Modigliani lo studio da una vita e mentirei a dire che ritengo la figlia un’esperta» («La Stampa» e altri quotidiani, 28 luglio).
Claudio Frontera: «Ospitavamo finora un solo Modigliani nel Museo Civico… Adesso potremmo orientarci verso una soluzione d’ampio respiro, con i due capolavori per nucleo centrale» («La Stampa» e altri quotidiani, 28 luglio).
Jeanne Modigliani: «Già esclusa, arbitrariamente, dall’elaborazione della mostra di Livorno, chiedo che la verifica sull’autenticità [delle due teste ripescate], indipendentemente dall’emotività, venga gestita da un comitato di esperti, con metodo comparativo. Sarà mia cura partecipare ai lavori» («La Stampa» e altri quotidiani, 28 luglio).
Mario Spagnol: «In quelle pietre… non v’è neppure l’embrione della prepotente idea plastica… di Modigliani… Un aborto dunque di Modigliani o un falso? Propendo a credere nella seconda ipotesi… Potrebbe trattarsi d’una versione un po’ provinciale dei tanti scherzi giocati da artisti» («La Stampa», 29 luglio).
9 agosto, alle 9 e 30 la benna pesca dal Fosso Reale «Modì 3».
Enzo Carli: «Autentiche, anche se appena sbozzate» («La Stampa», 10 agosto); «Non ha tradito la materia. Queste sono pietre che hanno un’anima. La testa di granito è più modiglianesca. Io però preferisco quella in arenaria: e più pittorica» (vari quotidiani di agosto e settembre).
Angelo Dragone: «Le Teste livornesi potrebbero costituire la dimostrazione del coerente sviluppo di un’idea che, portatasi
da Parigi, Modigliani affrontò ai suoi inizi proprio durante quel ritorno a Livorno» («La Stampa» 10 agosto).
Jean Leymarie: «È una resurrezione» («La Stampa», 10 agosto); «È stupenda [“Modì 2”], e commovente; c’è una rifrazione, un sentimento di resurrezione» (vari quotidiani di agosto e settembre).
Cesare Brandi: «Chi altri, anche il falsario più astuto, avrebbe potutto abbozzare così rozzamente, ma così illuminatamente, quelle due teste che hanno una luce interiore, come una veilleuse»? …In quelle due scabre pietre c’è l’annunzio: c’è la presenza… forme schematiche, nutrite di scultura negra e di Brancusi ma anche del Tino di Camaino più geometrico e difficile» («Corriere della Sera», 12 agosto).
Luciano Berti: «Le due opere qui studiate si ricollegano infatti, molto strettamente, ad alcune altre a noi note, due delle quali, un singolare giuoco del caso ha voluto portare a Livorno in occasione della mostra, tuttora aperta a Villa Maria… e cioè la “Testa” per solito datata 1911-1913 oggi al Beaubourg, e la “Testa” dell’Hirshhorn Museum di Washington, che si tende a datare 1911-1912» (18 agosto, da Due pietre ritrovate di Amedeo Modigliani, presentato il 2 settembre).
Vera Durbé : «Credo che il risentimento della De Paz (che ha sollevato dubbi sull’autenticità dei reperti con una lettera ai giornali locali, ndr) sia dovuto al suo allontamento da Villa Maria. Quello che conta, invece, sono gli attestati dei critici d’arte, degli esperti, degli artisti… Da Argan a Carli, da Brandi a Berti tutti sono concordi nell’attribuirle a Modigliani» («Il Giornale», 31 agosto) .
Presentazione del catalogo Due pietre ritrovate di Amedeo Modigliani, pp. 74, L. 25.000, a cura di Dario Durbé, a Villa Maria, Livorno.
Mario Franzini : «Il colore superficiale della scultura MODI 2 dopo pulitura, conferma che il processo di riduzione ha operato anche su questa [faccia superficiale di colore grigio] e che quindi la sua permanenza nel fango si è protratta per tempi non precisabili ma misurabili in dieci di anni» (da Due pietre ritrovate ecc).
Rino Giannini : «Il processo efficace appare quello tipico di Modigliani [“Modì 2”]. Si noti che la direzione della scalpellatura è sempre perpendicolare alla linea d’asse del volto e diretta circolarmente, verso il dietro della testa, quasi che questa azione così metodica gli consentisse particolari effetti volumetrici. Sono da notare due sfaldature che il pezzo presenta… che senza dubbio si sono prodotti parecchio tempo dopo l’esecuzione, ma sono una diretta conseguenza degli effetti prodotti dall’uso di utensili molto larghi e sfilati» (da Due pietre ritrovate ecc) .
Ali Nannipieri : «Mano a mano che vari illustri studiosi hanno riconosciuto nelle opere originali di Modigliani, la gioia provata si è andata trasformando in una soddisfazione grande quanto la consapevolezza del valore scientifico del ritrovamento» (da Due pietre ritrovate ecc).
Carlo Ludovico Ragghianti : «Queste opere, oltre ad essere commoventi, sono fondamentali per Modigliani e per la scultura moderna» (2 sett., dal discorso di presentazione di Due pietre ritrovate ecc. e in vari successivi quotidiani).
Vanni Scheiwiller: «Evviva dunque Vera Durbé (e la Livorno che ha creduto in lei) perché, insomma, con una prima spesa di 33 milioni e una ulteriore che non so, ha assicurato al nostro Paese sculture del valore oggi di qualche miliardo e grazie anche per averci ricordato l’insegnamento del vecchio Matteo Marangoni: bisogna saper guardare, è un dono di natura… La Durbé ha avuto fede, tenacia e soprattutto occhi» («Il Sole 24 ore», 2 settembre).
Vittorio Sgarbi: «Esclusa la possibilità che le sculture siano false, perché troppo sublime e ateistica sarebbe l’idea di una burla boccaccesca… Esse, evidentemente ispirate alle stelle della Lunigiana, appaiono come tentativi incompiuti» («PM», n. 25, settembre).
3 settembre, Esce «Panorama», n. 960 con l’intervista di Pier Mario Fasanotti a Francesco Ferrucci, Michele Ghelarducci e Piero Luridiana , che avevano offerto alla settimana l’esclusiva: si confessano autori di «Modì 2»; prova una foto che li ritrae con la scultura.
Giulio Carlo Argan : «Le teste sono autentiche, non sono un capolavoro; ma sono autentiche, quei ragazzi di Livorno raccontano una bugia» (dichiarazione all’agenzia Adn-Kro-nos, 3 settembre).
Dario Durbé : «Dirigo da anni un Archivio dei Macchiaioli, e, per benevolenza di molti, sono considerato in questo argomento un’autorità, ma non mi sono mai sognato di attribuire un valore “legale” ai miei risultati di studio. Li propongo. Ognuno ha il diritto di dissentire: e proprio questo è il carattere e il valore della libera ricerca» («Il Giornale dell’Arte», n. 15, settembre).
Pietro Cascella : «Sono due cose completamente differenti: questo granito è una cosa terribile [“Modì 1”]: qua ci ha lavorato di più: ci sono più atti, più interventi sulla materia. Nella testa in arenaria [“Modì 2”] vi sono elementi che fan pensare all’ultimo Modigliani. Tutte e due sono belle. Due poli: spirituale e materiale» (riferito da Dario Durbé in «Il giornale dell’Arte», n. 15, settembre).
Michele Ghelarducci: «Ci siamo sorpresi della velocità con cui gli esperti hanno ritenuto autentica la scultura. Allora abbiamo deciso, tutti d’accordo, di aspettare, nella speranza che qualche critico d’arte scoprisse la verità. Invece niente… C’è stato un crescendo di “bello, bello”. E pensare che giudicavamo uno schifo quel volto scolpito!» («Panorama» n. 960, settembre).
Arturo Carlo Quintavalle: «Sono, parrebbe, opere importanti, le sole sculture di Modigliani rimaste in Italia. Parlano la lingua dei “primitivi”, di quella cultura delle “origini”, che Nietzsche pone alla base di ogni creazione artistica» («Panorama», n. 960 settembre).
Vera Durbé: «Quei tre giovanotti lo scherzo non lo hanno fatto a noi, ai critici, agli scienziati.
Lo hanno fatto a «Panorama», che c’è cascato» («Corriere della Sera», 4 settembre).
5 settembre, si decide a parlare anche Michele Genovesi, il quarto coautore di «Modi 2» ed esibisce altre fotografie.
Enzo Pagliani: «Non nutro alcun dubbio sull’autenticità delle sculture e l’esame del fango depositato fra gli interstizi della pietra prova che le teste sono state gettate nel fosso da molti anni. I tagli e le sfaldature delle pietre sono sicuramente frutto dell’azione del tempo e dell’acqua; altrimenti un esame al microscopio avrebbe rivelato la forma dell’oggetto contundente usato per produrli» («Il Gazzettino», 5 settembre).
Dario Durbé: «Perché non hanno parlato subito? Perché hanno aspettato proprio il giorno di uscita del nostro libro sul ritrovamento? [La loro testa] sembra uno strano fantoccio: i contorni non corrispondono, il naso è incerto e un po’ storto mentre quello di Modigliani è netto; perfino la distanza della fronte è diversa. Ma via non è quasi il caso di parlarne, gli occhi veri sono finemente disegnati e quelli falsi sono affossati, e perfino la bocca non corrisponde… Nessun essere pensante può credere che il profes-sor Giannini, docente di tecnica della lavorazione del marmo, non sia stato capace di distinguere il tocco di uno scalpello da quello di un cacciavite e di un trapano Black and Decker» («La Repubblica», 6 settembre).
Giovanna Piancastelli: «Non eravamo e non siamo ancora in grado di dare gli esiti finali del più ampio complesso di ricerche che era stato progettato e affermiamo comunque che era compito della soprintendenza provvedere a far analizzare da molteplici punti di vista le sculture, sia per verificarne l’originalità sia per assicurarne la conservazione» (dichiarazione all’Ansa, 6 settembre).
7 settembre, viene notificata a Villa Maria l’ordinanza di sequestro di «Modì 2», su richiesta degli autori della burla che rivendicano il diritto d’autore sull’opera.
Rino Giannini: «Mettiamoli alla prova [i ragazzi della beffa]. Dicono di aver scolpito la testa [“Modì 2”] in poche ore e ce lo dimostrino dunque. Il martello che sostengono di aver usato è buono solo per piantare chiodi» («Il Messaggero» 7 settembre).
Angelo Titonel: «Sulla base dei riscontri sul materiale fotografico posso dire che la scultura [“Modi 2”] non è quella da me a suo tempo fotografata a Livorno« («Corriere della Sera», 7 settembre).
Carlo Ludovico Ragghianti: «L’ampio volume di Dario Durbé con fotografie analitiche di Angelo Titonel Due pietre ritrovate di Amedeo Modigliani …è anzitutto esemplare… Gli esperti hanno con esattezza e responsabilità limitato il valore di questi tentativi rimasti in uno stato provvisorio senza le esaltazioni loro attribuite per scandalismo od altro da cronisti di chiens écrasés (quanto alle “beffe”, chiarisca il magistrato)» («Il Resto del Carlino», 8 settembre).
Federico Zeri: «Vere o false, le tre pietre sono pezzi di anodino livello così scarso che per esse non valgono neppure gli epiteti di giudizio qualificante… La critica d’arte moderna si basa soprattutto su concetti e idee, e da essa esula un’autentica conoscenza di opere e dati concreti. Sarebbe interessante sapere quanti, tra coloro che hanno dato un parere favorevole sui tre pezzi hanno mai visitato i grandi Musei d’arte moderna negli Stati Uniti o le maggiori collezioni private… Le tre pietre labroniche, i tre mammozzi, sono stati esaltati come cardini della cultura figurativa» («La Stampa» 8 settembre).
9 settembre, si conclude la mostra livornese di Modigliani.
Maurizio Calvesi: «Non solo la foto pubblicata su “Panorama” è una prova schiacciante, non essendo un fotomontaggio (il che appare chiarissimo) e non essendoci alcuna diversità tra la testa lì riprodotta e quella ritrovata… L’errore iniziale può essere perdonato, ma perseverare, come dice il proverbio, è diabolico» («Il Messaggero», 9 settembre).
10 settembre in mattinata «Modì 2», sequestrata per richiesta degli autori, è trasferita in custodia nel caveau della Banca d’Italia a Livorno. In uno «speciale» del TG1, 3 dei 4 autori della «beffa» realizzano in diretta, in 5 ore e con i medesimi strumenti usati per «Modì 2» un «Modì 2 bis». Vi partecipano, in studio oltre ai ragazzi, il vice direttore di «Panorama» Farneti, Maurizio Calvesi e Mario Spagnol. In diretta da casa Federico Zeri. Viene trasmessa una dichiarazione filmata di Argan in cui distingue in opere «autografe» e «autentiche». Sono collegate anche le reti televisive americane Cbs e Nbc, la TV via cavo Cnn e l’agenzia Visnews.
Pietro Luridiana: «Quei signori cercavano, nel fosso… allora dicemmo: perché non gli si fa trovare qualcosa? Abbiamo scolpito e buttato. Vedrai, pensammo, la trovano e si accorgono subito che è falsa. E noi si fa due risate. Invece niente. Allora, quando abbiamo sentito tante sciocchezze, abbiamo deciso di venir qui per amor di verità. Non è colpa nostra se tanti hanno sbagliato« (speciale TG1 10 settembre).
Mario Spagnol: «Delle tre teste ripescate, quella di cui i ragazzi si attribuiscono la paternità mi sembra la migliore. E questa creata in diretta davanti alle telecamere le supera tutte di gran lunga» (speciale TG1, 10 settembre).
Federico Zeri: «Sono convinto che tutte e tre le sculture ritrovate siano dei falsi. C’è chi conosce la verità e non si è fatto ancora avanti… Del resto voci su falsi nel canale circolavano a Pisa ancor prima delle clamorose scoperte… [Certi critici] pur di stare alla ribalta si sono buttati avanti. Del resto sono tutti anziani… probabilmente hanno paura di finire nel dimenticatoio. Hanno fatto dichiarazioni grottesche. Ma le pare che Modigliani scolpisse simili lordure? Sembrano paracarri» (speciale TG1, 10 settembre).
Renato Barilli: «Non è un caso che i grossi nomi della critica subito espostisi a confermare o meno l’attribuzione a “Modi” delle teste ripescate (Argan, Brandi, Ragghianti) vengano prevalentemente dalla storia dell’arte dei secoli scorsi, non appartenendo alla specie dei puri “critici militanti”» («La Stampa», 11 settembre).
Alberto Bevilacqua: «I critici e gli esperti che hanno avallato le disgraziate teste non mi sembrano meritevoli di sputi in faccia… Hanno sbagliato, forse, ma per candore, e ciò li assolve, di fronte a tante maliziose brutture» («Corriere della Sera», 11 settembre).
Giulio Carlo Argan: «La prova televisiva dei ragazzi è stata un’esibizione pietosa. Chiunque avrebbe potutto constare come quei giovani non fossero in grado di fare alcunché… Escludo che quei ragazzi abbiano scolpito la testa ritrovata [“Modì 2”]… Non ho però alcuna difficoltà a confermare quanto ho detto: ritengo che queste sculture possano essere di Modigliani» («Corriere della Sera», 12 settembre); «È una montatura indegna del livello culturale italiano. Creare altri equivoci sul ritrovamento delle statue è antistorico e insensato» («Il Giornale», 12 settembre).
Giuliano Briganti: «Sono certo che qualsiasi direttore di museo o mercante d’arte onesto e intelligente, se gli fossero state offerte le tre teste di Modigliani, ammesso che avesse superate il primo impulso di rifiutarle data la loro bruttezza, diciamo piuttosto data la loro mancanza di stile, cercando un esperto per verificarne l’autenticità non si sarebbe certo mai rivolto, come è stato fatto a Livorno, a quei critici ai quali ci si è rivolti… Con tutto il rispetto che si può avere per loro, nessuno era un vero esperto di Modigliani, né tanto meno esperto di scultura, forse nemmeno “esperto”» («La Repubblica», 12 settembre).
Vera Durbé: «Sempre così quando si mette in mezzo la televisione, tutti cambiano idea. Ma io no, io so che quelle statue sono di Dedo… Questi ragazzi sono dei burattini al servizio di una macchinazione messa in piedi dai miei nemici, da chi si serve di Modigliani per fare miliardi» («La Repubblica», 12 settembre).
Rino Giannini: «Una prova vera è mancata… La trasmissione televisiva… si è rivelata un atto d’accusa basata su prove che tali non sono… Un occhio appena un po’ allenato alle arti plastiche avrebbe saputo quanto meno distinguere la notevole professionalità della mano che ha eseguito “Modì 2” e quella assolutamente dilettantesca del lavoro portato a compimento negli studi televsivi» («La Nazione», 12 settembre).
Carlo Ludovico Ragghianti: «Secondo me [i ragazzi della “burla”, in TV] non hanno dimostrato niente. Le mie ragioni le illustrerò al momento opportuno, non ora. Perché ora deve intervenire la magistratura. Questi signori hanno fatto un falso e lo hanno dichiarato… si tratta di rei confessi. Il magistrato gli contesti il reato, poi si vedrà» («La Stampa», 12 settembre).
13 settembre, Angelo Froglia si proclama autore di «Modì 1», «Modì 3» e di «Modì 4», quest’ultimo non gettato nel Fosso Reale ma di cui era stata inviata fotografia, dieci giorni prima, al quotidiano «Il Tirreno».
Christian Parisot: «È scandaloso che si sia proceduto a editare un volume di quella fatta senza prima avere alcuna certezza… La povera Jeanne, che non fu neppure invitata all’inaugurazione della mostra, raccomandò prudenza… Le sue sollecitazioni a comporre una commissione di esperti che esprimesse, dopo le più approfondite indagini un giudizio definitivo, sono cadute nel nulla. I Durbé hanno gestito tutta la vicenda, dall’inizio alla fine, una fine scandalosa, senza curarsi minimamente di quanto sostenevano altri, senza un minimo di prudenza… La stessa pubblicazione è un esempio di colpevole superficialità. E poi chi l’ha voluta? Sempre Dario Durbé. A questo punto il soprintendente dovrà rispondere delle proprie azioni» («Il Giornale», 13 settembre).
Nicola Politi: «Perché non è stata tenuta in considerazione la testimonianza di Franco Rigoni, che riferì diligentemente quanto aveva visto?» («Il Giornale», 13 settembre).
Angelo Froglia: «Non avevo nessuna intenzione di fare uno scherzo. È stata proprio la storia della beffa dei ragazzi a fare rimandare la mia «confessione». Ho fatto quelle statue solo per dimostrare che ormai critici e galleristi, TV e giornali possono far credere opere d’arte pezzi di pietra che non valgono nulla. La mia è stata solo un’operazione artistica» («Il Secolo XIX» e vari quotidiani, 14 settembre); «La pietra in granito l’ho fatta in dieci ore, la seconda in arenaria in venti minuti… Ho cotto le due pietre per due ore in un forno improvvisato e le ho bagnate con una soluzione di acido muriatico e di Vim, il detersivo. Pensavo che così i periti avrebbero scoperto più facilmente che si trattava di falsi… Le ho fatte apposta molto brutte e apposta ho scelto il granito che Modigliani non ha mai usato, pensavo di facilitare il compito ai critici» («La Repubblica» e vari quotidiani, 14 settembre).
Daniel Marchesseau: «Le teste esposte nella mostra di Livorno mi sono sembrate mille… o si tratta di falsi, oppure di opere così mal riuscite che Modigliani ha fatto benissimo a buttarle in un fosso» («La Repubblica», 14 settembre).
Giovanni Testori: «I critici chiamati alla bisogna, o ad essa accorsi (fra i quali uno v’è che, quanto a scultura moderna, aveva già preso l’enorme “‘gaffe” dei falsi Martini, mentre che si trovava sindaco dell’Urbe)… Aldilà della ridicola insensatezza plastica delle tre teste… a quella data [1909], Modigliani non avveva ancora trovato il “modiglianismo” su cui, invece, i tre reperti sono stati palesemente realizzati… Certo sbagliare è possibile a tutti… Senonché una volta che s’è riconosciuto d’essersi sbagliati, il minimo che un buon critico deve fare, per poter ancora essere rispettato, è di scegliere il silenzio o l’umiltà» («Corriere della Sera», 14 settembre).
Dario Micacchi: «Tutto il guasto e la beffa della falsa o delle false sculture di Modigliani, buttate nel Fosso Reale, è nato dal modo sciagurato con il quale storici dell’arte e autorità responsabili hanno voluto condurre tutta l’operazione delle ricerche delle teste nel fosso e la gestione della ricerca e della scoperta stessa come un grandissimo spettacolo, del quale dovevano essere protagonisti e con loro tutta Livorno che ora, giustamente, si sente offesa e umiliata… La draga è la testimonianza della non scientificità dell’operazione per l’affare Modigliani» («L’Unità», 14 settembre).
il 5 settembre, Angelo Froglia rende pubblico il filmato che documenta le varie fasi di realizzazione e invecchiamento di «Modi 1» e «Modì 3».
Dario Durbé: «Non posso prendere nessuna iniziativa legale a difesa della mia reputazione di studioso, ma sono pronto a ribadire tutte le mie affermazioni sull’autenticità delle teste davanti alla magistratura. I processi devono essere fatti da chi di dovere e non dai giornali o dalla televisione e sarebbe compito del ministero dei Beni culturali dar corso ad un’azione di denuncia tramite l’avvocatura dello Stato» («La Gazzetta del Mezzogiorno» e vari quotidiani, 15 settembre).
Jean Leymarie: «Tutti erano entusiasti della scoperta, c’era un clima incredibile a Livorno: un’emozione e un trasporto eccezionali… Una volta a Livorno, mi sono lasciato convincere. Per tutti erano autentiche: gli ho creduto» («Il Messaggero», 15 settembre).
Mino Maccari: «È una storia provvidenziale. Perché ha svelato a che basso livello sono questi figli del ducismo, che non ammettono di sbagliare nemmeno per sbaglio… Chi aveva un occhio critico, clinico, era Morandi. Adesso solo uno ha doti naturali ed è Zeri» («La Stampa» 15 settembre).
Vittorio Sgarbi: «L’occhio è il terminale dell’intelligenza di un conoscitore… Argan coraggioso fino al ridicolo, ha sostenuto, anche di fronte all’evidenza contraria, l’autografia, pur invocando le prove tecniche. Ma è risaputo che la sua intelligenza non è mai stata provvista dell’occhio» («L’Europeo», n. 38, settembre).
Lamberto Vitali: «Non fatemi pronunciare una sola parola. Non voglio sapere nulla di quella storia. Per me non esiste, non è mai accaduto niente» («Il Messaggero», 15 set.).
Arturo Carlo Quintavalle: «Salvo Spagnol, che critico d’arte non è, sulle scoperte… tutti sono stati o pienamente consenzienti oppure appena perplessi. Forse perché, come chi scrive, i pezzi li avevano visti solo nelle riproduzioni pessime dei quotidiani, mentre il giudizio si deve dare davanti all’opera. La fascia dei perplessi comprende nomi che poi sono passati dalla perplessità al rifiuto, mi sembra correttamente, una volta emerse le prime prove della burla» («Panorama», n. 962, settembre).
Giovanni Urbani: «Non esiste un vero “conoscitore” in senso tecnico di Modigliani. D’altra parte un esperto del genere sarebbe un cretino perché avrebbe perso la vita dietro a un pittore tutto sommato di second’ordine» («Panorama», n. 962, settembre).
Federico Zeri: «[Lo sbaglio] si spiega col fatto che per esempio Argan e Brandi non sono dei «conoscitori», bensì dei teorici, o anche dei chiacchieroni. Sono quelli che hanno fatto comprare allo Stato la “Madonna della palma” spacciata per “Raffaello e aiuto” mentre si trattava di una vistosa crosta» («Panorama», n. 962 settembre).
Giulia Borghese: «A rammaricarsi di questo linciaggio definitivo [la pagina di pubblicità sul “Corriere della Sera” e “Repubblica” di domenica 16 settembre: “È facile essere bravi con Black & Decker”] sono stati però i ragazzi, dal liceo classico passati in questi giorni all’università, che non hanno più molte speranze di riuscire a vendere bene il testo di storia dell’arte firmato Argan; “Argan non tira più”, dicono, “inutile fare lo sforzo di portarlo al mercatino. E pensare che l’anno scorso si poteva prendere anche l’ottanta per cento del prezzo di copertina”» («Corriere della Sera», 19 settembre).
Enzo Carli : «Amiamo troppo questo artista, e una cosa fatta da lui, anche se brutta, ci commuove. È stato questo grande amore ad indurci a sbagliare, a tradirci» («Il Tirreno», 20 settembre).