Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Stralci da una conversazione dello storico dell’arte Federico Zeri per un documentario realizzato da Anna Zanoli nel 1996 per conto dei proprietari di una speciale collezione privata* di dipinti su pietra. Dal “Giornale dell’Arte” n° 195, gennaio 2001
[…] Il discorso intorno alla pittura su pietra non può fare a meno di iniziare con l’antichità classica. Dipinti eseguiti su pietra esistevano nell’antichità greco-romana. Innanzi tutto, abbiamo delle steli funerarie, rare ma bene evidenti, dovute al mondo ellenistico nelle quali la parte superiore, invece di essere scolpita a rilievo, era dipinta. Sono stele molto rovinate ma si conoscono. Sono state trovate in varie località del mondo toccato dalla società ellenistica. Quadri veri e propri su pietra sono stati rinvenuti a Pompei. Pochi, ma sono stati rinvenuti. Sono generalmente dipinti a contorno, con poco colore.
Sono oggi nel Museo Nazionale di Napoli, due o tre, ma comunque quadri su pietra dovevano esistere. Ma la vera e propria pittura su pietra che a noi interessa incomincia agli inizi del secolo XVI e il primo grande dipinto eseguito su lavagna è dovuto al pittore Sebastiano Luciani, detto Sebastiano del Piombo, di origine veneziana, poi trasferitosi a Roma. Egli eseguì per la cappella Chigi nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma una grande pala d’altare dipinta su lastre di lavagna raffigurante la Natività della Vergine. Sebastiano del Piombo era un entusiasta di questo tipo di pittura e la raccomandava anche agli amici.
Quando Michelangelo Buonarroti ebbe da Clemente VII l’incarico di dipingere nella cappella Sistina il Giudizio Universale, Sebastiano gli consigliò non di eseguire un affresco, ma di dipingere l’immensa parete rivestendola di lastre di ardesia. Michelangelo non era certamente il tipo da dare ascolto a un consiglio del genere; egli era un frescante, eseguiva gli affreschi con grande rapidità e con grande velocità, cosa che sarebbe stata impossibile con le lastre di lavagna dove la scrittura pittorica è simile a quella dei dipinti su tavola o su tela, cioè molto lenta. Egli non volle seguire il consiglio di Sebastiano che se ne offese moltissimo.
La pittura su lavagna deve essere stata cara a Sebastiano per motivi soprattutto tecnici perché la lavagna non si altera e, soprattutto, non ha bisogno di preparazione. Una volta che il colore è stato disteso sulla lavagna, teoricamente rimane inalterato per sempre mentre il dipinto su tela ha bisogno di una preparazione, la quale col tempo si altera e divora i colori sovrastanti, mutando completamente quello che è l’accordo cromatico. Questo è accaduto a innumerevoli opere, soprattutto nel secolo XVII: i cosiddetti «Tenebrosi napoletani» sono in realtà pittori di quadri molto chiari che sono diventati scuri a causa dell’alterazione della preparazione in genere, ed è accaduto anche a moltissimi quadri su tavola, perché anche sulla tavola, a meno che la preparazione non sia stata condotta con estrema cura e meticolosità, la preparazione cattiva altera il colore, invece sul quadro-lavagna i colori rimangono immutati nei secoli.
Naturalmente, se il dipinto è molto grande, i vari pezzi di lavagna devono essere stuccati con grande cura e noi sappiamo che intorno a Sebastiano, o da parte di pittori influenzati da Sebastiano, sono esistiti quadri dipinti su ardesia, su lavagna – ad esempio un ritratto di una nobildonna che fino al 1943 era conservato nella Galleria Borghese di Roma e che poi è andato distrutto. […]
Ma la vera fortuna dei quadri su lavagna, che si estende poi ad altri tipi su pietra, comincia con lo stile che noi oggi denominiamo manierismo, negli anni Cinquanta, e deve essere iniziato, a Roma soprattutto, nell’ambiente di Taddeo e di Federico Zuccari. Esiste un quadro nella Galleria Palatina di Firenze attribuito a Federico Zuccari che è dipinto su pietra, su una sorta di pietra venata, e rappresenta l’Assunzione della Maddalena. Comincia un fatto strano: spesso la pietra con le sue venature condiziona la composizione del quadro e quindi il dipinto su pietra comincia a diventare un atto di «artifizio intellettuale», di cosa rara.
Ed è da questo ambiente romano che la moda si è diffusa in altri ambienti europei, soprattutto in quello che noi oggi definiamo manierismo internazionale e che, traendo elementi stilistici soprattutto da Roma, da Firenze e da altri centri italiani, li ha interpretati in modo molto originale alla corte di Rodolfo II di Praga. E nel manierismo internazionale che cominciano ad apparire quadri su pietra si potrebbe dire estremamente intellettualistici, capricciosi, che hanno l’aspetto non più di quadri normali ma di quadri da Wunderkammer, cioè da collezione privata di rarità, di cose uniche, di raffinatezze.
L’ultimo grande quadro su pietra a me noto, anzi gli ultimi grandi quadri su pietra a me noti, sono quelli dipinti a Roma da Pietro Paolo Rubens per l’altare maggiore della Chiesa Nuova, a Roma, agli inizi del Seicento. Perché Rubens ha usato questa tecnica? Deve essere stato per ragioni di conservazione. Cioè io penso che dopo aver esaminato il luogo per il quale erano destinati i dipinti, deve aver capito che doveva essere sottoposto a gravi rischi di umidità e, quindi, ha preferito usare un materiale come la lavagna che non si poteva facilmente deteriorare per l’umidità come l’affresco e la tavola. Quadri che fra l’altro ancora oggi sono perfettamente conservati perché, come ho detto all’inizio, la pittura su lavagna non è sottoposta a quelle alterazioni cromatiche alle quali invece vanno incontro i quadri che hanno una preparazione, come i quadri su tela, né sono sottoposti a quei restringimenti, a quegli allargamenti dovuti a differenze climatiche ai quali invece vanno incontro i quadri su tavola, provocando poi cadute di colore. Quindi, come Sebastiano del Piombo deve avere cominciato a dipingere la grande pala di Santa Maria del Popolo ad olio su lavagna per ragioni proprio conservative, lo stesso deve essere accaduto nel caso di Pietro Paolo Rubens.
Ma agli inizi del Seicento la moda per i quadri su lavagna si diffuse in un’area molto prolifica che è quella veneta e, a parte quadri dipinti in ambiente Veneto vero e proprio dovuti anche ad artisti nordici, abbiamo la scuola di Verona di cui i tre principali rappresentanti, all’inizio del secolo XVII, Pasquale Ottino, Marcantonio Bassetti e Alessandro Turchi, detto l’Orbetto, hanno dipinto un’enorme quantità di quadri su lavagna, tant’è vero che molto spesso la lavagna di questi quadri è chiamata «pietra di Verona».
Nel caso dei tre pittori veronesi, l’uso della lavagna non è sollecitato da motivi di conservazione ma è proprio un fatto di stile. Si capisce benissimo che soprattutto nelle scene sacre, quelle dell’Orbetto, il fondo scuro fa parte della tavolozza del dipinto, ha un connotato quasi religioso, quasi misterioso. Un fondo scuro che non ha più profondità, che può essere infinitamente profondo, sul quale risaltano alcune scene talvolta tragiche come la Deposizione di Cristo e la Pietà.
È proprio un fatto di stile che diventa elemento costitutivo del tessuto figurativo del quadro. In altri casi, sempre nella stessa epoca, e mi riferisco al manierismo internazionale e alla scuola romana del tardo Cinquecento, la pietra o la lavagna sono sempre elementi di rarità, di capriccio, di preziosità. Un pittore il quale ha eseguito dipinti di straordinaria raffinatezza su pietra venata, che poteva essere alabastro o altro marmo venato, è Antonio Tempesta. E molte volte nei suoi quadri, dipinti su supporto di pietra o di lavagna, la composizione, e persino il soggetto, sono condizionati dall’andamento delle venature della pietra.
Ci sono dei quadri del Tempesta nei quali sono rappresentate delle scene bibliche, come «Il Passaggio del Mar Rosso con l’esercito del Faraone che va a finire sott’acqua», nei quali l’andamento della venatura della pietra diventa parte costituente della composizione del disegno del dipinto stesso. Quindi, sono veri e propri tour de force intellettualistici e questo spiega il successo che dipinti del genere hanno avuto in un’arte intellettualistica, raffinata e preziosa come il manierismo internazionale. Nello stesso tempo però incominciano a essere dipinti dei quadri anche su pietra preziosa o semipreziosa, per esempio su lapislazzulì.
Mentre noi non conosciamo nella prima metà del Cinquecento o fino agli inizi del Seicento quadri in cui la pittura a olio sia distesa su pietre colorate come può essere l’ametista, il lapislazzuli indiano o persiano e altre pietre semipreziose, nel Seicento questi quadri cominciano ad apparire e spesso sono dovuti anche a grandi maestri. Esistono dei quadri, piccoli sempre, su lapislazzuli che sono dovuti a grandi maestri della scuola di Roma, ad esempio Gianfrancesco Romanelli o altri allievi di Pietro da Cortona.
Sono oggetti sempre da collezione raffinata, non sono oggetti dipinti per essere messi in una galleria comune o usati come quadri devozionali; si sente sempre che c’è un intento preciso di costruire dei preziosi oggetti da grande raccolta, oggetti che potevano essere esposti accanto a bronzi cesellati, cristalli di rocca. E l’epoca, appunto, in cui ci sono delle collezioni che si formano con questi prodotti estremamente rari, difficili a eseguire e che hanno uno speciale valore.
La moda poi dei dipinti su pietra comincia a diffondersi per tutta Europa. Noi abbiamo dei dipinti su pietra eseguiti, per esempio in Francia; li abbiamo a Lione, a Parigi, in Fiandra e in Germania. Ma cominciano anche a specificarsi vari tipi di dipinti su pietra in quanto, talvolta, si tratta semplicemente di capricci pittorici, altre volte invece, la pietra viene scelta unicamente perché o le sue venature o il suo colore possono accrescere i connotati tenebrosi o misteriosi o romanzeschi del soggetto raffigurato.
Un pittore il quale sceglie la pietra proprio per accentuare gli aspetti misteriosi, cupi o favolosi dei suoi soggetti è Leonardo Bramer. In certi dipinti di Leonardo Bramer, che raffigurano martiri di santi, scene zingaresche o di rapimenti, di saccheggi al lume di fiaccole, ecc, il fondo scuro è adoperato per accrescere quel non so che di inquietante, di tenebroso, di pauroso che hanno questi quadri. Quadri che hanno avuto successo in tutta Europa e che si sono diffusi anche per l’alto prezzo grazie al quale venivano acquistati dai collezionisti.
Erano quadri molto rari. Sono stati eseguiti in gran quantità ma erano oggetti preziosi perché una volta caduti si rompevano, e il quadro su pietra, una volta caduto, non si può più riparare. Quindi erano quadri preziosi anche per questo aspetto conservativo. Il colore si conservava, ma una volta caduto, il danno fatto dalla caduta era irrimediabile. Quindi, abbiamo quadri a Venezia già nel tardo Cinquecento, nella scuola dei Bassano, in Germania e si potrebbe andare avanti così. Il quadro su pietra può anche avere avuto, in certi casi, un connotato magico. È ragionevole il sospetto che, talvolta, la pietra nera sia stata adoperata quasi a scopo apotropaico.