Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Adalgisa Lugli racconta come le collezioni di mirabilia sono state il punto focale del rapporto Arte e Scienza dal Cinquecento al Settecento e come queste hanno ispirato molte opere del Novecento. dal “Giornale dell’Arte” n. 35 luglio 1986
Per la 42ª Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, Adalgisa Lugli ha curando una mostra sulle Wunderkammer, che è parte della grande manifestazione sul tema «Arte e scienza», diretta da Maurizio Calvesi. Adalgisa Lugli è autrice del primo libro uscito in Italia sull’argomento Naturalia et Mirabilia. Il collezionismo enciclopedico nelle Wunderkammern d’Europa (Milano, Mazzotta, 1983) e insegna al Dipartimento delle Arti Visive dell’Università di Bologna.
Da dove viene il suo interesse sull’argomento e come mai una mostra sulle Wunderkammem a Venezia?
Credo che dopo gli studi fondamentali di inizio Novecento di Murray e Schloss.er, quest’ultimo tradotto in italiano nel 1974, fosse necessario tornare su un tema così importante e affascinante come quello delle collezioni di meraviglie ed estenderlo al Novecento e al contemporaneo. L’idea di farne una mostra è venuta considerando che la Wunderkammern è un momento centrale del rapporto arte e scienza dal Cinquecento al Settecento.
In che senso?
È uno dei rarissimi episodi di storia della scienza e di storia dell’arte in cui arte e scienza riescono a convivere nella collezione come due facce della stessa medaglia. Sembra impossibile ammetterlo oggi, in uno dei momenti di massima divaricazione tra il pensiero umanistico e quello scientifico, ma il collezionista di meraviglie, che è molto spesso uno scienziato o un principe praticante di scienza, non trova affatto strano ammettere uno accanto all’altro reperti di natura e oggetti d’arte. Entrambi fanno parte di uno stesso disegno e realizzano insieme l’unità di un mondo senza fratture, che è quello che si vuole rappresentare nella collezione.
Come mai una mostra con un avvio storico alla Biennale di Venezia, che si è sempre presentata come la vetrina delle novità della ricerca artistica contemporanea?
Credo che dare il senso della continuità della ricerca sia un modo molto corretto di informare il pubblico. Certo i salti e le fratture ci sono soprattutto nel lavoro delle avanguardie del Novecento, ma gli intrecci passato-presente sono molto più numerosi e fecondi di quanto si pensi. Per quanto riguarda le Wunderkammern ad esempio, la ripresa del tema della meraviglia, come lo frequentano i Surrealisti, le chiama in causa direttamente. Molti artisti surrealisti hanno una piccola Wunderkammern personale.
E i contemporanei?
Dagli anni ’60 ad oggi c’è una ricerca che passa dentro l’idea di meraviglia, magari senza dirlo esplicitamente, ma comunque frequentando molto da vicino i temi arte e natura, anche sotto altre etichette. Parecchi artisti che hanno lavorato nell’ambito dell’Arte Povera si possono riconoscere in una riproposta di materiali e forme insolite.
Una mostra a tema quindi?
No, non è una mostra a tema e credo che nessuna di Arte e Scienza lo sia. Non si tratta di inventarsi un tema più o meno gratuito come sempre succede e poi farci rientrare le opere più disparate, quando non addirittura commissionarle o sollecitarle dagli artisti. L’impostazione di questa Biennale, come della precedente, sempre curata da Calvesi, ha un respiro ampio. Le opere si confrontano, passato e presente, e il gioco delle interpretazioni si arricchisce di ulteriori significati. Nella mia mostra, ad esempio, accanto a lavori cinquecenteschi e seicenteschi splendidi, prestati dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, ci sono due opere di Prampolini degli anni ’30 in pietre dure, eseguiti con lo stesso utilizzo pittorico dei materiali. Gli artisti percorrono spesso cammini già sperimentati, magari senza saperlo, ma sempre con un potere straordinario di reinvenzione. Il commesso in pietre dure astratto di Prampolini lo prova.
Un gioco di risonanze e di paragoni?
Certamente. Le camere indicate dei pittori metafisici, di de Chirico, di Savinio e di De Pisis sono anche loro delle camere di meraviglie del Novecento. Qui l’artista che dipinge l’ambiente si costruisce un piccolo teatrino da tavola, un teatrino come l’«Isola portatile» di Alberto Savinio o il «Paysage dans la chambre» di de Chirico entrambi esposti alla mostra. Paesaggi miniaturizzati di questo genere, di corallo, di minerali, di pietre rare erano oggetti presenti nelle Wunderkammern.
Quali sono i Mirabilia che vedremo a Venezia?
I Mirabilia saranno tanti. Per l’antico ci sarà la splendida scultura di un’artista bolognese del primo Cinquecento ricordata da Vasari per il suo talento e per la sua abilità tecnica, Properzia de’ Rossi. L’oggetto viene dal Museo degli Argenti di Firenze ed è un nocciolo di ciliegia scolpito con più di cento piccole teste. Dalla prestigiosissima collezione di Ambras viene uno dei pezzi che hanno costituito per secoli una delle maggiori attrazioni dei Musei Imperiali di Vienna, il «Diabolus in vitro». È un oggetto magico, un prisma di vetro in cui è inclusa misteriosamente una figuretta nera, un diavolo uscito per esorcismo da un indemoniato. I Mirabilia del Novecento sono curiose metamorfosi come le scarpe trasformate in pollo di Meret Oppenheim («Ma gouvernante», 1936) dal Moderna Museet di Stoccolma. Saranno visualizzati anche collages, assemblages dadaisti e surrealisti e quella che è forse la più importante Wunderkammern del Novecento, la Merzbau di Schwitters e ancora gli studi degli artisti come la più autentica e progettuale «camera di meraviglie».