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Leonor Fini

L’ultima artista del Surrealismo storico, dal “Giornale dell’Arte” n. 141, febbraio 1996

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Leonor Fini – Parigi anni ‘50 – coll. privata, Trieste – © Marianna Accerboni

Madre austriaca, padre argentino, nascita a Buenos Aires, nel 1908; infanzia a Trieste con la madre abbandonata, colpo di fulmine, per la pittura, in un obitorio, dove con la complicità di un guardiano si recava a copiare cadaveri di morti di morte violenta; più tardi, strane feste di compleanno per pochi intimi in un monastero sconsacrato a picco sul mare, a Cap Corse, e più d’uno mormorava di riti dionisiaci.

Léonor Fini, scomparsa il 18 febbraio a 88 anni nell’ospedale parigino dov’era stata ricoverata per un’influenza degenerata in polmonite, non faceva nulla per non attribuire ulteriore inquietudine a dipinti intrisi di mauditi-sme, satanismo e mistero. L’ultima rappresentante del Surrealismo storico (anche se lei, poco incline alle ferree regole imposte di Breton, non era mai entrata a far parte ufficialmente del gruppo) si forma negli anni Venti a Milano, nello studio del novecentista Funi, e tra i maestri della Pinacoteca di Brera; poi, come tanti, nel 1933 va a Parigi.

A contatto con Dalí, Max Ernst che definisce la sua pittura «supremamente femminile» (una «spruzzata d’arsenico» avrebbe poi detto Sartre), Man Ray, Eluard e Bataille, coltiva i suoi «fleurs du mal» tra Rimbaud, Baudelaire, Lautremont e Sade. Dopo gli anni di guerra trascorsi a Roma, si afferma anche come scenografa, lavorando tra l’altro per il «Tannhäuser» di Barrault all’Opera di Parigi e per Luchino Visconti in «Peccato che sia una sgualdrina». Più avanti Fellini, noto cultore non solo di matronali attributi ma anche di donne-felino, le avrebbe affidato una breve parte in «Satyricon».

Pur appartenendo al versante figurativo del Surrealismo, Léonor Fini non fatica a imporsi neanche nella New York espressionista-astratta entrando nelle grazie di un’altra femme-fatale, Peggy Guggenheim. In Italia, «complice» Luigi Carluccio e forse l’aura magico-esoterica della città, era amata soprattutto a Torino, dove tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta espone nelle rassegne «Francia-Italia» e nelle gallerie Dantesca e Il Fauno, mentre a Trieste, nel 1969, è la prima donna a ricevere il «San Giustino d’oro», che i giornalisti locali tradizionalmente attribuiscono a un concittadino distintosi nel mondo.

«La leggenda crudele» che dava il titolo a un film dedicatole da Gabriel Poumeraud, avrebbe coinvolto anche lei, ex «furia italiana» (ancora Max Ernst), negli ultimi anni dimenticata dal mondo dell’arte tra i gatti della sua molto surreale casa di place des Victoires.

Leonor Fini nel suo studio a Parigi, 1950 ca.

Leonor Fini fotografata da Dora Maar, 1936

Leonor Fini fotografata da André Ostier in costume come in una fiaba di Aubrey Beardsley, Parigi, 1951