Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
L’ultima artista del Surrealismo storico, dal “Giornale dell’Arte” n. 141, febbraio 1996
Madre austriaca, padre argentino, nascita a Buenos Aires, nel 1908; infanzia a Trieste con la madre abbandonata, colpo di fulmine, per la pittura, in un obitorio, dove con la complicità di un guardiano si recava a copiare cadaveri di morti di morte violenta; più tardi, strane feste di compleanno per pochi intimi in un monastero sconsacrato a picco sul mare, a Cap Corse, e più d’uno mormorava di riti dionisiaci.
Léonor Fini, scomparsa il 18 febbraio a 88 anni nell’ospedale parigino dov’era stata ricoverata per un’influenza degenerata in polmonite, non faceva nulla per non attribuire ulteriore inquietudine a dipinti intrisi di mauditi-sme, satanismo e mistero. L’ultima rappresentante del Surrealismo storico (anche se lei, poco incline alle ferree regole imposte di Breton, non era mai entrata a far parte ufficialmente del gruppo) si forma negli anni Venti a Milano, nello studio del novecentista Funi, e tra i maestri della Pinacoteca di Brera; poi, come tanti, nel 1933 va a Parigi.
A contatto con Dalí, Max Ernst che definisce la sua pittura «supremamente femminile» (una «spruzzata d’arsenico» avrebbe poi detto Sartre), Man Ray, Eluard e Bataille, coltiva i suoi «fleurs du mal» tra Rimbaud, Baudelaire, Lautremont e Sade. Dopo gli anni di guerra trascorsi a Roma, si afferma anche come scenografa, lavorando tra l’altro per il «Tannhäuser» di Barrault all’Opera di Parigi e per Luchino Visconti in «Peccato che sia una sgualdrina». Più avanti Fellini, noto cultore non solo di matronali attributi ma anche di donne-felino, le avrebbe affidato una breve parte in «Satyricon».
Pur appartenendo al versante figurativo del Surrealismo, Léonor Fini non fatica a imporsi neanche nella New York espressionista-astratta entrando nelle grazie di un’altra femme-fatale, Peggy Guggenheim. In Italia, «complice» Luigi Carluccio e forse l’aura magico-esoterica della città, era amata soprattutto a Torino, dove tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta espone nelle rassegne «Francia-Italia» e nelle gallerie Dantesca e Il Fauno, mentre a Trieste, nel 1969, è la prima donna a ricevere il «San Giustino d’oro», che i giornalisti locali tradizionalmente attribuiscono a un concittadino distintosi nel mondo.
«La leggenda crudele» che dava il titolo a un film dedicatole da Gabriel Poumeraud, avrebbe coinvolto anche lei, ex «furia italiana» (ancora Max Ernst), negli ultimi anni dimenticata dal mondo dell’arte tra i gatti della sua molto surreale casa di place des Victoires.