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Quadri da Wunderkammer (vol. 2/2)

Stralci da una conversazione dello storico dell’arte Federico Zeri per un documentario realizzato da Anna Zanoli nel 1996 per conto dei proprietari di una speciale collezione privata* di dipinti su pietra. Dal “Giornale dell’Arte” n° 195, gennaio 2001

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Francesco e Cosimo Fancelli (stucchi), André Bosman, Ciro Ferri, Niccolò Stanchi (specchiere dipinte), 1671 -1678, rilievi dorati in stucco, sculture e bassorilievi monocromi, alabastro e marmi policromi, busti in marmo antico e specchi dipinti contornati da cornici a foglia d’oro, Palazzo Borghese, Galleria degli specchi, Roma

Come è accaduto per certi dipinti su vetro che anch’essi si sono grandemente diffusi nel secolo XVII, ma che sono sopravvissuti in piccolissime quantità perché il vetro è ancora più fragile della pietra di lavagna. Noi sappiamo che in molti centri italiani, ad esempio a Napoli, è esistita una grande produzione di quadri su vetro che sono spariti quasi completamente, lo penso che la quantità sopravvissuta non arrivi nemmeno al 5%. Esistono persino dei quadri firmati, in certi casi, su vetro dai quali si capisce che la produzione doveva essere molto abbondante, che non si sono salvati, anche perché il vetro sul quale erano dipinti non era vetro molto solido e con l’andare del tempo si è quasi sbriciolato, distruggendo anche la pittura, oltre poi alle cadute e ai colpi ricevuti.

Accanto al quadro su vetro, che sicuramente aveva dei connotati in certi casi apotropaici, di protezione contro il malocchio, sono esistiti i quadri su specchio che in molti casi sono anche di grandi dimensioni. Come i grandi specchi che si trovano ancora oggi in due palazzi di Roma: Palazzo Colonna e Palazzo Borghese. Palazzo Colonna, dove quattro grandi specchi rappresentano dei putti con dei fiori e due di questi sono stati eseguiti dal grande pittore Mario Nuzi detto Mario dei Fiori.

Lo stesso è accaduto nei grandi specchi di Palazzo Borghese, specchi che sono eseguiti riunendo insieme vari specchi più piccoli. Le giunture in questi casi sono ricoperte dalle ghirlande di fiori, in modo da non essere viste, ma i dipinti sono molto alterati perché gli specchi hanno perso la loro lucentezza, la loro brillantezza originaria. Ma questi quadri su specchio dovevano essere anch’essi molto più frequenti di quello che non si creda. Non si sono salvati quelli che non erano murati. In effetti, i grandi esempi di Palazzo Colonna e di Palazzo Borghese si sono conservati perché sono murati nella parete e circondati da una grande cornice di stucco.

Sono inamovibili. Quelli invece che erano trasportabili devono essersi distrutti in grandi quantità. E, in effetti, quadri su specchi con soggetti profani sono rarissimi. Se ne conoscono pochissimi, e quei pochi che si conoscono sono in genere conservati molto male, perché anche lì lo specchio, cioè l’argento applicato sul retro della lastra di vetro, si è in gran parte ossidato o si è distaccato, quindi sono quadri completamente rovinati. Io ne conosco solo due, molto piccoli, in perfetto stato di conservazione. Tutto questo tipo di produzione su lavagna su vetro, poi su pietre semipreziose e su specchio, forma un grande corpus che si stacca completamente dalla pittura su tela, su tavola o ad affresco, e che ha sempre questo connotato di preziosità, di rarità, quasi misteriosa in certi casi, e poi cessa con la fine dello stile barocco, per essere ripreso, solo saltuariamente, nel secolo XVIII e anche nel secolo XIX.

Il colmo del virtuosismo dei dipinti su pietra è raggiunto in quei pezzi eseguiti sulla cosiddetta pietra paesina che veniva cavata a Volterra. È un minerale denso di fratture e di repentini passaggi di tonalità generalmente sul bruno. Questa pietra veniva tagliata e, molto spesso, i pittori la sceglievano proprio in base alle striature e ai passaggi di tono che dettavano i caratteri del paesaggio di fondo. […] La pittura su lavagna imponeva un certo modo di dipingere che è privo di quella disinvolta libertà con cui i pittori dipingevano, per esempio, su tela o su tavola (soprattutto su tela), quindi questo è un ostacolo proprio alla localizzazione delle opere.

È probabile, però, che nel secolo XVII queste pitture su lavagna, ad esempio la natura morta, fossero molto più diffuse di quanto noi non possiamo credere perché la distruzione di queste opere, in epoca rococò e in epoca neoclassica, deve essere stata enorme. Se si pensa al gusto neoclassico con il suo amore per il bianco quando la stessa scultura antica viene concepita candida, mentre in realtà era dipinta a colori, quando gli edifici in stile neoclassico con ordini dorico, ionico e corinzio vengono costruiti con marmo bianco, mentre gli antichi li dipingevano, si può ben capire come questo tipo di pittura fosse assolutamente odiato dal gusto neoclassico e quindi molte opere siano andate distrutte.

E, in effetti, se noi esaminiamo gli inventari delle collezioni eseguite in epoca postrivoluzionaria, in epoca napoleonica o nel primo romanticismo, vediamo che i quadri su lavagna praticamente non esistono. Le grandi collezioni eseguite in quell’epoca (Luciano Bonaparte ad esempio, oppure Solly, la cui raccolta poi è servita a gettare le basi al Museo di Berlino) non contengono o quasi quadri su lavagna che venivano considerati come delle bizzarre produzioni di un gusto depravato, quello che poi verrà detto comunemente il «gusto barocco» quando il barocco, più che uno stile, verrà a significare una mentalità deviata, priva di gusto e priva assolutamente di sincerità espressiva.

Oggi, se noi guardiamo le produzioni artistiche nel contesto della loro epoca, della società che le ha prodotte, e le mettiamo in rapporto con altre espressioni coeve come la musica, come l’architettura, come la stessa religione, ci accorgiamo che questi quadri su lavagna hanno avuto invece una grande importanza perché vanno proprio messi in rapporto con un certo amore per l’insolito, per il bizzarro, per il prezioso, che è caratteristico del periodo post rinascimentale.

Nelle opere in pietra paesina è il materiale stesso il vero protagonista, con i suoi tagli irregolari che delinea scenari. Basti pensare che negli inventari seicenteschi di alcune raccolte soprattutto romane queste piccole opere vengono indicate senza precisazione né degli autori, né dei soggetti. Eppure artisti di grande fama sia italiani sia europei, come ad esempio Francesco e Jacopo Bassano, Giovanni Bilivert, Leonaert Bramer, Felice Brusasorci, Joseph Heinz, Antonio Tempesta usarono ampiamente queste pietre.