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Sibilla Aleramo

L’amore per Endimione mi afferrò; anch’esso diverso da ogni altro, forse più forte d’ogni altro, e per due anni fui tutta solamente un grumo d’adorazione e di sofferenza, sin ch’egli non morì“. Così scrive Sibilla e il suo Endimione è all ‘anagrafe Tullio Bozza, morto di tisi nel 1922 a soli 31 anni,  ‘Endimione’ è anche il titolo del poema drammatico in tre atti a lui ispirato e dedicato al poeta vate.

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Giovan Battista Cima Detto Cima Da Conegliano, “Endimione dormiente” frammento ca. 1505 – 1510, Galleria nazionale di Parma

Endimione

Sibilla Aleramo all’anagrafe Rina Faccio, nel 1920  si trova a Napoli, ha 44 anni e vive una storia d’amore che può farle superare il tormento e la violenta passione, delle precedenti relazioni con il poeta Dino Campana e con Giovanni Merlo. Scriverà in seguito nel suo diario:

“Ho fatto della mia vita, come amante indomita, il capolavoro che non ho avuto così modo di creare in poesia. Ho contemplato l’agitato mistero del mio spirito e il lucido aspetto dell’universo. Uomini e donne sono sul mio cammino perché li ami. Li amo, li sento vivere, la loro vita si aggiunge alla mia. Che cosa sarei io senza questi incontri, senza le strade che ho percorso?”.

Il suo amante napoletano, non è un intellettuale, è uno schermitore: Tullio Giovanni Bozza, uno spadista della nazionale italiana con fondate ambizioni di medaglia nelle prossime le Olimpiadi di Anversa. Tullio ha quindici anni meno di Sibilla, è ammaliato da quella donna libera, anticonformista, invisa al mondo letterario maschile, amante corrisposta della bellissima e ribelle scrittrice Lina Poletti e conduce intime frequentazioni con Eleonora Duse, La Diva riconosciuta nei teatri di tutto il mondo.

Sibilla Aleramo a Napoli è di casa, poco tempo prima aveva avuto una relazione con il poeta Vincenzo Gerace e conosciuto Benedetto Croce, Matilde Serao, Roberto Bracco e altri intellettuali partenopei. Affascinata dalla bellezza del suo amante, scrive:

“Un giorno lo vidi nudo atleta nel suo sonno. Rugiada al mio sguardo, quell’arco perfetto dell’omero che il respiro felice solleva”.

Purtroppo il «mal sottile», la tubercolosi polmonare, consumerà lentamente Tullio Bozza sino alla sua morte, tra le braccia della sua amata, il 13 febbraio del 1922. In ricordo del suo perduto amore, la poetessa compone la tragedia in tre atti “Endimione, il poetico nome che aveva dato al suo amore, ispirata forse dall’opera di Keats e dalle plastiche immagini anche canoviane del giovane pastore, il personaggio mitologico di cui la leggenda greca narrava che fosse stato amato da Selene, la Luna. La dea, scesa a contemplare il giovane dormiente, gli avrebbe dato un eterno sonno per poter scendere sempre sulla terra per baciarlo.

«Di Endimione mi innamorarono esclusivamente la bellezza e la grazia: erano invero eccezionali, tanto da formare attorno a lui, per me contemplante, un alone di mito», avrebbe scritto vent’anni dopo la Aleramo in Diario di una donna parlando ancora una volta di Tullio Bozza, il suo amore napoletano. Per sempre bello e dormiente.

 

 

Tullio Bozza

Tullio Bozza