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Sibilla Aleramo e Dino Campana, lettere #5

Dal carteggio di Sibilla Aleramo e Dino Campana

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Epistola XI
Sibilla a Dino

Villa La Topaia, Borgo S. Lorenzo, lunedì sera, 7 agosto 1916*

Tremo aspettando che tu mi scriva. M’hai amato, quei giorni. T’ho avuto tutto nel primo sguardo, cosi interamente. Perché tremo? E l’ultima sera m’hai detto: “Tanto dubitavi di te?…”.
Oh, ma è la verità. Dino. Io, che non vorrei, che mai avrei voluto cambiarmi con un’altra creatura, io che so il mio valore, so anche tutta la mia miseria, so che se tu domani mi scrivessi che è stato un sogno, che ti sei svegliato, che non mi ami, troverei nel mio orrore da chinare il capo… Perché amarmi, tu? Anche oggi, che povere frasi sciocche devo averti scritto. Come quando t’ero accanto, che non sapevo che piangere o baciarti. E ho fatto piangere tanti dacché vivo. Che importa se per ogni lagrima che ho fatto scendere ne ho versate io stessa cento. C’è tanta ombra intorno a me. Puoi averlo sentito, puoi, dopo che son partita, averlo sentito, tu che sei fatto per il sole… Dino, Dino!
M’hai detto: “tu non dici: sempre, mai, come le altre”. Ma stasera mi sembra che mai io mi sia sentita davanti all’amore una cosi piccola cosa oscura. Dopo tutto quanto ho vissuto e voluto, dopo aver benedetto ogni sforzo e ogni martirio credendo ogni volta di crescere e d’adunar luce in me, come mi trovo davanti a te! E se tu sapessi il disprezzo che ho per queste stesse parole con le quali cerco come d’inginocchiarmi. Tacere, non dovrei che tacere, aspettando. Bisogno di distruzione, dicevi… Come m’hai parlato del “nostro” lavoro, quell’ultimo mattino! Della cosa bella creata sotto il cielo dal fatto solo del nostro amore. – Senti i miei silenzi? – T’ho veduto staccato da tutti, libero come nessuno, e più umano ancora di me, oh Dino, ch’ero cosi sola a portar tutta la mia umanità. Ma più forte di me, anche. Più alto. So quel che dico. Che ti potrò dare? T’adoro. E sento tutta la mia impotenza. Baciarti.

***

Epistola XII
Sibilla a Dino

Villa La Topaia, Borgo S. Lorenzo, 7-8 agosto 1916

Notte – Possa tu riposare, mentre io ardo cosi nel pensiero di te e non trovo più il sonno, e sono felice. M’hai promesso di farti rivedere ancor più bello, mia bella belva bionda. Come passerai questi giorni e queste notti? Mi senti nella mia sciarpa azzurra, speranza, grazia? Riposa, riposa. Ci siamo meritati il miracolo. Lo vivremo tutto. E avrai tanta dolcezza anche dal dimenticarti in me, qualche momento, dall’avermi dinanzi come qualcosa a cui la tua dedizione sia sacra, fertile e sacra. Ho tanta fede, Dino. Mi sento ancora cosi forte, per questo scambio del nostro sangue.

***

Epistola XIII
Sibilla a Dino

La Topaia, Borgo S. Lorenzo, mattino, martedì 8 agosto 1916

Baciarti… Aspettando la posta, ecco cosa t’ho fatto…:

Fauno
Lontane dal mondo,
querce,
rade nel sole d’agosto,
acque fra sassi,
lontane dal tempo,
e tu
dorato ridi,
tu alla bianca mia spalla
tu alla verginea sua musica
gioia dagli occhi ridi.

(l’ultimo verso era venuto prima dei due penultimi: forse era meglio? Ma non ha importanza. È per noi). E non m’hai scritto…
Ho il terrore che tu non ti senta bene… Quei giorni son stati troppo belli. Ti supplico, Dino, tranquillizzami, mi basta una parola, te l’ho detto. E ora devo aspettare fino a domattina, la posta non viene che una volta…
Sono ancora sola, credo che gli ospiti torneranno domani. Stanotte ho riposato un poco, alzandomi avevo il viso roseo, ma ora son di nuovo inquieta. Vuoi ch’io ritorni subito?… Se vuoi, vengo, Dino. Ma tu m’avevi promesso di star bene, di aspettarmi con i tuoi occhi chiari, di riposarti pensando alla tua piccola. Mi ami sempre? Dolcezza, passione, smarrimento, sentimi. Tua
Ho fede, sai, tanta. Staremo insieme tanto – Guardiamo lontano. Amore. Baciami.
Preoccupazioni della Petite bourgeoise. Hai scritto a Vicchio? E al tuo paese per i vestiti e per il libri? Sei andato a veder di nuovo alla Casetta? E la russa, ti lascia in pace? Ho chiesto a Torino Una donna!. Spero tu lo possa avere per il 14.
Scrivimi subito, ti prego, poi per il 14 mi scriverai ancora, vero? qui.
Certi Gonzales da Milano non ti han chiesto i Canti? Non impensierirti, ti darò tregua con le mie epistole… Ma ora dimmi che stai bene e che mi vuoi bene. Soffro, ho bisogno di ritrovarti.

***

Julien Luchaire nel 1906. Fonte: Archivio G. Papini, Fondazione Primo Conti, Firenze.

Palazzo Lenzi, 1912, sede dell’Istituto Francese di Firenze. Fonte: Foto Brogi – Raccolte Museali Fratelli Alinari