Capsule Digitale

Un luogo del futuro

Le storie che seguono sono vagamente ispirate a fatti reali. Se qualcuno vorrà riconoscersi nei diversi personaggi lo farà per propria scelta, e a proprio rischio e pericolo. Questo libro non parla di nessuno in particolare ma forse di tutti noi, e certamente parla del sottoscritto, del quale costituisce una sorta di autoritratto divertito e disperato. Anche se, a dire il vero, qui non ci si dispera troppo, né troppo si spera; vi si accetta che il mondo è inesatto, e noi con lui

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Per inattesa ritrosia dell’edificio

Una nota collezionista francese con la voce chioccia ha annunciato qualche tempo fa che avrebbe aperto una seconda sede della sua Fondazione in una grande capitale europea. Questa decisione senza eguali, annunciata in pompa magna in presenza dei due politici di turno, i quali sono sempre pronti a farsi fare una foto con la bella gente, le ha portato l’attenzione della stampa del mondo dell’arte, notoriamente avida di facezie. Dopo una dozzina di interviste sul suo sempre più straordinario progetto, arriva la smentita: la stessa grande collezionista fa sapere che la Fondazione non si farà più. Ovviamente non per colpa sua, né di costi inaspettati o di accordi capestro mai raggiunti con l’amministrazione comunale. La colpa andrebbe attribuita – questo recita freddamente il comunicato stampa – all’edificio stesso: questo resisterebbe, potremo anzi meglio dire che non si piegherebbe alla visione del noto architetto internazionale ingaggiato per la sua ristrutturazione.

La inattesa ritrosia dell’edificio, con conseguente annullamento del progetto, sono annunciati in modo telegrafico, visto mai a qualcuno venisse voglia di andarci a vedere chiaro. Uno scrupolo di troppo – a dire il vero – da parte dell’ufficio stampa della collezionista con la voce chioccia: nel mondo dell’arte chi si prende la briga di scrivere qualcosa lo fa per pochi denari e se possibile senza recare disturbo, in punta di piedi. Perché mai inimicarsi qualche persona in vista precludendosi così un possibile invito a cena durante una fiera o un breve soggiorno tutto incluso in una qualche capitale del mondo? Il piacere di sentirsi parte del jet set è molto spesso superiore a qualsiasi velleità giornalistica o critica: meglio descrivere compiacenti che mettersi a scrivere con fare indagatore. Il problema è come sempre solo nostro: siamo privati senza appello di un ennesimo “hub” culturale, nel quale gli artisti sarebbero andati in residenza, mettendo a disposizione del pubblico indimenticabili momenti relazionali e performativi. In questo spazio la nostra mecenate avrebbe aperto poi un favoloso ristorante e sfruttato le bella terrazza d’estate e d’inverno.

La consapevolezza di aver perso un siffatto luogo del futuro ci toglierà il sonno per i decenni a venire. Che fare?