Capsule Digitale

Andrea Zanzotto (Vol. 6/6)

Un dialogo denso di implicazioni sul linguaggio svela i tratti della complessa natura dell’opera del poeta di Pieve di Soligo

Social Share

Andrea Zanzotto

Babil e Babel

[Hans Ulrich Obrist]   Ho letto che lei vive in isolamento, come influisce questo sul suo lavoro e sul suo pensiero?

[Andrea Zanzotto]   A dire il vero, oggi si vive isolati molto più che in passato, nonostante internet e l’enorme diffondersi dei mezzi di comunicazione. E il soggetto che vi si affida, nel chiuso della propria stanza, stenta ad accorgersene, tanta è l’illusione di una comunicazione totale che quei mezzi oggi producono. D’altro lato, è pur vero che l’isolamento assoluto rappresenta un miraggio altrettanto inattuabile. Leopardi è riuscito a elaborare una poetica che denunciava strettissimi rapporti con il pensiero di filosofi a lui contemporanei dal chiuso del suo «natio borgo selvaggio». Per tacere, poi, del fatto che ogni avvenimento relativo all’assetto ecologico del nostro pianeta, anche se accaduto a migliaia di chilometri di distanza, è riscontrabile sulla superficie della foglia di una pianta che cresce nel nostro giardino…

L’isolamento nel mio nido natale ha comportato, nella mia poesia, la salvaguardia di un certo… flusso di spontaneità, ecco. Certo, le liriche, una volta pubblicate, sono sempre ben diverse dai primi schizzi poetici: il mestiere di poeta, infatti, è proprio quello di rielaborare quei materiali troppo vincolati al momento dell’ispirazione, di sciogliervi i nodi di opacità propri di un linguaggio troppo personale. Il poeta deve tradurre quanto scritto nel linguaggio della propria interiorità in un linguaggio condivisibile da tutti; in un certo senso, deve riuscire a riportare alle sedi umane un’esperienza compiuta nel deserto, come sta scritto nel vangelo…

[HUO]   E la traduzione? Lei ha passato del tempo a imparare le lingue per leggere i testi nella loro forma originale. Qual è il suo punto di vista sulla traduzione dei suoi testi?

[AZ]   Il poeta è la persona meno indicata a discorrere sul proprio operato… Può accadere che qualcuno sia colto dal desiderio di dare espressione a certe realtà profonde che egli avverte come radicalmente proprie, quasi fossero articolate in un linguaggio a lui solo accessibile e comprensibile. Ma quanto più gli capita di compiere, attraverso l’atto di scrittura, la riemersione agli strati superiori della langue, alle sue infinite possibilità espressive, tanto più costui si accorge di muoversi sopra un terreno sospeso su un vuoto di esistenza, su un manque radicale. Al termine di questo vero e proprio atto di traduzione in cui consiste l’atto della scrittura, lo scrittore si scopre quasi… derubato della propria esperienza esistenziale: ciò che prima era soltanto suo, infatti, poi, divenuto segno comunicabile, non lo è più, perché è diventato un qualcosa di tutti, di chiunque.

Ed è proprio il dato che la connette al narcisismo, a questo estremo senso dell’individualità e dell’irripetibilità, a rendere necessaria l’esistenza di quella lingua particolare cui siamo soliti assegnare il nome di poesia. La lingua della poesia è tale da illuderci di crearla noi stessi, nel corso dello scrivere. Uno scrittore, a un certo punto, scopre un proprio stile, che egli avverte a tal punto caratterizzato da convincersi che esso sia l’unico adeguato al tradurre la propria esperienza in scrittura. E magari è veramente così… Ma quella che intenziona l’atto della scrittura resta una volontà «pentecostale»: la poesia parla di tutto, di tutti e a tutti, così come, nella giornata di Pentecoste, gli apostoli avevano iniziato a parlare innanzi a una folla linguisticamente differenziata, venendo compresi da tutti gli ascoltatori: «Tal risonò moltiplice / La voce dello Spiro: / L’Arabo, il Parto, il Siro / In suo sermon l’udì.», scrive Manzoni…

Oggi, poi, la pressione delle grandi lingue internazionali si fa sempre più pesante, per non dire mostruosa… che destino avranno le altre lingue? quali sopravviveranno e quali moriranno? Certe lingue di oggi, quali l’inglese e il cinese, sono vere e proprie… bombe, in un certo senso, perché dove passano, prosciugano tutto; al punto che una lingua come l’italiano, rispetto a quelle lingue monumentum, pare condividere il medesimo destino del dialetto, oggi a rischio di estinzione. Per di più rischia di formarsi un proletariato linguistico che viene escluso dalle funzioni alte nella società. Senza contare che è un’impresa impossibile il cercare di conoscere veramente una lingua straniera. Per quanto riguarda la mia personale esperienza, vari decenni or sono ho composto in inglese un centinaio di pseudo haiku, e ho poi cercato di farne la traduzione in italiano. Ma mi accorgevo sempre più che quello che ero riuscito a scrivere in una lingua straniera, una volta tradotto… sfuggiva. Nella traduzione si scivola su qualche cosa che… puntualmente delude, ecco.

Per questo motivo ho sempre cercato di aggrapparmi alla fune dell’etimologia: ma l’etimologia ci rivela che una parola come cane ieri avrebbe potuto addirittura significare gatto. Mostra, cioè, l’ambiguità, l’incertezza, rivelando quel fondo senza limiti che si spalanca sotto i piedi dell’uomo nel momento in cui esso si illude, attraverso il linguaggio, di essere sul punto di toccare qualche cosa di… solido. Babil e Babel, il linguaggio universale dei bambini (universale perché privo di significato) e il nome sacro della torre di Babele, simbolo dell’impossibilità di una comunicazione universalmente comprensibile, sono due facce di una medesima medaglia… Anche in merito al complesso problema della traduzione, Dante ha sempre costituito, per me, un imprescindibile punto di riferimento. Perché Dante ha osato costruire una lingua nel momento in cui si serviva di quella stessa lingua per creare la sua poesia. Il personaggio Dante, insomma, nasceva attraverso il linguaggio particolare di cui andava facendo esperienza in quanto scrittore. Non è un caso che nella Commedia, a mano a mano che il personaggio-poeta s’innalza verso il Paradiso, Dante utilizzi espressioni legate alla dimensione dell’infanzia, come abbiamo ricordato prima: «Ormai sarà più corta mia favella, / pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante / che bagni ancor la lingua alla mammella» …

[HUO]   Il mondo sta diventando sempre più connesso grazie all’avvento delle nuove tecnologie: qual è la sua opinione in merito? Pensa che Internet avrà un’influenza positiva sulla società e sulla creatività?

[AZ]   Come ebbe a dire Montale “Solo gli isolati comunicano”… Una certa distanza favoriva in altri tempi i carteggi, e quegli scambi erano molto importanti, anche se poi coi telefoni sono molto diminuiti. Ora la velocità della e-mail comporta un annichilimento del tempo. Scrivendo le lettere si imparava anche a meditare su se stessi, si comunicava e ci si formava, e auto-formava, reciprocamente… non so se questo possa più avvenire coi mezzi attuali. Comunque, non credo di poter dire molto su internet e le altre tecnologie… So che in casa le usano i miei figli e nipoti, uno di loro tempo fa mi ha mostrato un gatto che strimpellava il piano e mi ha molto divertito!…

[HUO]    Come vede lo stato attuale della poesia?

Quale pensa sia il ruolo della poesia e del poeta nel XXI secolo? Pensa che sia cambiato?

[AZ]   La poesia possiede sempre un ruolo decisivo, anche se non immediatamente evidente, nell’interpretare la realtà che ci circonda. Essa non può estinguersi: è ricerca, ricerca incondizionata di una forma di liberazione. Lo sapevano bene i Surrealisti… Anche nei momenti di crisi, la poesia continua a dare il suo bip-bip, che poco presume ma che si avverte come non tacitabile. E chissà che non vi sia qualcuno in grado di captarlo… E assume le forme più strane… per quanto mi riguarda, in questi giorni, poesia è anche scorgere in lontananza, dalla finestra della sala da pranzo, una bandiera italiana che sventola incessantemente di fronte alla montagna: è il contrasto dei suoi colori, sollecitato dal suo vivacissimo movimento, il paesaggio, la montagna, il cielo… Mi viene in mente quel canto popolare che non si sente ormai più: «E la bandiera di tre colori / Sempre è stata la più bella: / Noi vogliamo sempre quella, / Noi vogliam la libertà!..».

[HUO]   Ha progetti non realizzati? Sogni? Utopie? Libri non scritti?

Può dirci a cosa sta lavorando al momento?

[AZ]   Più volte mi sono proposto di riprendere il lavoro grafico di cui ho parlato prima; mi sono poi dedicato, invece, a nuove sperimentazioni letterarie, ma sempre tali da conservare almeno il ricordo dell’insolita esperienza poetica fratta da improvvisi atti di segni-gesti. Mi riferisco in particolare agli pseudo-haiku bilingui cui mi sono dedicato per un periodo a partire dagli anni ‘80… prima o poi mi piacerebbe riprenderli in mano, magari in vista di una pubblicazione… Conservo anche molti testi in italiano, scritti nell’ultimo ventennio e esclusi dalle mie ultime raccolte Meteo e Sovrimpressioni. Alcuni prefigurano, in un certo senso, la linea del grottesco inaugurata da Conglomerati. Sto anche progettando un’operetta in cui mettere a fuoco alcune sorprendenti prossimità che ho rilevate tra poesia e paleontologia (una disciplina che mi ha sempre affascinato, fin dalla prima fanciullezza): ma su questo non voglio ancora esprimermi, si tratta di un’idea ancora vaga anche nelle sue stesse linee generali… Anche questo progetto, comunque, si inserisce in una generale tendenza all’approfondire i rapporti tra la mia idea di poesia e le arti grafiche: tendenza particolarmente evidente in questi ultimi mesi, in cui mi è capitato di eseguire diversi acquarelli. La tecnica di acquarello non presenta coazioni immediate: perché è il pennello a guidare i movimenti del pittore, non il contrario. Voglio dire che, dipingendo acquarelli, non si riesce a prevedere, in anticipo sull’effettivo risultato, a quali vaghe rappresentazioni della realtà si riuscirà a pervenire. Tali rappresentazioni, anche le più apparentemente elaborate,  paiono essersi formate spontaneamente…

Resta un dato certo, per quanto riguarda queste mie ultime sperimentazioni: in questa pulsione all’esprimermi attraverso la pittura, alla fine, mi trovo costretto a riconoscere un grande vuoto che mai sono riuscito a colmare…

[HUO]   Gerhard Richter parla della pratica quotidiana della pittura. La Poesia è per lei una pratica quotidiana? La prosa è per lei una pratica quotidiana?

[AZ]   Conservo annate e annate di diari. Per lunghi anni ho annotato, anche se spesso in modo molto breve, quanto di significativo andavo vivendo, quotidianamente. Anche i sogni a volte, se riuscivo a ricordarmene. E anche per quanto riguarda la poesia, per me è sempre stato vero: nulla die sine linea… Poi lasciavo… sedimentare i versi che andavo annotando rapidamente in foglietti volanti dentro un cassetto. Trascorso un… periodo lungo della vita, rileggevo quanto accumulato, e mi accorgevo che poteva nascerne un nuovo libro, sorto quasi spontaneamente. E allora iniziava il lavoro di controllo, di organizzazione di quel materiale disordinatamente ammucchiato. Così, per esempio, sono nati il Galateo, Fosfeni e Idioma; così, anche, i libri successivi. Ma ora non è più così… La poesia, se accade, accade in momenti sempre meno prevedibili, sempre meno probabili. Domina la dispersione, lo spaesamento, il grigiore, interrotto da veri e propri momenti di rabbia anche per la particolare situazione italiana, più che da attimi lirici di lode per quanto esiste: del resto, lo scempio del paesaggio perpetrato negli ultimi decenni, sembra interdire qualsiasi intenzione di poesia. Forse, la poesia, oggi, ha perso il diritto di costituire la parola iniziale, quella che fonda un discorso, inaugurandolo. Ma, se accade, essa non può rinunciare a detenere il privilegio di costituire… l’ultima parola!