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Cos’è l’Arte (Vol. 2/3)

In un saggio datato 25 aprile 2020, al principio della pandemia, Carolyn Christov-Bakargiev riflette sulle complessità delle componenti di significato per una definizione delle pratiche artistiche

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L’opera d’arte come forma di gioco

Le avanguardie storiche, nel loro abbraccio di una estetica di maggiore aderenza della vita moderna alla realtà, nella prima metà del secolo ventesimo, rigettano l’idea che l’arte debba essere davvero “bella” (cfr. L’Antigrazioso di Boccioni, 1912-13; Fontana di Marcel Duchamp, 1917).  La congiunzione tra l’idea di autonomia dell’opera d’arte e la sua funzionalità, e l’idea che debba anch’essa essere parte di un lavoro produttivo con una finalità, non troppo distante dalla visione freudiana del ventesimo secolo dell’arte come sublimazione di impulsi repressi o anche dell’opera d’arte come forma di gioco (Donald Winnicott) che radicalmente ri-direziona e riformula le regole di un sistema funzionale attraverso l’uso diverso delle stesse regole, senza seguirne lo scopo originale per cui sono state elaborate, quasi che la funzione di elaborazione di impulsi repressi (Freud), o di elaborazione del trauma anche attraverso la de-funzionalizzazione o rifunzionalizzazione (Melanie Klein),  sia in fondo una funzione utile (almeno all’equilibrio psichico).

La nozione evoluzionista e avanguardista dell’arte è basata sul principio che l’arte progredisce attraverso innovazioni che negano man mano la definizione stessa dell’arte che la precede, ridefinendo costantemente i limiti del campo dell’arte. Tra le più lucide letture in tal senso è quella di Adorno nella sua Teoria estetica nel 1970: “La definizione dell’arte è in ogni luogo legittimata solo da ciò che l’arte è divenuta, in relazione forse a quello che vorrebbe, e forse potrebbe, divenire… Poiché l’arte è ciò che essa è diventata, il suo concetto si riferisce a ciò che essa non contiene… Si definisce attraverso la sua relazione con ciò che essa non è”. Il criterio allora è basato anche sul dialogo con la storia dell’arte, che può essere consapevole o intuitivo. Nella tradizione europea, la consapevolezza del proprio atto è importante, legato al libero arbitrio. In occidente, è una costruzione intenzionale verificata esternamente, anche dal futuro. Tra le varie discipline, è interessata quasi più di tutte le altre a mettere in questione i propri confini disciplinari.

Dalle arti visive al contemporaneo

Di conseguenza, la definizione di cosa costituisca l’arte è venuta a basarsi sempre di più nel corso del ventesimo secolo su di un criterio nominalista, cioè sul fatto che le opere d’arte devono essere create per contrasto rispetto alle opere precedenti da persone che si definiscono artisti, e devono essere veicolate e presentate in primis negli spazi deputati al campo, cioè nelle gallerie d’arte, nei musei, de iuris capaci di conferire statuto di arte a ciò che vi si colloca. I confini disciplinari definiscono il campo dal mondo dell’arte. Come tutte le discipline, l’arte è definita artificialmente da chi è nel campo, da un consenso. Da qui l’emergere della figura del curatore a partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. In altre parole, è difficile definire l’arte a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo perché le opere degli artisti sono sul tema del ridefinire l’arte.

In continuità con questo pensiero aperto, e con la volontà di eliminare i connotati “militari” della parola ‘avanguardia, l’espressione arti visive viene in auge soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo, comprendendo principalmente pittura, scultura, disegno, fotografia artistica, a cui si aggiungono nei tardi anni Sessanta l’installazione percorribile e partecipata (evoluzione dell’Ambiente), l’happening e la performance artistica, il video spazializzato in installazione, le installazioni sonore ove la spazializzazione del suono prevale sull’aspetto sonoro, ecc. Con l’allargamento del campo delle tecniche e dei mezzi artistici, non necessariamente visuali, però, l’aggettivo visive a poco a poco decade alla fine del ventesimo secolo, mentre sorge via via di più a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso l’aggettivo contemporaneo (termine che nasce prima, coevo alla presa di coscienza del hic et nunc, il qui e ora dell’esplosione atomica, dell’apertura dei Campi – cioè dell’idea che si può essere presenti a un evento e al contempo consapevoli di esso – cum tempore, in stato di assoluta presenza) o più recentemente arte “di ricerca” (o advanced art o research-based art), per arrivare negli anni dieci del corrente secolo durante la cosiddetta globalizzazione, al corrente declino dell’aggettivo contemporaneo che vacilla a favore della con-presenza relativa di diverse contemporaneità, all’arte attivista di oggi, basata su un ritorno all’idea che l’arte debba avere un’utilità sociale o ecologica diretta.

Umberto Boccioni, “L’antigrazioso”, 1912, olio su tela, 80×80 cm. Collezione privata. Fonte/Fotografia: http://www.the-athenaeum.org/art/detail.php?ID=27072