Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Facendo riferimento alla recente sfilata di FW 2023 RTW di Off-White firmata dal nuovo Direttore Creativo del brand Ibrahim Kamara e intitolata Lunar Delivery, questo breve racconto che tende al fantascientifico cerca di sintetizzare le svariate references dello show avendo come focus un accessorio apparso in passerella.
“Sai che ti dico Ben? Forse ne ho abbastanza di starmene qua.”
Si stava alzando un forte vento e di lì a poco ci sarebbe stata una tempesta. Lui l’aveva prevista fin dal mattino quando aveva visto dei cumuli grigi fare capolino tra i solchi in terra rossa dei canyon. Riparati da una precaria tettoia e appollaiati su due sedie a dondolo sulla soglia d’una vecchia stazione di rifornimento che in poco più di una luna avevano imparato a chiamare casa, se ne stavano in attesa della pioggia.
Ben fece finta di non aver udito le parole di lei e per ovviare la conversazione prese a spazzolarsi gli stivali a punta quadrata comprati in un bazaar che avevano trovato per strada. Su quella liscia superficie di cuoio un giorno, presa dalla noia e in vena di un romantico tributo al tempo passato insieme, lei aveva tracciato con un pennarello a contrasto le mappe delle loro avventure da un oceano all’altro; in cuor suo già sapeva che non si sarebbe potuta trattenere a lungo.
In segno di protesta per il mutismo di lui, puntò i piedi per terra, il tacco tozzo dei camperos irradiò il pavimento di una sorta di energia magnetica come quando il direttore richiama l’orchestra all’attenzione a suon di bacchetta.
“Io un deserto come questo ce l’ho anche da dove vengo” ribadì con violenza, le pupille scaraventate contro il profilo di quell’umano che aveva imparato ad amare. Erano quanto mai comici visti assieme; sembrava – ed era letteralmente così – che venissero da due pianeti diversi: se lui appariva come l’unione tra Il Grinta e un motociclista sulla Route 66, l’altra aveva tutt’altro impatto. Il suo modo di vestire si era adattato alle usanze di tutte le culture che avevano incontrato viaggiando e nell’insieme appariva come un sincretismo stilistico che non poteva che incuriosire coloro che si soffermano su quell’esile figura. Di volta in volta era in grado di indossare gonne a pieghe in pelle provenienti da Camden Town accompagnate da elementi tribali dell’Africa Occidentale, luogo a lei infinitamente caro poiché in quelle terre polverose aveva rivisto la superficie arida di quella luna che chiamava casa.
Era stata plasmata dai luoghi che aveva visitato e proprio per questo aveva paura di aver perso la sua essenza.
Ben sembrava troppo occupato a togliere una macchia rossastra dalla sua calzatura, in coincidenza con il collo del piede laddove lei aveva scritto in stampato “OCEANIA.” In realtà l’aveva sentita, forte e chiara ma non aveva voglia di affrontare l’argomento e sperava che uno scroscio d’acqua potesse riempire quel silenzio imbarazzante che lui stesso aveva creato.
Sporgendosi dalla sedia ma ancorata a terra come se avesse delle radici, si avvicinò al viso di lui e comprendendo il suo dolore, con quelle labbra che avevano dovuto attraversare spazio e tempo per trovarlo, gli sussurrò all’orecchio:
“Lo sapevi che prima o poi me ne sarei dovuta andare.”
Gli accarezzò il braccio come per ricordargli della sua presenza e non vedendo alcuna reazione da parte sua, non poté far altro che chiudere gli occhi e planare con la sua fronte sulla sua spalla. Un tuono la fece sobbalzare e di fronte all’apparente indifferenza di lui una lacrima fece capolino sulle sue guance. Poi, finalmente, toccò al cielo piangere.
Restarono così per qualche minuto a sentire l’odore l’una dell’altra mescolarsi con quello della sabbia bagnata sotto il loro precario rifugio di lamiera. Ben non aveva avuto la minima intenzione di emettere a voce un pensiero, anche solo una parola ma in fondo lei non ne aveva bisogno: aveva imparato a conoscerlo fin troppo bene e sapeva cosa gli frullava per la testa. Si staccò finalmente dalla sua spalla, la camicia umida di lacrime versate in un sommesso silenzio; guardandolo fisso negli occhi si sfilò l’orecchino destro e lo posò sulla mano di lui, il palmo rivolto verso l’alto.
Era di forma irregolare, di un colore azzurrognolo tanto da sembrare liquido, contornato da un profilo che non pareva un metallo esistente sulla Terra: al tatto era caldo e proprio per questo Ben non poteva che rimanerne affascinato. Era un gioiello che lei aveva sempre indossato al punto che lui, facendoci l’abitudine, l’aveva iniziato a considerare come un’estensione del suo corpo.
“Di notte osserva le stelle guardando attraverso la lente” esordì con la voce sull’orlo di cedere all’emozione “Ogni luce verrà annullata dal cristallo. Solo un unico bagliore rimarrà visibile: quello è il mio angolo di cielo.”
Distolse un attimo lo sguardo da lei per osservare l’orecchino: la sua trasparenza accompagnata da un’insolita iridescenza dava l’illusione che quella fosse una superficie viva. Lo prese con estrema cautela tra il pollice e l’indice e vi guardò attraverso puntando il viso di lei; notò che l’integrità della sua figura si colorava di un barlume mai visto prima e vedendola avvolta in quell’aura cristallina, decise che quella sarebbe stata l’immagine-ricordo alla quale si sarebbe appellato se assalito dalla nostalgia.
Con la consapevolezza che non si sarebbero rivisti mai più, lei si alzò dalla sedia lasciandola dondolare seguendo il suo malinconico avanti e indietro e uscì dal riparo della tettoia avanzando a ritroso, senza dare le spalle a Ben. Si stava dirigendo verso il canyon che si stagliava di fronte alla vecchia stazione di rifornimento: un punto abbastanza alto e discreto affinché potesse andarsene senza che nessuno la potesse vedere. Una volta in cima, ci sarebbe stata una scarica di luce tanto accecante quanto rapida che sarebbe stato facile scambiarla per un lampo; su quel fascio luminoso lei poi sarebbe scomparsa nel nulla, verso lo spazio.
Lui, orecchino tra le dita e mano sul cuore, la osservava andarsene via, il suo viso confuso dallo scrosciare della pioggia. Si sarebbero dati appuntamento ogni sera, lo sguardo rivolto alle stelle.