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Giorgio Caproni*

Fontanigorda, località della Val Trebbia resta segnata da un’opera del poeta, “Ballo a Fontanigorda” del 1938. Una notte d’estate (come Rimbaud, in Sensazione, trasognata visione di libertà) nella campagna genovese.

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Giorgio Caproni

da "Ballo a Fontanigorda", 1938

A Rina

Nell’aria di settembre (aria

d’innocenza sul chiareggiato

colle) sopra le zolle

ruvide mi sono care

le case a colori grezzi

del tuo paese natale.

Scherzano battendo l’ale

candide sui tetti a fiore

giunti, le colombelle

nuove.

Mentre commuove

dei voli l’aria il giro

tondo, nel cielo ai tocchi

festevoli delle campane

è il lindore dei tuoi virginei

occhi.

 

*

 

Altri versi a Rina

Nei tuoi occhi è il settembre

degli ulivi della tua cara

terra, la tua Liguria

di rupi e di dolcissimi

frutti.

Sopra i monti spaziosi

le poche case disperse

invidiano il colore caldo

della tua pelle, all’ora

che fa nostra ancora per poco

la terra.

 

*

 

Questo odore marino

Questo odore marino

che mi rammenta tanto

i tuoi capelli, al primo

chiareggiato mattino.

Negli occhi ho il sole fresco

del primo mattino. Il sale

del mare….

Insieme,

come fumo d’un vino,

ci inebriava, questo

odore marino.

Sul petto ho ancora il sale

d’ostrica del primo mattino.

 

*

 

Incontro

Nell’aria fresca d’odore

di calce per nuove case,

un attimo: e più non resta

del tuo transito breve

in me che quella fiamma

di lino – quell’istantaneo

battito delle ciglia,

e il pànico del tuo sorpreso

– nero, lucido – sguardo.

 

*

 

Ballo a Fontanigorda

Mentre per la pastura

si sparge l’amaro aroma

d’una sera silvana,

al suono dei clarinetti

chiari, fra luci di colori

e risa, s’infatua gaia

la danza d’una montana

allegria.

Bruciano alla bramosia

segreta, le carnagioni

giovani. A farne inquieta

l’aria, una folata

basta fino al confine

ultimo della prateria.

 

*

 

Nudo a rena

Corre del tuo bel dorso

nudo la solitaria

piana, di voci in fuga

e risa (alla salina

rena mentre l’aroma

della tua pelle il mare

chiama) la leggendaria

eco che da barbarie

di bimbi in gioco un fiato

fatuo muove dell’aria.

 

*

 

A una giovane sposa

Vorrei per non saperti

cosa tanto precaria,

tu che di latte hai gonfio

il petto, e nella fiera

iride rechi l’altera

luce che ti dà l’aria

di Flora,

almeno un’ora

sola la tua fiorita

carne credere pietra

ferma: statua cui vita

non fa caduca il fuoco

del sangue

– e la demente

fuga del tempo, e il lampo

rapido che ci colora

l’ora, a te dolente

non fosse,

a te che senza

strepito hai accolto in sorte

nuova umana semenza.

 

*

 

Alla Giovinezza

Giorno di meravigliose

essenze e di ricchi aromi

adorno, sei tu che sciogli

i canti delle giovinette

chine sull’ago. E ai lini,

e ai sogni, e alle note

ruvide dei clarini

al ballo, rechi ricami

fievoli – fiere canzoni,

e schianti d’amore ai petti

umani.

 

*

 

Triste riva

Sul verderame rugoso

del mare, la procellaria

esclama con brevi grida

la burrasca lontana.

Io a riva, anzi sul labbro

renoso ove schiuma

salina bava, solo

contemplo e comprendo intanto

il gusto della tua saliva.

 

*

 

Pausa

Mentre la piana cede

al sonno, e sogna

stelle, velocemente

cedono anche i pensieri

degli uomini: e come uccelli

subito colti stanchi

sull’acque dove s’acceca

un barlume, s’annidan quieti

ai consueti asili

d’ombra.

E quanto mai

dolce è per un istante

indugiare allora sul tempo

andato – sul giorno,

in così varie e tante

guerre, vinto oramai.

 

*

 

Alle mondine

Picchi il sole le vostre

tènere carni – vi chini

il lavoro sull’alidore

dell’acque. Ma sempre abbiate

nel viso di sudore

madido, l’acceso riso

dei soldati alle estive

manovre.

E a sera, poi,

quando su voi più basso

garrisce il rondone,

s’apra di giovanili

voci, al vostro sparso

coro, l’illuminata

piana dove in allegra

corsa s’è disfrenata

la novella puledra.

 

*

 

Al primo galletto

Aguzza diana incrini

il ghiaccio della prim’alba

frigida – risvegli ai lidi

le donne dei pescatori

saporite di sale, ed apri

le porte dei mercati ai gridi

giovani degli erbaioli.

Con pochi tratti, con pochi

primitivi colori,

per te il mondo ritorna

coi più casti pensieri.

 

*

 

Sempre così puntuale

Sempre così puntuale,

come il cane fedele

sulla soglia di casa,

appare col suo colore

di malva la primasera

al margine del davanzale.

Fra poco udremo un fiore

di musica sbocciare eguale

nel vano d’ogni balcone

acceso:

sarà il segnale

solito dei giovanili

clamori – delle allegrie

chiare sul prato ancora

accaldato di sole.

(Per mano in trine lievi

racchiuse, le giovinette

passano al suono d’una

loro cara canzone).

 

*

 

Sagra

Con molti suoni e molti

balli, quest’oggi il Santo

celebra la sua sagra

nel fervore dei vivi.

Calano, allegri rivi

dal teatro dei monti

ruvidi, i trafelati

cori.

Mentre acri roghi

bruciano fra gli spari,

al centro dei fatui giochi

puerili s’appaiano gai

i giovani ai subitanei

fuochi.

(Col viso secco, e senza

riso, è cieca intanto

chiusa nella sua urna

la reliquia del Santo).

 

 *

 

Venere

Dal fondo delle odorose

scogliere, al refrigerio

limpido del bel colore

marino, tu sorti accese d’opaco lume le tenere

carni. E con trine

e con marmi

candidi e con sorrisi

di spume labili, doni

fatuo alle brezze un gioco

di prime voglie: sapori

casti di sale ai labbri

che tentano già i tuoi pii errori.

 

*

 

Ad Olga Franzoni

(in memoria)

Questo che in madreperla

di lacrime nei tuoi morenti

occhi si chiuse chiaro

paese,

ora che spenti

già sono e giochi e alterchi

chiassosi, e di trafelate

bocche per gaie rincorse

sa l’aria, e per scalmanate

risse,

stasera ancora

rimuore sfocando il lume

nel fiume, qui dove bassa

canta una donna china

sopra l’acqua che passa.

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