Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Autoritario, indipendente e contrario a ogni dogmatismo: alla vigilia della prima monografica su J.J.P Oud, Cor Wagenaar ricorda un grande individualista. Dal “Giornale dell’Arte” n. 200, giugno 2001
Negli stessi anni, in Olanda, egli comincia a essere celebrato come la figura di punta di quel movimento di avanguardia olandese che il Governo tende sempre più a celebrare ufficialmente come l’origine del contributo olandese al Modernismo internazionale. Nel momento stesso in cui Oud comincia a beneficiare dello statuto di padre fondatore dell’architettura moderna nazionale, egli si mostra sempre più critico nei confronti di quell’International Style che gli appare come l’ultima versione, americanizzata, di quei dogmi dei Ciam da lui profondamente avversati.
Di qui la sua vera e propria crociata contro il team work, giudicato minaccioso per la sopravvivenza di quell’elemento di artisticità indispensabile alla creazione architettonica. In questa battaglia, egli cerca tra l’altro l’appoggio di Frank Lloyd Wright, per il quale progetta l’allestimento della sede olandese della mostra organizzata in Europa negli anni Cinquanta. Non sorprende che Oud amasse profondamente il romanzo di Ayn Rand The Fountainhead (1943), che celebra il genio individuale dell’architetto moderno.
Nei suoi ultimi progetti, Oud mostra un tentativo di ritornare alle origini del proprio lavoro, da lui individuate negli anni di De Stijl. La mostra del Nederlands Architectuurinstituut è organizzata in cinque sezioni cronologiche. La prima è dedicata all’inizio della carriera professionale di Oud, e testimonia di un architetto ispirato dagli ideali Arts & Crafts, in cerca di un nuovo «vernacolare». Il risultato della ricerca è un gruppo di piccole case unifamiliari troppo modeste per poter riflettere l’influenza degli esempi inglesi di Voysey e Lutyens, divenuti famosi nell’Europa continentale per il tramite del volume di Hermann Muthesius, Das Englische Haus.
Negli anni successivi, durante la Prima guerra mondiale, queste tendenze lasciano il posto a un approccio più radicale, alla ricerca di un’architettura adatta a una società caratterizzata dalle nuove tecnologie, dall’industria, dal traffico, dal crescente potere delle masse. Oud sembra sentire un’urgenza quasi dadaista di distruggere i resti di una cultura che, dopo i campi di battaglia di Verdun, non può più avanzare nessuna pretesa di superiorità. La terza sezione della mostra è dedicata ai progetti di edilizia residenziale per Rotterdam.
Sono le opere che lo rendono famoso, facendo di lui una vera star internazionale. Gli anni Trenta, oggetto della quarta sezione, mettono Oud di fronte a un’economia in crisi, con poche o nessuna opportunità di costruire quegli edifici di rappresentanza cui egli sembra aspirare come possibile via d’uscita dal tema della residenza pubblica. La sua opera più tarda, che bene illustra la sua posizione critica nei confronti dell’lnternational Style, è presentata nell’ultima sezione. La mostra è organizzata intorno a un allestimento progettato da Philip Johnson (1906), che ha conosciuto Oud in Europa nel 1930, instaurando con lui un lungo rapporto e una ricca corrispondenza. Johnson, che aveva appreso per la prima volta del lavoro di Oud in un articolo di Henry-Russell Hitchcock, scriverà più tardi che l’analisi fatta da Hitchcock delle case di Hoek van Holland aveva prodotto in lui una vera e propria «conversione».
Nel 1932, egli riserva a Oud un ruolo di primissimo piano nella mostra del Museum of Modern Art di New York intitolata «The International Style: Architecture since 1922». I due personaggi hanno attraversato la storia del Modernismo seguendo strade diverse. Neppure Johnson amava il palazzo della Shell e, in una mostra su De Stijl organizzata nel 1951, presentava in effetti Oud come un eroe dell’architettura, ma del passato. Anche Johnson, negli anni Cinquanta, ha però sperimentato intorno alla possibilità di un classicismo moderno, prima di diventare, negli anni Ottanta, uno dei padri fondatori del Postmodernismo.
Entrambi autoritari, critici, indipendenti e contrari a ogni dogmatismo, Oud e Johnson hanno condiviso alcune idee di fondo sull’architettura contemporanea. Johnson non ha mai perso la propria ammirazione per Oud. Il suo allestimento per la mostra unisce due mondi, quello degli anni Venti e il presente, e due continenti, l’America e l’Europa. Esso mostra inoltre che il Modernismo, e tutto ciò che da esso ha tratto origine, continua a rappresentare un ingrediente per l’architettura contemporanea.