Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Sono veramente felice di essere vissuto in un’epoca di trasformazioni così radicali nell’ambito dell’arte, della storia del’ l’arte e della museologia e nel modo di concepire mostre e altre questioni legate all’arte, tutti fenomeni che ovviamente riflettono le grandi rivoluzioni che hanno trasformato la struttura spirituale, sociopolitica ed economica dell’umanità e le innovazioni tecnologiche che si sono verificate nella seconda metà del secolo passato e all’inizio del nuovo. Dal “Giornale dell’Arte” n. 200, giugno 2001
È un segno dei tempi anche il fatto che in questo momento io, all’età di 66 anni, stia insegnando Storia dell’Arte occidentale in un’università giapponese, in lingua inglese, a un vasto pubblico di studenti provenienti non solo da diversi angoli del Giappone ma anche da altre parti del mondo. Sono in grado di farlo perché, nonostante non abbia a disposizione una biblioteca tale da permettermi di svolgere ricerca, posso trovare su Internet talmente tante immagini provenienti dai luoghi più remoti o realizzate da artisti poco noti e tanta informazione sugli eventi più recenti che non ho mai la sensazione di essere isolato dal mondo occidentale che continua ad essere il mio campo di lavoro. Inoltre, la possibilità di viaggiare a prezzi accessibili mi permette di partecipare a inaugurazioni di mostre, simposi o altri eventi culturali ogni volta che ho voglia di farlo.
Agli inizi della mia carriera, negli anni Cinquanta, perfino un viaggio entro i confini europei era relativamente impegnativo dal punto di vista economico e spesso anche in termini di tempo. Un viaggio in America o in Asia costituiva una vera e propria impresa e la corrispondenza epistolare con i colleghi richiedeva tempi molto lunghi. Oggi Internet e le tariffe più economiche per telefono e fax rendono molto più semplice la comunicazione con ogni angolo del mondo e i tempi si sono ridotti a questioni di minuti. Le uniche, piccole forme di limitazione rimaste sono il fatto che il sole continua a ruotare intorno alla terra con le differenze di fuso orario che questo fenomeno comporta.
Qui a Tokyo mi sento felice perché sono vicino all’alba di ogni nuovo giorno. In questo momento inoltre inizio a notare che gli storici dell’arte giapponesi scrivono libri e articoli sull’arte occidentale che non sono più semplici riflessi della storia dell’arte europea e americana, ma presentano visioni così radicalmente nuove, ma solide, da meritare un’estrema attenzione da parte degli studiosi occidentali. Durante un viaggio fatto di recente in Australia mi sono reso conto di quanta ricerca interessante si stia svolgendo nelle università di Sidney e Melbourne ed è incredibile quanti australiani stiano assumendo posizioni di rilievo sia in America sia in Europa.
D’altro canto la restrizione della nostra disciplina alla Storia dell’Arte occidentale non può essere mantenuta ancora a lungo da molti centri di ricerca del mondo occidentale. Oggi si guarda con grande at/tenzione alla ricerca effettuata nella storia dell’arte in tutti i Paesi del mondo e l’aggettivo «etnologica» applicato all’arte di tante aree del mondo è ormai del tutto obsoleto. Molti testi autorevoli comprende no non soltanto la storia dell’arte europea e americana ma anche quella asiatica e africana. Ho avuto la fortuna di avere come maestro un vecchio membro della scuola di Vienna, discepolo non soltanto di Dvorak, Schlosser e, indirettamente, Riegl, ma anche di Strygowsky; un maestro che ci ha insegnato a osservare con interesse qualsiasi fenomeno artistico, indipendentemente dalla sua provenienza e dal giudizio qualitativo che gli veniva assegnato. Non esisteva fenomeno visivo nel campo dell’arte che non meritasse l’attenzione dello studioso e che questi non potesse analizzare secondo la propria metodologia personale.
Le grandi mostre di arte contemporanea comprendono oggi opere di artisti provenienti da Paesi non occidentali che soprattutto di recente hanno iniziato ad assumere posizioni importanti nell’evoluzione del’ l’arte, come l’ultima Biennale ha ampiamente dimostrato. Inoltre, è completamente cambiata la definizione stessa dell’opera d’arte. All’epoca della mia gioventù per arte si intendevano architettura, pittura e scultura e al massimo, come nel mio caso, quando si aveva un insegnante particolarmente illuminato, anche le arti applicate, e soltanto opere appartenenti a queste discipline trovavano spazio nelle esposizioni.
Negli anni Sessanta una valanga di nuove forme d’arte ha letteralmente invaso mostre, collezioni di musei e libri d’arte: installazioni, ciò che rimaneva delle performance, gli stessi artisti protagonisti delle performance, nuovi media come video e altri congegni tecnici, poesia visiva e arte di ogni genere proveniente da qualsiasi parte del mondo. In ultima analisi estendendo quanto affermato da Joseph Beuys, uno dei responsabili di questa rivoluzione, non solo ognuno può essere un artista ma qualsiasi cosa può essere un’opera d’arte.
Tutto dipende dal contesto e dal punto di vista. È evidente che la parola globalizzazione nel nostro campo è utilizzabile non solo in termini di raggio geografico per quanto riguarda arte e mostre, collezionismo e ricerca, ma anche per la gamma di oggetti che l’arte comprende. Di conseguenza le nostre opinioni sul mondo dell’arte sono radicalmente cambiate. Espressioni come «arte primitiva», per esempio, sono ormai fuori moda, ma lo sono anche concetti come quello espresso dal vecchio detto tedesco «Kunst kommt von Koennen» (l’arte viene dall’abilità). Così come non possono più valere tutti gli idealistici concetti di estetica in voga nei primi anni dei miei studi.
Inutile aggiungere che i nuovi movimenti sociali impegnati contro le discriminazioni di sesso e razza o il nuovo rispetto verso tutte le culture, generato dal riconoscimento dei diritti e della dignità di ogni individuo nella nostra società, hanno portato con sé cambiamenti nel linguaggio e nella terminologia dei testi di storia dell’arte che si notano in maniera particolare nel Paese più attento al movimento dei diritti umani, gli Stati Uniti d’America. Questa nuova consapevolezza sociale ha portato al riconoscimento del lavoro svolto da mogli o partner nella creazione delle opere d’arte. Questo tipo di collaborazione è ormai considerato un fattore molto positivo, non soltanto nel caso di Christo ma anche in quello di molti altri artisti.
Nello stesso tempo oggi si dedicano mostre personali alle spesso misconosciute donne artiste, rimaste a lungo nell’ombra dei loro partner maschili anche quando loro stesse erano autrici di opere meravigliose come ad esempio Soma Delaunay, e si guarda alla loro arte con molta più attenzione di quanto non si facesse quando io ero giovane. I recenti cambiamenti nella politica europea hanno portato l’attenzione di storici dell’arte, collezionisti e curatori di mostre verso gli eventi artistici di regioni un tempo controllate da regimi comunisti. È stata riportata alla luce un’importante arte d’avanguardia proveniente da queste zone ma c’è anche un forte interesse per le loro più recenti espressioni artistiche. Di conseguenza l’intera storia dell’arte, specialmente quella moderna, dovrà essere riscritta con una particolare attenzione ai nuovi importanti centri artistici emersi di recente. Vienna è stata la prima di questi centri dell’Est da poco riscoperti, ma con la rivalutazione di Klimt, Schiele e Kokoschka si sono riscoperti anche grandi innovatori dell’arte figurativa come Ferdinand Hodler e Lovis Corinth, che sono ormai considerati i pionieri di quegli sviluppi che sarebbero sfociati nell’arte del XX secolo. In modo simile la riscoperta dell’arte di Praga e Mosca ci ha offerto una visione molto diversa del processo di formazione dell’arte astratta.
Nel nord il ruolo di Hilma af Klint ha aggiunto un’importante nuova dimensione all’arte ispirata da correnti spirituali nel secolo scorso, cosa che ha messo in discussione il ruolo esclusivo di Parigi nell’evoluzione dell’arte moderna.
A partire dagli anni Settanta la coscienza delle dimensioni spirituali dell’arte è stata accompagnata da un nuovo interesse per la sua natura simbolica, il suo contenuto più profondo induceva a prendere le distanze dall’attitudine prevalente fino a quel momento, quella dell’«art pour l’art» con il suo approccio essenzialmente formale verso l’arte.
Per l’arte progressista della nostra epoca il contenuto ha un valore superiore rispetto agli aspetti formali e permette una molteplicità di approcci formali all’espressione interiore e alla comunicazione. Questo cambiamento ha assunto particolare rilievo alla fine degli anni Settanta quando sono stati creati nuovi termini come Postmoderno, Transavanguardia ecc…, mettendo in evidenza come la nostra conce zione dell’arte stesse cambiando. La cosiddetta arte progressista non era più necessariamente vista come la migliore. La nuova arte poteva essere retrospettiva nella tecnica o nella forma. Per molti è stata una lezione molto dura da imparare. La qualità non poteva più essere misurata in base al grado di radicalità nella rottura con il passato. Si poteva ottenere la qualità in opere realizzate in qualsiasi forma e stile, anche se certe correnti artistiche come il Surrealismo o il Realismo magico nella versione dell’epoca, benché popolari fra il pubblico, siano state ignorate dall’establishment storico-artistico. Alla luce della meritata riscoperta da parte degli storici dell’arte di Norman Rockwell sarebbe opportuno prendere in considerazione la possibilità che altre tendenze stilistiche fino ad ora disprezzati possano in futuro incontrare nuovo favore.
Una delle esperienze che più mi hanno sorpreso nell’arco della mia vita è stato vedere come anche le opere d’arte più conosciute possano cambiare radicalmente aspetto grazie ai nuovi metodi di restauro. La pulitura del soffitto della Cappella Sistina di Michelangelo è stato il caso più sensazionale anche per il grande pubblico e ha completamente trasformato le nostre teorie su come poteva essere un affresco del Rinascimento. È successo esattamente lo stesso con le Stanze di Raffaello. La recente ripulitura della «Disputa» ha portato alla luce un cromatismo di una ricchezza e densità assolutamente sorprendenti e ha consolidato la fama di Raffaello come uno dei massimi maestri del colore di tutti i tempi. Così oggi una nuova generazione di storici e appassionati d’arte deve confrontarsi con opere d’arte molto diverse dal passato e avrà una certa difficoltà a comprendere determinati giudizi della vecchia generazione che in alcuni lavori di Raffaello come la «Trasfigurazione», per citare un esempio, ha visto la mano di Giulio Romano: ipotesi concepibile soltanto in un’epoca in cui il dipinto era ricoperto da una vernice densa e sudicia.
Nel campo del restauro e delle connoisseurship, uno degli strumenti più importanti che si è andato perfezionando nel corso della mia vita è quello dei raggi infrarossi che aggiungono ai dati disponibili sulla superficie della tela un esame del disegno sottostante la pittura, solo uno dei tanti strumenti offerti dalla nuova tecnologia per aiutarci, dandoci materiale di base più preciso, nell’opera di datazione e di attribuzione. Esattamente come accade in medicina, dove un’infinità di nuovi supporti tecnici aiutano il medico nella stesura della sua diagnosi, è ancora l’occhio competente, in grado di pensare e di provare qualcosa, ad emettere il giudizio finale. Mi sembra però che questa capacità di valutazione e l’intuizione siano peggiorate piuttosto che migliorate perché gli storici dell’arte, specialmente nell’ambiente accademico, hanno preferito allontanarsi dall’opera d’arte per entrare nel regno della speculazione intellettuale ed escludere giudizi apparente mente personali che richiedono il coinvolgimento totale dell’essere umano nel suo complesso nel processo cognitivo. In questo processo i musei e le università hanno preso strade diverse.
Mentre lo studio materiale dell’opera d’arte e le questioni dell’attribuzione e della datazione continuano a rivestire un’importanza fondamentale per chi opera nei musei e naturalmente anche per i mercanti e i collezionisti, sempre fedeli a curatori e direttori, per un certo periodo gli accademici hanno avuto la tendenza ad abbandonare i metodi propri della storia dell’arte, come per esempio quello di osservare partendo da una serie di informazioni acquisite precedentemente, preferendo invece andare a cercare consolazione in altre discipline come la linguistica, la psicologia, la sociologia, l’economia, la storia ecc…, che non richiedono il difficile esercizio dell’occhio e sono più facilmente accessibili all’intelletto tramite la parola, una qualità molto comune ai nostri giorni, e hanno in questo modo dato vita a nuove discipline interessanti e moderne della storia dell’arte sconosciute negli anni Cinquanta, periodo in cui studiavo all’università di Vienna, ma anche negli anni Sessanta e agli inizi dei Settanta, l’epoca delle mie prime esperienze accademiche e professionali. Alcune di esse hanno portato nuove chiavi di lettura di enorme valore, in particolare per quanto riguarda la funzione delle opere d’arte nel contesto sociale e quindi la natura contestuale di certe forme d’arte che prima si pensava dovessero nascere da considerazioni puramente artistiche. In questo modo è stato possibile scoprire molte nuove correlazioni tra diverse opere d’arte e tra l’arte e il suo ambiente inteso in modo più ampio.