Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Straordinaria figura di collezionista e studioso. Dal “Giornale dell’Arte” n. 54, marzo 1988
Douglas Cooper non è stato soltanto uno dei maggiori studiosi del Cubismo, ma ha pure lasciato una notevole collezione d’opere d’arte incentrata sul medesimo periodo. La Tate Gallery presenta una mostra, aperta fino al 4 aprile, dedicata alle opere cubiste su carta appartenute a Cooper: si tratta di disegni, tempere e acquerelli di Braque, Gris, Léger e Picasso. Di quest’ultimo in particolare si segnala una raccolta di acquerelli inediti e una documentazione del carteggio con Gaby Lespinasse, negli anni 1915-16.
Una sola cosa Douglas Cooper (1911-1984) avrebbe voluto che si dicesse esplicitamente di lui alla sua morte, e cioè che non era australiano. È vero; laggiù i suoi antenati avevano accumulato un’enorme fortuna, per non parlare dell’acquisto del titolo di baronetto, ma verso la fine del secolo scorso erano ritornati in Inghilterra, e alcuni anni dopo avevano venduto le loro proprietà in Australia, fra cui gran parte del quartiere di Woollahra a Sdney. Dal momento che suo padre aveva sempre avuto il passaporto inglese e che sua madre discendeva da una vecchia famiglia del Dorset, si può capire il risentimento di Cooper nei confronti dei suoi connazionali che avevano la tendenza ad attribuirgli un’origine sbagliata, cioè australiana.
Lo si sarebbe potuto ritenere un fastidio di scarsissimo peso ma ahimè, il risentimento si trasformò in paranoia, la paranoia in anglofobia e l’anglofobia nell’accento esotico, nell’abbigliamento bizzarro e nelle maniere strampalate coltivate da Cooper. Occorre tener presente, però, che molte delle sue fissazioni assumevano un significato soltanto se capovolte o viste nell’ottica di provocazione o perversità premeditate. L’anglofobia era l’unica forma di patriottismo che Cooper potesse concedersi.
L’importanza di Cooper nella storia dell’arte è che fu il primo a studiare e a collezionare sistematicamente i cubisti con la riverenza e l’impegno scientifico fino ad allora riservati agli antichi maestri. Cooper aveva ricevuto un’istruzione irregolare: a Repton, che odiava, poi per un anno circa a Cambridge, uno a Marburg nell’Hesse e uno alla Sorbona. A ventun anni (nel 1932), entrò in possesso di 100.000 sterline. Ciò gli consentì di sottrarsi all’autorità dei genitori, i signori di Bouguereau, che avevamo invano cercato di fare di lui un diplomatico o un procuratore legale. Decise invece di diventare uno studioso come il coltissimo zio Gerald Cooper, musicologo e collezionista di manoscritti di Purcell.
Cooper lavorò per un certo tempo come gallerista, in società con Freddy Mayor della Mayoer Galery, ma non era disposto ai compromessi richiesti dal métier. Da allora dedicò tutte le sue energie alla cronistoria dell’arte moderna (l’edizione delle lettere di Van Gogh a Emi-le Bernard, pubblicata sotto lo pseudonimo di Douglas Lord (ispirato a lord Alfred Douglas), fu il suo primo contributo agli studi in quel campo) e a collezionare opere cubiste.
Estremamente metodico, Cooper stanziò un terzo della sua eredità per gli acquisti, e si mise all’opera per tracciare la mappa dello sviluppo dei quattro artisti più importanti del movimento cubista (Picasso, Braque, Gris, Léger) soggetto per soggetto (natura morta, figura, paesaggio), tecnica per tecnica, anno per anno. Cooper fu fortunato in quanto il campo da lui prescelto era ancora relativamente poco dissodato. Gran parte del meglio del cubismo, che era stato buttato sul mercato dieci anni prima in seguito alle quattro vendite coatte parigine dei depositi di Kahnweiler, non solo era ancora disponibile, ma i prezzi erano rimasti praticamente quelli di allora. Inoltre, Cooper scoprì di avere pochissimi autentici rivali.
Grazie alla sua pignoleria, alla grandissima competenza e ai mezzi di cui disponeva, in meno di dieci anni riuscì a mettere assieme una collezione unica per genere e qualità. Le pochissime lacune, una grande composizione di figure di Braque, (pendant necessario all’«Homme à la clarinetto) di Picasso, del 1911), un paesaggio di Picasso del 1908-09 e una natura morta rococò del 1914, furono ampiamente compensate dall’acquisto di opere fondamentali come il primo papier collé documentato (La «Nature morte à la guitare» di Braque, del settembre 1912), e un ineguagliabile gruppo di «Contra-stes de forme» di Léger (quattro dipinti e molti grandi acquerelli comprati da Léonce Rosenberg intorno al 1935 a circa 5 sterline l’uno).
In questa fase iniziale del suo collezionismo Cooper fu aiutato moltissimo dall’amicizia con il marchand amateur tedesco G.F. Reber. Reber aveva raccolto originariamente un a collezione dei più importanti dipinti postimpressionisti, la maggior parte dei quali (tranne il «Garcon au gilet rouge» venduto poi a Emil Bührle) egli cedette in seguito a Paul Rosemberg in cambio di importanti opere di quegli artisti che Cooper stava comperando. Oltre a Cooper, il principale compratore della notevole raccolta di Reber era un giovane storico dell’arte dei Sudeti, il compianto Ingebourg Eichmann, che era sul mercato anche per grandi dipinto moderni. Secondo Cooper, Reber sperò sempre, e invano, che alla fine le due collezioni che egli aveva contribuito a formare si riunissero in una sola mediante un matrimonio.
Quando aveva bisogno di denaro, cosa che accadeva spesso, Reuber vendeva un Picasso o un Braque all’uno o all’altro dei suoi protetti. Fu così che Cooper venne in possesso, ma solo dopo averlo riscattato dall’agenzia municipale di prestiti su pegno di Ginevra, del suo più grande tesoro, «Trois mascues» di Picasso (1917), la più importante opera del periodo «negro» del maestro rimasta nella mani di un collezionista privato.
Allo scoppio della guerra, Cooper fece una delle sue tipiche scelte restando a Parigi ed entrando a far parte del personale di un’ambulanza francese organizzata da un mecenate amico, il conte Etienne da Beaumont. Per la coraggiosa opera svolta in favore dei feriti durante l’invasione tedesca, Cooper si meritò la medaglia francese al valor militare. Raccontò poi le sue avventure di guerra in un libro, The Road to Bordeaux (scritto in collaborazione con Denys Freeman), una parte del quale venne ripubblicata, a cura del Ministero dell’Informazione, sotto forma di opuscolo di propaganda antipanico.
Al suo sbarco in Inghilterra Cooper, che per tutta la sua vita aveva avuto l’orrore di passare inosservato, riuscì a farsi mettere in galera (di nuovo l’odiosa Inghilterra!) per la sola banale ragione, a quanto egli asseriva, di indossare l’uniforme francese. Grazie all’intervento di un ex-ministro dell’Aviazione, Cooper fu liberato e destinato ai servizi segreti (nella R.A.F.). Grazie alle sue eccezionali capacità linguistiche che comprendevano una profonda conoscenza mimetica della lingua, dall’Hochdeutsch al Fiakermilli, e del carattere tedeschi, Cooper, nel corso degli interrogatori da lui tenuti ai prigionieri germanici durante la campagna d’Africa, dimostrò di possedere capacità diaboli-che, ma la tensione nervosa fu notevolissima, e così il tributo pagato dalla sua psiche.
Dopo un successivo periodo di lavoro presso i servizi segreti a Malta nel momento di più alta tensione, venne trasferito al dipartimento Monumenti e Belle Arti della Commissione di Controllo della Germania occupata. Di nuovo la sua conoscenza della lingua e del carattere tedesco si rivelarono d’importanza inestimabile, e Cooper per un breve periodo trovò appagamento nel dare spietatamente la caccia ai ladri d’opere d’arte nazisti e ai mercanti che avevano colla-borato con loro.
Era particolarmente fiero del vespaio da lui suscitato quando scoprì la ragione per cui Herr Montag, uno dei principali saccheggiatori per conto di Hitler, continuava a sfuggire alla sua morsa di emulo di Vautrin; Montag doveva la libertà al fatto di aver insegnato a dipingere a Churchill. Uno dei prodotti secondari del lavoro svolto da Cooper per conto della Commissione di Controllo fu una piccola collezione di bei Klee raccolta nel corso delle sue indagini in Svizzera.
Ritornato a Londra, Cooper prese un nuovo appartamento al 18 di Egerton Terrace assieme al vecchio amico lord Amulree, appese alle pareti quanto della sua collezione poteva starci e affrontò una carriera di Kun-stwissenshaft costellata di polemiche.