Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Ben presto, nel corso della sua lunga vita (1884-1970), Frits Lugt è stato in grado di assicurarsi che il suo cognome, o almeno l’iniziale, fosse ricordato. Ciò avviene nello stesso modo in cui la «K.» dell’altrimenti dimenticato Kòchel è ricordata ogni giorno durante i p rogrammi dei concerti, per via della catalogazione che egli fece delle opere di Mozart. Dal “Giornale dell’Arte” n. 60, settembre 1988
Il primo della lista di persone ricordate per questo motivo è, credo, il bibliotecario viennese Adam Bartsch, che catalogò le incisioni di vari artisti in ventidue volumi, pubblicati in francese intorno al 1800, e che sarà per sempre ricordato come «B.» nel mondo ristretto dei collezionisti pubblici e privati. Certo, molti altri hanno creato cataloghi il cui argomento è di un certo interesse, ed alcuni di loro erano ben consci del significato che ciò aveva per la propria personalità.
Il caso di Lugt è però diverso perché ciò che egli catalogava poteva davvero sembrare poco entusiasmante, anche se era fondamentale per quanti ne erano interessati; sembrava inoltre impossibile che si potesse effettuare una catalogazione completa o quasi. L’argomento di cui si occupava erano i timbri, timbri di gomma e simili – che i collezionisti applicano alle stampe ed ai disegni per attestarne la loro proprietà. Il libro di Lugt pubblicato nel 1921 ne conteneva circa tremila.
Anch’esso (come il catalogo di Bartsch) è scritto in francese, anziché in olandese, lingua madre dell’autore, e il lunghissimo titolo spiega che si occupa di timbri di mercanti d’arte, di musei e di privati, in inchiostro, a secco o a mano. È ancora difficile riuscire a immaginarsi la compilazione di un simile catalogo, nemmeno con l’aiuto di un computer. In una garbata prefazione, Lugt ringrazia chi aveva già fatto dei tentativi in questa direzione, in modo forse più generoso di quanto abbiano meritato i risultati raggiunti. Nel libro non si limita ad identificare i nomi che si celano dietro ai timbri, che sono per la maggior parte monogrammi. Spesso aggiunge dei commenti, in cui parla dei particolari interessi del proprietario, anche suggerendone il lato umano.
È il primo raggio di luce in un mondo che sarebbe altrimenti rimasto oscuro. È più facile comprendere quale fosse il metodo di Lugt sapendo che anche lui, come c’era da aspettarsi, era un collezionista. E che collezionista! Parlava del suo gruppo, quasi una famiglia, e ne condivideva la vocazione come se fosse una passione, per quanto insignificante potesse questa apparire ad un estraneo. L’unica opera che vi si può accostare è il catalogo di Briquet delle filigrane della carta antica. Questo libro è di fondamentale utilità per lo stesso tipo di pubblico perché riporta le date di fabbricazione, così come Lugt rivela la storia dei passaggi di proprietà di un disegno o di una stampa. Il lavoro di Lugt richiedeva naturalmente degli aggiornamenti, e perciò un secondo, ugualmente ampio volume apparve nel 1956.
Ma non si trattava del più ampio catalogo di Lugt, né di quello più astruso. È superato sotto entrambi i punti di vista dalla sua lista delle vendite pubbliche di opere d’arte (soprattutto aste), a partire dal 1600. Il primo volume ne conteneva 11.065 fino al 1825; ne sono seguiti altri due che si riferivano alle vendite avvenute fino al 1900. Senza dubbio quest’opera non è molto diversa da altri strumenti che agevolano il commercio, come cataloghi di numismatica o elenchi dei modelli di automobili. Il catalogo dei timbri viene considerato il capolavoro di Lugt.
È stato ovviamente necessario un lungo periodo di preparazione. Infatti, a otto anni, il piccolo Frits mise sulla sua porta un cartello che annunciava il «Museo Lugtius, aperto quando il Direttore è a casa». Esponeva pietre e pelli di serpente. Non è una cosa strana; tanti bambini hanno una propria collezione ed una competenza strabiliante su ogni loro più piccolo dettaglio. Industrie come quella delle figurine e dei francobolli commemorativi nascono per rispondere alle loro esigenze. Alcuni bambini sono tuttavia più originali di altri, ed alcuni possono sembrare dei prodigi, specialmente se col passare degli anni il loro interesse continua. All’età di dodici anni, Lugt andava ogni pomeriggio, dopo la scuola, nella sezione delle stampe del Rijksmuseum di Amsterdam, restandovi fino all’ora di chiusura; ben presto lavorò al loro catalogo, che il museo non possedeva ancora. A quindici anni era arrivato al numero 995 ed alla lettera J, mentre si dedicava anche alla stesura di una biografia di Rembrandt. Stava anche cominciando a conoscere degli adulti con i suoi stessi interessi, e a diciassette anni fu assunto ad una casa d’aste come capo assistente. Per essa egli iniziò a preparare alcuni dei cataloghi delle vendite che più tardi avrebbe inserito nel suo elenco.
Tutto ciò può sembrare fin troppo semplice, una tendenza che si spiega facilmente con l’appartenenza della sua famiglia alla chiesa Mennonita, o con il fatto che suo padre era ingegnere civile, e ci può interessare poco più dei suoi cataloghi. Ma c’è ben altro. Si può certamente presumere che una persona come lui abbia sempre desiderato collezionare cose importanti, e che quest’ambizione sia stata per lui un sogno affascinante. La maggior parte degli storici dell’arte possiede piccole collezioni e spesso non è in grado di mantenere il senso delle proporzioni nel giudicarne la qualità.
Il tipo di collezione che sognano richiede troppo denaro per poter agire liberamente. Come tutti, pensano di scoprire in un acquisto di poca importanza dei capolavori nascosti. Lugt lo fece sul serio, in genere pagando una somma ragionevole per acquistare un grosso lotto di disegni in cui si ce-leva un tesoro insospettato. Lo fece per la prima volta nel 1919, scoprendo un bellissimo disegno di Rubens, il ritratto di una fantesca, che ha in sé la forma organica centrifuga tipica dell’artista, ma con insolita sobria dignità. Lo fece in modo ancora più spettacolare nel 1923, quando scoprì un Raffaello in un lotto simile a quello precedente. Lo fece subito esaminare dal miglior esperto di Raffaello del momento, che allora ne stava catalogando i disegni (le cose furono facilitate dal fatto che la cerchia degli specialisti era molto ristretta) e quell’esperto, in quello stesso anno, incluse il disegno di una sua pubblicazione.
Nessuno di questi colpi di fortuna sarebbe però bastato a creare la collezione Lugt così come la conosciamo oggi, con i suoi seimila disegni di Antichi Maestri, ognuno dei quali sarebbe degno di essere ammirato in qualsiasi museo, per non parlare della più vasta collezione di stampe e di tantissime altre cose. E nemmeno Lugt si procurò il denaro, in larga misura, alla maniera di Berenson, assicurandosi commissioni da parte di collezionisti miliardari e traendo profitto dalle sue capacità. Lo fece con il matrimonio, il primo di un numero ristretto di avvenimenti che sembrano quasi delle intrusioni nel suo particolare stile di vita. Lugt e sua moglie si incontrarono mentre stavano «cavalcando sulle dune» – una visione fugace di un Lugt non immerso nel suo lavoro. La famiglia della moglie era «nel ramo del carbone», ed il padre si interessò con entusiasmo all’attività di Lugt.
Quando morì nel 1935, lei ereditò una vera fortuna; era come se J. P. Morgan e Berenson si fossero riuniti in una sola persona. Le altre intrusioni sono state semplicemente le due guerre mondiali. Entrambe portarono a dei forzati cambiamenti totali nella vita di Lugt, ma in entrambi i casi si rivelarono in fondo degli eventi favorevoli. Dal momento che la prima guerra era di ostacolo per il mondo delle aste, il suo datore di lavoro, che aveva nove figli, decise di licenziarlo. Ciò lo rese indipendente, ed egli ebbe così occasione di progredire.
Poteva continuare a compilare il suo catalogo dei timbri tenendosi in corrispondenza con musei un po’ dovunque, una delle poche cose ancora possibili, data l’impossibilità degli spostamenti, e realizzabile solo grazie alla fortuna di essere cittadino di un paese neutrale, come Lugt spiegò in seguito con modestia. Inoltre, nei limiti consentiti dalla sua specializzazione in disegni e dipinti olandesi, divenne un consulente per gli altri collezionisti. Diventò anche un marchand-amateur: una persona la cui immagine pubblica è quella di un amante dell’arte senza problemi finanziari che, a tempo perso, si dedica alla vendita. Questa figura è una piccola variazione del classico mercante d’arte che tiene per sé la propria collezione privata, realizzata con facilità e, in molti casi, di grande pregio.
Ci sono molte sfumature. I Lugt vivevano in Olanda, ma poco dopo la Prima Guerra Mondiale passarono molto tempo a Parigi. Là egli divenne un attaché al Louvre, e fu ben presto invitato a catalogarne i disegni olandesi. Iniziò così una versione adulta del suo progetto del Rijskmuseum che portò alla realizzazione di cinque volumi su diverse collezioni pubbliche parigine, e alla raccolta del materiale per altri volumi che rimasero incompiuti alla sua morte. Nello stesso tempo collezionava su larga scala, partecipando alle aste (sempre accompagnato dalla moglie) di molte capitali europee e portando a termine colpi da maestro.
Nel 1923, a Firenze, acquistò un gruppo di circa cinquecento disegni che un mercante d’arte aveva conservato per quasi vent’anni; questi, a sua volta, li aveva avuti da un’unica collezione, il che costituiva un punto a loro vantaggio. Lugt finì per tenerne soltanto una cinquantina. Alcuni degli altri furono semplicemente scambiati, specialmente con l’Albertina di Vienna, forse la maggiore collezione pubblica di stampe e disegni, se il metro di giudizio è un ben ponderato equilibrio di quantità e qualità. In cambio ottenne delle incisioni di cui all’Albertina avevano dei duplicati, di seconda qualità per l’Albertina, ma che qualsiasi collezionista privato non osava nemmeno sperare di avere. In questo modo Lugt riunì quasi tutte le acquaforti di Rembrandt. I disegni che aveva deciso di trattenere si rivelarono delle opere italiane del periodo tardo-gotico, la prima epoca dalla quale ci restano disegni d’artista, e forse i più notevoli, con lo stesso criterio di ponderato equilibrio.
Fu una fortuna che Lugt fosse indipendente, perché probabilmente non avrebbe potuto lavorare altrettanto bene all’interno di un gruppo, con lo scambio di responsabilità fra i vari esperti che esso comporta. Poco tempo dopo l’asta di Firenze egli scrisse, – apparentemente senza essere stato invitato a farlo un saggio di cento pagine, molto critico nei confronti di un rapporto ufficiale del governo olandese, che riguardava il futuro dei musei ed i criteri con cui sceglierne il personale. La sua critica principale consisteva nel fatto che gli accademici si occupano di arte attraverso i libri scritti degli studiosi che li hanno preceduti e non sono perciò abituati ad osservare. Fin troppa verità è contenuta in questa affermazione, dato che gli studenti entrano nei musei e si dirigono subito verso la biblioteca.
Le opinioni di Lugt erano basate sulla propria esperienza di esperto autodidatta, senza titoli accademici, che si era fatto strada attraverso l’aspetto commerciale dello studio dell’arte, e che sentiva che quest’aspetto era considerato con sufficienza dai professori universitari. Più tardi Lugt rifiutò due lauree ad honorem, che gli erano state offerte da due università olandesi. Secondo Lugt, come per Berenson, per giudicare l’arte del passato erano necessari l’occhio esperto, il sentimento e l’intuizione. Lo stesso tipo di metodo non è poi così raro tra i professori e i conservatori che considerano l’occhio esperto degno di fede e non soggettivo. Si può pensare che sia strano trovare questa esaltazione del sentimento estetico proprio in Lugt, minuzioso compilatore di cataloghi.
Eppure queste due forze si fondevano, fino a combinarsi con un’altra forza, ugualmente diversa da entrambe. Durante la seconda guerra mondiale i Lugt si trasferirono in America senza molti problemi. L’amministrazione nazista aveva sequestrato le loro collezioni, ma queste furono in gran parte recuperate. Su invito di Wolfgang Stechow, insigne e cortese esperto d’arte olandese, anch’egli rifugiato, i Lugt si stabilirono a Oberlin, nell’Ohio. Quando, alla fine della guerra, ritornarono in Europa con casse di libri appena comprati e mucchi di riviste, essi portarono con sé un altro trofeo più insolito e intangibile.
Era il concetto americano di fondazione, che in Europa è ancora oggi raro ed in qualche modo oscuro. Iniziò così una nuova fase, Lugt come filantropo, ostinato nei confronti del disinteresse generale. In primo luogo cercò di ottenere dal governo francese un edificio a Parigi, in cambio della sua bella casa dell’Aia, che questi avrebbe potuto utilizzare come ambasciata. Dopo molte contrattazioni infruttuose, si limitò ad acquistare un bel palazzo parigino, per esporvi le sue collezioni.
Questo divenne la Fondation Custodia, che organizzava soprattutto mostre di disegni, ovviamente sotto la supervisione di Lugt, e ne curava anche altre per conto del Louvre o di altre istituzioni. Al contrario della tipica fondazione americana, in questo caso il mecenate era anche direttore operativo. Come se J. P. Morgan e Pillsbury fossero riuniti in una sola persona. Un buon termine di paragone potrebbe essere Paul J. Sachs, che collezionava disegni e poi dirigeva il museo cui li dava; ma Sachs lo fece associandosi all’Harvard, non dando vita ad una fondazione propria.
In questo modo Lugt allargò il suo campo d’azione relativamente ristretto di compilatore di cataloghi, collezionista e mercante d’arte, fino a diventare un’istituzione, facendo della sua fondazione un piccolo gioiello. Senza mettere da parte alcuna delle sue attività precedenti (tranne forse la vendita, che era sempre stata una sua occupazione secondaria), diventò il più autorevole esperto nel suo settore. Chi si rivolgeva a lui apparteneva ad un gruppo più allargato, ma non dissimile da quello più ristretto degli specialisti di disegni, da cui egli proveniva.
Sebbene fosse a Parigi che Lugt aveva incontrato le più grosse soddisfazioni, la sua opera aveva dato ottimi risultati anche a Firenze dove ha fondato, in una suggestiva villa nei dintorni della città, un Istituto Olandese, in cui vengono ospitate esposizioni di disegni olandesi ed altre dello stesso genere. A differenza però dal suo equivalente parigino è posto sotto gli auspici delle università olandesi riunite, ed ha anche l’insolita funzione di collegio, in cui gli studenti universitari di storia dell’arte passano una settimana o più durante il loro primo anno di studi.
Era un segno che Lugt avesse deciso di perdonare il mondo accademico? Più probabilmente si stava sforzando di cambiarne i punti di vista. Le raffinate capacità di Lugt come collezionista ad alto livello, gli donano ora un’altra opportunità di essere ricordato dopo la morte. Il suo istituto ha iniziato nel 1983 la pubblicazione di cataloghi dei disegni in possesso della fondazione. L’opera è iniziata con i cinquecento disegni italiani, forse perché, come afferma l’introduzione, «sono quelli meno conosciuti».* Accompagnano il catalogo, per il piacere degli studiosi, settanta illuminanti pagine di bibliografia degli scritti, «citati nella loro forma abbreviata», il disegno di circa duecento filigrane, gli indici specializzati (dei proprietari precedenti, della collocazione delle opere, degli argomenti).
Ci sono inoltre i commenti al catalogo redatti da James Byam Shaw, un veterano del mondo di Lugt, uno studioso la cui principale attività è stata quella di mercante d’arte. Egli scrive con la complice informalità di chi si rivolge ad amici ugualmente esperti, con la sicurezza di chi è pronto a confessare i propri errori e a condannare quelli degli altri. «L’indicazione» di un’attribuzione «può essere stata mia, visto che» un proprietario precedente «aveva acquistato il disegno dalla raccolta di Colnaghi» (Byam Shaw aveva lavorato a lungo da Colnaghi); «ma ora non la posso giustificare; le caratteristiche non sono affatto» di quell’artista.
«Non vorrei mettere in dubbio l’attribuzione di un esperto così autorevole dei paesaggi italiani del diciassettesimo secolo, ma credo che questa volta il professor Chiarini sia in errore». E con più enfasi, a proposito di un Tiziano: «Per quanto riguarda la sua qualità, respingo la valutazione dello» Specialista A, «e mi rammarico che essa sia stata recentemente citata e confermata dallo» Specialista B. Ma ciò che più ci interessa è vedere i disegni, quanti di questi ci sembrano belli, o importanti o inaspettati, e nel fare questo ritroviamo distintamente lo spirito della collezione Lugt.
Esso emerge nel meraviglioso gruppo tardo-gotico, di cui abbiamo già parlato; il loro proprietario deve aver pensato che questi avrebbero entusiasmato i suoi amici. Emerge in modo ancora più evidente in una serie di sessanta disegni del Rinascimento eseguiti da un solo artista, alla quale è stato dedicato quasi tutto il secondo volume. Si tratta dell’album dei disegni di Polidoro. Polidoro, che faceva parte della cerchia di Raffaello, era ai suoi tempi considerato il più raffinato decoratore di facciate, che ornarono le più belle dimore romane.
Tutto questo genere di dipinti è naturalmente scomparso. Pochissimi disegni sono sopravvissuti, e questo album è forse la fonte migliore che ci rimane per penetrare in un intero settore della pittura rinascimentale, oltre ad essere dei bellissimi disegni. Lo spirito della collezione Lugt emerge inoltre in alcune sorprendenti rarità, come nel caso di un disegno che riproduce un dettaglio di un dipinto del Pollaiolo. Al contrario di ciò che si potrebbe generalmente credere a proposito dei cambiamenti del gusto, la riproduzione è stata disegnata da un maestro di circa due generazioni successive a Firenze, Andrea del Sarto; è come ritrovare una copia di una cattedrale di Monet eseguita da Mirò.
Analogamente, ci sono dei disegni che ricordano un po’ quelli di Guercino; possiamo considerarli come delle imitazioni (molto comuni) della sua famosa tecnica, finché non ci accorgiamo che queste imitazioni sono state eseguite da Joshua Reynolds. In questo modo Lugt ci esorta ancora una volta – ma solo attraverso bellissime illustrazioni – a scrollarci di dosso le abitudini, a non pensare di conoscere tutto sull’arte, ad avvicinarci in un modo più intimo ai dettagli dell’arte; è vero che i disegni preparatori di ogni artista seguono lo stesso procedimento. È sotto quest’aspetto che possiamo anche vedere il più bello dei suoi Rembrandt, che rappresenta la moglie dell’artista, Saskia, nel letto, che sta per partorire. L’intera collezione di lettere di artisti di Lugt ci porta in un’altra dimensione, questa volta è come se Isabella Stewart Gardner e E. H. Gombrich fossero riuniti in una sola persona: il più raffinato dei maggiori collezionisti d’arte ci dà degli argomenti che ci forniscono un’idea diversa sui pregiudizi degli studiosi.
Ma dobbiamo anche poter vedere in Lugt un’unità armonica. Uno dei migliori indizi ci viene dato dal catalogo che egli stesso compilò per una delle esposizioni che aveva curato per il Louvre, il cui tema era la collezione di Mariette, un francese del diciottesimo secolo che è forse l’unica persona passata alla storia soltanto per essere stato un collezionista. Lugt preparò l’esposizione e scrisse una prefazione in forma epistolare, rivolta a Mariette. Egli la termina con uno stile che, anche se in francese, ha una tale aggraziata eleganza da sopravvivere ad una traduzione letterale.
«Ho perciò ogni motivo di compiacermi che questa esposizione mi abbia dato la possibilità di ripagare un debito di rispetto nei vostri confronti, e di assicurarvi della perfetta sincerità con cui ho l’onore di essere, mio carissimo maestro, il vostro molto umile e devoto pronipote». E una confessione auto biografica, che si presenta nella forma e nell’occasione più inaspettate, ma che nonostante tutto riempie di commozione. La definizione di ciò che Lugt è stato deve essere necessariamente francese, ma non credo sia tanto «amateur accompli», come è stato suggerito, quanto semplicemente «connaisseur».
Il legame di Lugt con l’arte è nel conoscerla, non come erudito, ma con lo speciale significato di chi la conosce personalmente, in ogni modo. Se una persona connaìt veramente, la sua opera comprenderà la compilazione dei cataloghi di sostegno, persino i cataloghi dei timbri (proprio come il connaisseur Berenson è famoso per le sue liste); comprenderà l’acquisto, la proprietà, il raggruppamento in esposizioni e catalogazioni, e anche l’osservazione. Ed il completo connaisseur, per quanto desideroso di imparare, compie azioni che insegnano, che portano noialtri a guardare. Beato Lugt, per la sua vita così incredibilmente ricca di soddisfazioni, e per un lascito alla posterità che, egli lo sapeva, sarebbe stato la soddisfazione più grande di tutte.
Creighton Gilbert per © The New Criterion e per l’Italia Il Giornale dell’Arte