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L’oro del Reno

Non è la più antica, ma sicuramente la più ambita: compie trent’anni la fiera d’arte contemporanea svizzera, nata dall’idea di un gruppo di «mercanti progressisti». Philippe Régnier per il “Giornale dell’Arte” n. 179, giugno 1999

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Art Basel, photo Kurt Wyss, giugno 1970

Per una volta almeno, l’enfasi di un comunicato stampa è condivisibile: Art Basel è davvero «il più bel museo a tempo determinato». La più ambita fiera d’arte contemporanea d’Europa (ma non la più antica, qualifica che spetta a quella di Colonia), fondata da due mercanti basilesi, Trudi Bruckner ed Ernst Beyeler, compie trent’anni con l’edizione aperta dal 16 al 21 giugno. Diretta da Lorenzo A. Rudolf, gran capo della Messe Basel, da quest’anno la fiera raccoglie 160 espositori selezionati da un numero di aspiranti che quest’anno ha sfiorato le 700 unità.

La Germania, con 56 stand, è il paese più rappresentato, seguito dalla Svizzera (41) e dagli Stati Uniti (36). Ventuno le italiane in una fiera che sta attraversando un periodo di turn-over, dal momento che il 25% delle partecipazioni si deve a gallerie esordienti a Basilea: tra i nuovi arrivi, per il settore classico, l’entrata in campo dei Nahmad di Londra, e poi van de Loo di Monaco di Baviera e tre newyorkesi, Achim Mòller, Robert Miller e Mitchell, Innes & Nash; sempre da New York arrivano rinforzi sul versante dell’attualità: Barbara Gladstone, Paula Cooper, Luhring Augustine e Tony Shafrazy.

Partecipare ad Art Basel non è esattamente affare a buon mercato: un metro quadrato viene mediamente concesso all’equivalente di poco più di 400mila lire; per quanto riguarda ogni integrazione al box «modello-base» viene richiesta una cauzione di 2,5 milioni, da cui l’organizzazione può detrarre le spese per gli accessori in più (faretti, tramezzi e vario arredamento). Le 26 gallerie che partecipano alla sezione «Statements», incentrata sugli emergenti esposti in mostre personali, usufruiscono di un forfait che costa intorno agli 8 milioni di lire.

Oltre a «Statements», la fiera è dotata di settori specifici dedicati alla fotografia, alla grafica e all’editoria d’arte, alla scultura e alla Video-art. Tra le mostre in corso nel periodo fieristico, un percorso da Cézanne all’arte tecnologica sul tema della figura è offerto dalla Fondazione Beyeler a Riehen, alle porte della città nella sede progettata espressamente per la collezione del gallerista dall’architetto italiano Renzo Piano e immersa nel verde di un parco; il Museum für Gegenwartskunst ospita invece un itinerario lungo l’arte americana del XX secolo, mentre una monografica di Renée Levi e una rassegna sulla pittura contemporanea rappresentano l’abbinata proposta dalla Kunsthalle. Da vedere anche il Museo Tinguely, dove l’artista titolare dell’istituzione è messo a confronto con Cesar.

La rassegna, che ha sede nell’Edificio 2 del complesso fieristico sulla Messeplatz, è aperta dalle 11 alle 19 (l’ultimo giorno fino alle 18); le danze del vernissage, il 15 giugno, sono aperte per gli invitati dalle 18 alle 21. Il biglietto d’ingresso costa 25 franchi (circa 30mila lire, ridotte alla metà per studenti, pensionati e disabili) ; con 48mila lire si può usufruire di una tessera valida per tutti i sei giorni di apertura, mentre con 6mila lire si può entrare dopo le 17. Il catalogo è in vendita a poco più di 42mila lire. Art Basel, infine, è «on line» al sito www.art.ch.

Pionieri e galleristi

«Maggior tempo libero, buoni salari, mezzi di comunicazione che collegano tutto il mondo e un ‘intensa attività nel campo delle esposizioni hanno spinto sempre più persone a interessarsi all’arte contemporanea. Il successo costante del mercato d’arte organizzato da un gruppo di mercanti d’arte progressisti della Germania Ovest (la fiera di Colonia, ndr) ha dimostrato quanto il mercato sia ormai essenziale per l’arte attuale, perché procura ai galleristi contatti con nuove categorie di acquirenti e al pubblico, oltre a un contatto con il mondo del commercio dell’arte, un’idea di quella che è l’offerta e la possibilità di confrontare i prezzi; tutto questo conferisce una maggior trasparenza al mercato».

Il «proclama» qui pubblicato apparve, nel 1970, sul catalogo della prima edizione della fiera di Basilea: il testo è redatto nel tono di chi è consapevole di partecipare agli inizi di un’avanguardia, quasi un manifesto. E in quel periodo, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, che si organizzano le prime fiere di arte contemporanea, sul modello delle rassegne antiquarie. Prendendo spunto dall’Iki, mostra-mercato che si svolgeva alternativamente a Colonia e a Dùssel-dorf, due mercanti basilesi, Trudl Bruckner e Balz Hilt proposero di allestire nella città svizzera una fiera destinata a diventare la più ambita al mondo.

Per realizzare questo progetto si allearono a Michael Bammater, direttore della Foire suisse aux échantillons, e gestore di spazi espositivi, che si sarebbe occupato dell’organizzazione. «All’inizio non ero del tutto favorevole, ricorda Ernst Beyeler, oggi il più noto gallerista di Basilea; ma gli organizzatori mi dissero che la fiera non si sarebbe potuta realizzare senza il mio aiuto e le mie conoscenze. Alla fine, ho deciso di accettare e la manifestazione è diventata la più importante fiera del mondo. Capii che la mostra avrebbe offerto una nuova possibilità di presentare le gallerie e di fare dei confronti e quindi cambiai punto di vista».

Ernst Beyeler a quei tempi già beneficiava della grande fama ottenuta grazie alla vendita della collezione Thompson di Pittsburgh alla fine degli anni Sessanta. «Ho sempre avuto una concezione elitaria dell’arte, preferendo una presentazione isolata dell’opera, commenta il gallerista. La fiera significa un’apertura. La qualità delle opere è livellata e i capolavori non traggono nessun vantaggio dall’accostamento con i pezzi mediocri che si trovano in tutte le fiere.

Però la gente non ne è disturbata.

Mi sono accorto che le persone apprezzano il fatto di poter mettere a confronto più gallerie e tendenze. Per quanto riguarda lo specifico di Basilea, si tratta di una città non particolarmente attraente per il turismo: non siamo a Londra o a Parigi. Però i piccoli centri presentano qualche vantaggio, come la tranquillità; e la fiera ha esercitato sulla mia galleria un effetto decisamente positivo, dal momento che ho potuto incontrare nella mia città il pubblico che generalmente si vede soltanto nei grandi centri »

Denise René di Parigi è un altro gallerista presente sin dalla prima edizione di Art Basel: «La fiera permetteva, già dal suo esordio, di vedere in soli cinque giorni un pubblico internazionale che in galleria non avremmo avuto in un anno intero. Vi si riunivano gli appassionati di tutto il mondo, mentre abitualmente le persone non hanno sempre il tempo di fare il giro di tutte le gallerie».
La prima edizione di Art Basel non fu esattamente «internazionale», dal momento che riuniva soprattutto gallerie operanti in Svizzera. I galleristi americani sarebbero arrivati solo dopo che la fiera sarebbe stata collaudata a fondo.

Alla terza edizione, quando la rassegna aveva iniziato il suo consolidamento, si decise di cambiare sede e di procedere a una selezione delle gallerie aspiranti. Art Basel si è svolta a lungo in condizioni spartane. I galleristi erano obbligati a installare autonomamente l’impiantistica e i box. Anche gli impianti di condizionamento climatico si sarebbero fatti attendere, fatto particolarmente spiacevole dal momento che a giugno la temperatura a Basilea può essere torrida. In quei tempi pionieristici partecipare alla fiera non era particolarmente caro; in tutti i casi, non rappresentava un sacrificio per le gallerie.

Durante la crisi dei primi anni Novanta alcune non riuscirono più a pagare per i loro stand. Art Basel ha allora ricevuto un duro colpo, subendo l’effetto boomerang dell’impennata dei prezzi durante il boom degli anni Ottanta, un fenomeno cui la fiera ha peraltro partecipato attivamente. Oggi la maggiore insidia per le gallerie proviene dalle case d’asta, ed Ernst Beyeler sostiene che le fiere, e soprattutto quella di Basilea, rappresentino uno strumento più che efficace per fronteggiare questa concorrenza: «Come accade in altri settori dell’economia, si registra una tendenza alla concentrazione del mercato.

È difficile opporsi alle case d’asta, a causa dell’effica cia del loro marketing. Le fiere, oggi, devono rimanere riservate alle gallerie e devono fare attenzione alle “infiltrazioni” sotterranee». Beyeler si riferisce all’acquisto della André Emme-rich Gallery da parte della Sotheby’s nel 1996, cosa che ha determinato la creazione dell’Icafa (International Contemporary Art Fairs Association), un organismo che riunisce le fiere di Colonia, Basilea, Madrid, Parigi e Bologna, allo scopo di «proteggere» queste rassegne dalle «infiltrazioni» della Sotheby’s e della Christie’s. Se Art Basel è fra i fenomeni responsabili del rialzo dei prezzi, in compenso ha esercitato, negli anni Settanta e Ottanta, una notevole influenza sul lancio di alcuni movimenti.

Il settore «Nouvelles tendences», ad esempio, ha partecipato alla promozione della Nouvelle figuration e vent’anni dopo è a Basilea che si sono affermate le correnti del ritorno alla pittura. Svolgendosi al termine della stagione, Art Basel sfrutta il momento strategicamente migliore dell’anno, anticipando solo di qualche giorno i vernissage di quelle che sono le messe solenni dell’arte contemporanea, la Biennale di Venezia o Documenta a Kassel. E, in un momento in cui sempre più fiere diventano importanti punti d’incontro a livello regionale, Basilea resta indiscutibilmente la più internazionale.

Art Basel, photo Kurt Wyss, giugno 1970