Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Fondata nel 1955 dalla felice intuizione di Arnold Bode, Documenta è una delle più influenti rappresentazioni della situazione emergente dell’arte contemporanea. Franco Torriani* ripercorre i contenuti salienti della storia delle prime sette edizioni nel passaggio di visione da Arnold Bode a Harald Szeemann. Da “Il Giornale dell’Arte” n°45, gennaio 1987
L’idea di Documenta venne a un solo individuo, Arnold Bode, pittore, designer e professore all’Accademia di Kassel. Nel 1954 Bode fondò con alcuni amici una associazione, «Arte Occidentale del 20° secolo». Era la base di Documenta. «Il rinomato genio di Bode – si legge in Documenta-Idea ed Istituzione: Tendenze, Concetti, Materiali, edito da Manfred Schneckenburger (Ed. Bruck-mann, Monaco, 1983) – irrequieto e con un indomabile desiderio di sceneggiare l’arte in un ambiente e le capacità che aveva Haftmann [Werner Haft-mann, lo storico che aveva allora appena pubblicato La pittura nel 20° secolo, fu definito lo spiritus rector di Documenta, n.d.r.], sono le strutture portanti di Documenta 1, 2 e 3. Il Barone Herbert von Buttlar, curatore di museo, ne fu l’instancabile organizzatore».
Documenta I/1955
Dopo dodici anni di nazismo e dieci di ricostruzione postbellica, Documenta I mostrò «gli intrecci e i legami europei dell’arte moderna». La manifestazione si orientò storicamente: i contemporanei vennero provocatoriamente messi a confronto con i classici. Imperniata sulla pittura astratta, ne risultò ampiamente escluso l’informale. Le sculture presentate in Documenta I ci appaiono oggi incredibilmente conservatrici. Il luogo dell’esposizione fu il Museo Fridericianum (5000 mq). A Documenta 1 parteciparono 148 artisti con 570 opere: 49 erano tedeschi, 44 francesi, 26 italiani. Dei restanti, 20 provenivano da paesi europei e solo 3 dall’America. Documenta 1 fu senza dubbio una mostra quasi esclusivamente europea.
Documenta 2/1959
Dato il successo della prima edizione, si intuì la possibilità di creare un’alternativa alla Biennale di Venezia, di chiaro indirizzo nazionale, offrendo qualità e non autorappresentazione dei vari paesi. Documenta 2 si avvalse delle stesse persone di Documenta I, ma cambiò la forma organizzativa. Al posto dell’associazione «Arte Occidentale del 20° secolo», si costituì una società a responsabilità limitata con socio di maggioranza la città di Kassel. Al posto del comitato unico di 5 membri, subentrarono i comitati settoriali e la commissione per l’ambientazione delle opere. Tesi fondamentale fu il dettato di Haftmann: «L’arte riproduttiva viene oggi sostituita da quella evocativa». Una prospettiva sul presente dominata dall’informale come «lingua universale». Accanto agli artisti dell’Ecole de Paris, risaltarono quelli tedeschi e italiani e, per la prima volta con un certo peso, gli americani, in particolare quelli della New York School. Notevole la presenza di sculture, alcune delle quali vennero esposte dinnanzi alle rovine dell’Órangerie.
Documenta 3/1964
Questa edizione di Documenta non si indirizzò alla storia, come Documenta I, o all’ampia produzione contemporanea, come Documenta 2. Sia Bode che Haftmann puntarono alla «qualità» e alla «rilevanza», imperniando la rassegna sui singoli grandi artisti e sulle loro opere più significative. Una Documenta nata «nel fare», ma con Haftmann che insisteva sulla centralità dell’arte astratta, ovvero sulla linea del 1959, mentre Bode, in una conferenza stampa, rilasciava il certificato di morte dell’informale. Ne risultò una mostra di tendenze retrospettive. Il regalo d’addio di Haftmann fu la sezione di «disegni a mano», un panorama di 80 anni di storia dell’arte, iniziando da Cézanne. In scultura dominò Moore. Per molti, l’unica scintilla utopica di Documenta 3 fu un locale cinetico che, all’ultimo momento, Bode allestì senza il beneplacito del consiglio. In «Immagine e scultura nello spazio» Bode anticipò le tendenze ambientali dell’arte.
Documenta 4/1968
Con i suoi comitati di lavoro che prendevano decisioni provvisorie e con un consiglio di 23 membri che votava per le partecipazioni definitive, per quanto criticata, Documenta 4 nacque secondo un principio coerentemente democratico. L’aspetto della rassegna lo ispirò l’olandese Jan Leering, con non meno vigore di quanto Werner Haftmann avesse fatto per le tre edizioni precedenti. Documenta 4 radicalizzò l’innovazione diventando un’esposizione immensamente vitale. Presentando dei formati giganteschi, Leering testimoniò l’affermarsi degli americani e la propensione all’ambiente. Schmalenbach e Winter, non convinti di questa inflazione del nuovo, abbandonarono il consiglio. Del resto, la messa in scena di Bode sottolineò ulteriormente il carattere ambientale dell’arte di quel periodo. Bazon Brock realizzò per la prima volta il suo modello di comunicazione, la scuola per visitatori che, per quanto discussa, da allora si sviluppò fino a diventare un’istituzione di Documenta.
Documenta 5/1972
Il principio per cui ogni Documenta reagisce criticamente all’edizione precedente, fu particolarmente vero per Documenta 5. Sul piano organizzativo, alla democrazia consigliare del 1968 (Documenta 4), si sostituì la nomina di un segretario generale, Harald Szeemann. Con l’avvento di Szeemann terminò l’era di Bode, patrono di Documenta, ma privo di adeguati compiti propri. In polemica con Documenta 4, Szeemann proclamò una Documenta come «struttura praticabile di avvenimenti», antimuseale e coinvolgente l’intera città, in alternativa a un’esposizione statica. Szeemann, con Bazon Brock e Jean Christophe Am-mann, sviluppò un progetto enciclopedico, in grado di propagare i «mondi dell’immagine odierna», sia artistici che non artistici. Ne risultò una significativa mostra d’arte catapultata nel presente, ma non priva di uno strascico economico, un deficit di 800.000 marchi di cui Szeemann doveva essere responsabile personalmente. Ne derivò una minaccia di boicottaggio dei direttori tedeschi di mostre e la richiesta di una gestione professionale e permanente.
Documenta 6/1977
Quest’edizione non doveva più avere un segretario generale. La vecchia guardia, stretta intorno a Bode, cercò di fondare una nuova struttura organizzativa con Karl Ruhrberg che, a sua volta, portò Wieland Schmid. Il loro progetto mediava fra attualità, prospettiva storica e tematizzazione. Dopo le dimissioni di Ruhrberg e le controversie sorte intorno alla presenza in consiglio del gallerista Stünke, venne nominato un nuovo direttore artistico, Manfred Schneckenburger, al quale fu assegnato un comitato per l’elaborazione del programma. Documenta 6 fu caratterizzata da un concetto di multimedialità: un tentativo di collegare le esigenze intrinseche dell’arte alle aspettative della società nei confronti dell’arte stessa, localizzando inoltre la posizione dell’arte in un mondo invaso dai mass media visivi. Fu la Documenta più vasta, con trasmissioni nelle televisioni pubbliche, con la presenza di «sculture orizzontali» nell’Auerpark con gli Environments degli artisti e, per la prima volta a Kassel, con tre settori specifici dedicati a fotografia, film e video.
Documenta 7/1982
Nel 1982, con un procedimento che è andato stabilizzandosi, il sindaco di Kassel, in qualità di presidente del consiglio di sorveglianza di Documenta, nominò una commissione di esperti incaricata di proporre programmi e di consigliare un direttore artistico che, senza nessun’altra intrusione, viene nominato dal consiglio di sorveglianza medesimo. Per Documenta 7 venne nominato l’olandese Rudi Fuchs che lavorò con un team di esperti di cui, fra gli altri, faceva parte il critico italiano Germano Celant. Il team non si suddivise in gruppi di lavoro, ma portò avanti unitariamente il progetto dell’intera esposizione. Documenta 7, pur presentando opere degli ultimi anni, attraversava alcune generazioni creative, una modifica senza dubbio necessaria di un concetto innovativo eccessivamente giovanile. Priva di raggruppamenti tematici e con una propensione evidente per il genere classico di pittura e per la corrente neo-espressionista la rassegna apparve largamente improntata sulla solidità museale. Con i suoi 380.000 visitatori, Documenta 7 stabilì il record fra tutte le Documenta.