Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Sono veramente felice di essere vissuto in un’epoca di trasformazioni così radicali nell’ambito dell’arte, della storia del’ l’arte e della museologia e nel modo di concepire mostre e altre questioni legate all’arte, tutti fenomeni che ovviamente riflettono le grandi rivoluzioni che hanno trasformato la struttura spirituale, sociopolitica ed economica dell’umanità e le innovazioni tecnologiche che si sono verificate nella seconda metà del secolo passato e all’inizio del nuovo. Dal “Giornale dell’Arte” n. 200, giugno 2001
Negli ultimi anni le questioni di tipo visivo sembrano attirare di nuovo l’attenzione dei giovani storici dell’arte. La storia dell’arte sembra ritornare nei metodi visivi che le sono stati propri nel passato.
Una parte del divario, in via di restringimento, fra l’ambiente accademico spesso ascetico o moralista e marxista e l’ambiente dei musei e del mercato dell’arte, era causato dall’enorme aumento dei prezzi dell’arte, che in realtà negli ultimi anni hanno subito continui alti e bassi. Questo aumento di valore materiale è stato accompagnato da un enorme interesse popolare provocato in parte dall’industria turistica ma anche dalla crescente attenzione del grande pubblico verso le questioni visive.
A partire dagli anni Sessanta i musei americani prima, e a seguire gli altri, salvo ovviamente eccezioni di rilievo, hanno tentato di ricavare denaro da questa nuova popolarità dell’arte: da una parte si sono dedicati alle cosiddette mostre «blockbuster», programmate per far soldi, e dall’altra hanno creato all’interno dei musei, a scopo puramente finanziario, infrastrutture commerciali quali negozi, ristoranti e altre istituzioni raccatta-denaro. Eventi organizzati appositamente per raccogliere fondi, popolari ma nello stesso tempo estremamente esclusivi, sono divenuti la base per il finanziamento di molti musei che prima si reggevano interamente su donazioni e contributi governativi.
L’aumento del numero di professionisti specializzati in attività museali e nella gestione di eventi esclusivi e sofisticati è stato uno degli elementi che hanno determinato l’incremento del personale impiegato nei musei, indispensabile anche per la gestione delle schiere di visitatori in continua crescita. Il tempo e lo spazio necessari alla contemplazione silenziosa e solitaria che ha caratterizzato le nostre visite a musei e mostre negli anni Sessanta e nei primi Settanta sono ormai diventati un ricordo e lo specialista deve chiedere ai colleghi il favore di farlo entrare al di fuori degli orari di apertura al pubblico; privilegio che in molti casi dovrà condividere con un donatore fortunato o un gruppo di studio.
La popolarità dei musei ha dato ai funzionari dell’amministrazione pubblica e alle altre istituzioni responsabili della supervisione dei musei la possibilità di valutare il successo di un museo esclusivamente in base al numero di visitatori, un indicatore quantitativo piuttosto semplice specie se confrontato con il passato, quando un museo si giudicava valutandone i nuovi acquisti o il grado di erudizione di chi vi lavorava. Questo ha portato dei grandi cambiamenti ai vertici dei musei. I direttori che nel passato venivano scelti esclusivamente per le loro credenziali conoscitive e intellettuali o per le loro qualità di esperti ora devono provare di essere abili nella raccolta di fondi e nell’attirare il grande pubblico.
Le loro capacità imprenditoriali, come dimostrato di recente da Tom Krens del Guggenheim Museum, che dirige i suoi musei come farebbe il manager di una grande corporation con numerosi partner e filiali all’estero, hanno fatto uscire i musei dalla posizione elitaria ed esoterica di una volta per portarli nel turbine delle grandi correnti culturali assegnando loro in alcuni casi un ruolo chiave nell’economia turistica di una piccola città o nella politica culturale di un intero Paese. In un certo modo il carattere e il lavoro dei curatori è stato influenzato da queste nuove tendenze, anche se i musei più grandi continuano ad andare orgogliosi di pubblicare importanti cataloghi scientifici e piccole mostre che promuovono la ricerca. La popolarità dell’arte e degli studi artistici ha dato incremento all’industria editoriale.
Ormai in ogni casa si possono trovare libri splendidamente illustrati ma i cataloghi di mostre e musei, che prima erano piccole guide tascabili, sono talmente aumentati di peso e dimensioni che portarseli dietro in un viaggio di ricerca che prevede la visita di molte mostre può diventare un problema notevole. La spesa necessaria all’allestimento di una mostra ha fatto passare in secondo piano tutte le vecchie inibizioni rispetto alla quantità dei testi destinati al catalogo e al tempo di preparazione. I cataloghi di mostre pubblicati negli ultimi cinquanta anni sono divenuti importanti strumenti di ricerca e spesso contengono le più importanti scoperte e osservazioni nel campo della storia dell’arte scritte nei nostri tempi. Molti dei migliori studiosi hanno contribuito alla loro stesura trovando in essi uno spazio per le loro idee molto prima che potessero essere definitivamente immortalate in un libro con pretese maggiori.
Nel cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’arte, in questo inizio di secolo, che l’ha portata molto più vicino al grande pubblico e l’ha resa oggetto di maggiore attenzione da parte dei politici a causa dell’impatto economico o della richiesta di sovvenzioni, sembra essersi stemperata la tendenza idealistica che ha caratterizzato il XX secolo con la sua ricerca dell’estremo, dello scioccante, dell’inusuale e dell’inaccettabile. Ora ci si aspetta eventi spettacolari capaci di attrarre le masse, che cercano l’approvazione generale anche quando infrangono tabù o presentano e aprono alla discussione i soggetti più controversi.
Le arti visive, compresa la nuova architettura, fanno concorrenza a opera, teatro, cinema e altri eventi in cui convergono cultura, piacere estetico e divertimento e nei quali temi politici, sociali e didattici sollevano la discussione universale. In un certo senso si guardava all’arte in modo analogo nei secoli XVII e XVIII, prima che giungessero i nostri tempi moderni in cui l’arte progressista è diventata impenetrabile e priva di fascino popolare. Forse è arrivato il momento in cui l’arte torna all’interno della società: una società orientata al commercio e all’economia ma con una maggiore apertura verso le diverse correnti artistiche e i diversi gusti in un mondo immensamente più accessibile, con una straordinaria varietà di forme artistiche in grado di sedurre menti e anime differenti. Il nuovo secolo è appena iniziato.
I vecchi regimi ideologici, idealistici e autocrati hanno fallito e uno spirito più tradizionalista e pragmatico sembra essere la scelta alternativa di coloro che non vogliono cadere preda del fanatismo nazionalista o delle dottrine religiose. Non è facile capire a che cosa condurrà tutto questo e i nuovi Paesi dell’Est, che stanno lentamente iniziando a sentirsi partecipi dell’economia e della cultura mondiale, devono ancora dare il via ai loro programmi. Nei prossimi venti anni assisteremo a grandi, appassionanti sviluppi in cui i fenomeni che ho appena tentato di descrivere si svilupperanno o lasceranno il posto ad altri ancora imprevisti.
Konrad Oberhuber
Già direttore dell’Albertina di Vienna