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Sibilla Aleramo e Dino Campana, lettere #7

Dal carteggio di Sibilla Aleramo e Dino Campana

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Firenzuola, panorama di Pietramala

Epistola XVII
Sibilla a Dino

Villa La Topaia, Borgo S. Lorenzo, mercoledì sera, 9 agosto 1916

Riapro la lettera – perché non l’ho spedita non lo so; perché t’avevo promesso un po’ di requie, perché m’hai detto che non ami l’epistolografìa… Ma lasciami cosi, ancora un poco. Stasera e l’ultima di questa solitudine alla Topaia. (Quei benedetti Luchaire, avessi saputo che tardavano tanto a tornare! Sarei forse ancora al Barco… Ma non bisogna voler loro male: senza questa villeggiatura in casa loro, chissà quando ci saremmo trovati, io e te). Non sei venuto qui, ma come ci hai vissuto! Dalla prima sera del mio arrivo, avevo avuto a Firenze poche ore prima la tua prima risposta, e avevo sentito che c’era qualcosa di mutato sotto il cielo. Da quella notte, che non potei prender sonno, pensandoti. Oh, Dino, tutto questo che ti racconto, tutto questo che m’accade, sarebbe troppo sciocco, se non fosse grande. Vedi, la calligrafìa di stasera è diversa da quella d’oggi. C’è un lume a petrolio che mi par d’esser diventata miope. I miei occhi. Ti son piaciuti. Tutta ti son piaciuta? Tremavi. M’hai detto cose tanto care. E ora perché non mi scrivi, Dino? Oh, non è un lamento. .. È questo terrore assurdo… L’avevo anche prima di vederti, quando ti scrissi la seconda e terza lettera, e pensavo ch’eran brutte, che potevan aver offuscata un’immagine di me già creata nella tua mente… Sei mai stato amato, Dino? Nulla, non so nulla di te, se non che hai sofferto e che sei rimasto il più forte. Oggi ti ho gridata la mia febbre, stasera vorrei darti invece soltanto dolcezza, averne tanta da te. Puoi, lo so. Che siam tanto stanchi tuttedue, talvolta. Fraternità, anche m’hai offerta. L’inquietudine che si placa, la febbre che cede, oasi, oasi serene, mie, tue. Mi aspetti? hai fede? Tanti han avuto quella vile e stolida paura di soffrire e di farmi soffrire… Perciò ho voluto che tu sapessi tante cose amare, invece di portarti soltanto gioia e luce. Dopo, se ora mi aspetti, non ne parleremo mai più. Dino. Ti chiamerò tanto col tuo nome, ti chiamerò tanto, amore. C’è qualche tempo dinanzi, strade e cose da fare. Questo tuo silenzio! Mi vuoi provare tu, ora? Resisto, vedi. Domani a Firenze quel fanciullo piangerà tanto, piange già tanto dacché ha saputo – gli ho scritto soltanto che avevo avuto una visione di forza e di grandezza, fuori del tempo, e che ti avevo promesso di tornare – e gli ho chiesto d’esser forte. Piangerò con lui. Non accadrà altro, non ti dirò nulla, come m’hai chiesto. Pensami con la tua bontà più profonda, Dino, e sentimi col tuo amore, senti che continua quel miracolo di quell’ora nel sole lontano, ritroveremo le polle d’acqua…
Oggi ho avuto la tentazione di telegrafarti che venivo al Barco… Ma poi, se tu non ci fossi? E devo anche rifornirmi di danaro, a Firenze. Cosi, mi son forzata al lavoro di traduzione, non so quant’ore, bougianen… (mi hai parlato in piemontese, mentre salivo su l’automobile, chissà perché, io non capivo più nulla…) – Come sono sfinita. Perdonami. Amami, sai? Cuore.

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Epistola XVIII
Sibilla a Dino

Villa La Topaia, Borgo S. Lorenzo, giovedì mattina, 10 agosto 1916

Non importa che tu legga tutto questo, gridi, sospiri, per non sentire il peso al cuore e al cervello. Leggi soltanto, Dino, che vengo, vengo a te con tutta me.
Scrivimi, ti supplico, una parola a Firenze, con espresso ch’io l’abbia di certo sabato: dimmi se domenica e lunedì sarai al Barco, perché nel caso (improbabile) che i Luchaire proroghino ancora, verrei a farti una visitina. Ti scriverò da Firenze.
ore 10 – Niente posta neanche stamane, devo partire senza saper più nulla di tè… Come starai? Ti supplico, mandami una parola per espresso a Firenze. Ma ti sento, so che m’aspetti, vengo.
Tua

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Epistola XX
Dino a Sibilla

Firenzuola, 17 agosto 1916

Tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili. Come amo la povertà delle cose quassù che meglio ci farà sentire la nostra ricchezza!

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Epistola XXIII
Sibilla a Dino

Firenze, 15-17 settembre 1916

Dino, Dino, Dino
Come fare, senza dirti che t’adoro, a mandarti qualche piccola parola che brilli e t’accarezzi più delle stelle? Le stelle intorno alla Casetta. Il sole della Bastia che m’ha fatto brune le mani.
Dino, Dino.
Ricordati, quando chiederai a tua Madre quel tuo ritratto che mi piacerà, di dirle ch’è per una donna felice.
Tengo in petto, tutta per noi soltanto, la nostra gioia, la nostra malinconia, la nostra forza. La vita è per noi, Dino, lo sento senza un attimo mai di sosta o di dubbio.
Che senso di discesa l’altra sera tornando in città! Ma ripartirò fra poco, sai! E mi porterai sul mare
Con tanta fede, se vedessi come tremo, qui, piccola cosa silenziosa, tua…
Dimmi che nel letto grande dormi un sonno buono. (Per giovedì ti manderò notizie e quel che ancor non m’è giunto ma non può tardare. Delle traduzioni che ti lasciai, io ho dovuto fare, con altre, quella doganale: la napoleonica è per l’altro numero. Chissà oggi come ti sarai seccato, mi perdoni?).
Amato. Vedimi. Son la creatura più ricca, più forte, più bella se ti guardo e se mi baci con amore.

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