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Sibilla Aleramo e Dino Campana, lettere #9

Dal carteggio di Sibilla Aleramo e Dino Campana

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Epistola XXXVII
Dino a Sibilla

Marina di Pisa, 13 ottobre 1916

Egregia Sibilla,
Siete ammalata: me ne dispiace! quanto a me ho perso l’abitudine di lamentarmi. La padrona voleva che vi scrivessi non so che cosa. Ho rifiutato. Poi le ho fatto dire: perché mi ricorda sempre la signora? So che vorreste avere la forza di seguire (?) il vostro destino e di… papini (tanto mi odiate?)
Fabbricare, fabbricare, fabbricare
Preferisco il rumore del mare
Che dice fabbricare fare e disfare
fare e disfare è tutto un lavorare
Ecco quello che so fare. Scrivete. Addio.

***

Epistola XXXVIII
Sibilla a Dino

Stazione di Pisa, 14 ottobre, sabato, 1916

Se Dino fosse venuto ad incontrarmi? Ed ora girasse per la città inferocito di non avermi veduta uscire?
Gli scrivo. Per domattina, o per stasera, nella casa nostra. Gli piace ricever lettere. Che cosa gli porto?

Le mie mani nude, i miei occhi. Gli ho detto: mi troverai sempre…

Sibilla

***

Epistola XXXIX
Dino a Sibilla

Prima metà di ottobre, 1916

Rina adorata,
perdonami, perdonami o abbandonami così è troppo cara cara, non so ti scrivo ti aspetto e so che non verrai, questa sera parto anderò a Firenze perché hai voluto staccarmi da te dimmelo, sarò felice ugualmente, mi aiuterai a staccarmi da tutto, a liberarmi, sei buona ti ho amato ti adoro non puoi abbandonarmi cosi – Ecco dunque. Rina Rina Sibilla Aleramo Rina che amo Sibilla mia sì ridi cara, ridi cosi io sarò felice e potrò morire. Rina quanto sei cara. Forse verrai e vorrai ancora vedermi ecco quanto ti posso dire ancora. Se questa sera non sei venuta adorata sola gioia mia quanto ti amo non so più ho bisogno di te, verrò a Pontedera e tu mi dirai poi mia cara.
Rinetta rinetta aspetta il tuo amore che soffre addio.

No non vengo devi guarire ed esser bella. Vado a Firenze e tu mi scriverai fermo posta. Addio dunque.

***

Epistola XLII
Sibilla a Dino

Casciana, 26 ottobre 1916, ore 17

Ero abituata al silenzio: ma questo che s’è fatto dacché sei partito e cosi grande! Stamane, (dopo dodici ore di sonno al veronal) ti ho telegrafato sperando nella risposta — che non è ancor venuta. M’han detto che ieri dovesti prender una carrozza e che forse perdesti il treno delle quattro. Dove e come avrai dormito? E tutte le immaginazioni per seguirti oggi son state vane. Firenzuola? Alla Casetta, ora che sta per tramontare questo sole pallido? Avrà tirato un vento furioso anche su la tua strada? Io mi son levata alle undici, e alle tre son andata al bagno, poi tornata subito qui. M’han fatta sloggiare dalla saletta da pranzo, m’han messo un tavolino qui tra la finestra e il tuo letto. Cosi c’è un mutamento anche per me, e la mia stanza somiglia di più alla tua… Dino, Dino! Dove sei? Voglio esser forte come mi hai chiesto, non voglio piangere, ma ho il cuore cosi gonfio! Quell’ultima ora, ieri, hai sentito come eravamo consacrati. Dino, vinceremo. Amor mio. Coraggio. Non so dire neanche per me altre parole oggi. Son ancora cosi stanca, attonita. E tu, e tu? Quando saprò? Ho tanta paura che tu stia male. La Casetta ora dev’essere una tana. Dimmi, ti supplico. Dino, ma ho tanta fede, com’è che ho tanta fede, come il primo giorno? Che cosa vuole da noi il nostro amore? M’hai detto che mi tieni, vero? Felicità. Ti bacio. Scrivimi. Se lavorerò, te lo dirò. È arrivato il meta, lo spedirò domani con la biancheria. Fatti dare delle uova, quattro al giorno, e manda a prender la medicina a Firenzuola. È vero che vuoi che ci ritroviamo belli?

tua Rinetta
(è la prima volta che mi firmo cosi)