Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Avventure ossessive di un ascoltatore. Trenta canzoni perfette, da Eno a Monteverdi, raccontate a cavallo tra musica e altre discipline da Gianluigi Ricuperati
I neutral milk hotel sono uno dei gruppi più misteriosi e lancinanti della storia della musica rock indipendente. Titolari – ma sarebbe meglio dire titolare, perché a tutti gli effetti una ‘one man band’ – di ‘in an aeroplane over the sea’ (1998) un disco meraviglioso, dalle sonorità compresse e sature come una tela dipinta e dipinta e dipinta ancora, con melodie sbilenche e strazianti e testi ossessivi quasi sempre ispirato a un’ossessiva immersione nella lettura del ‘Diario di Anna Frank’.
È un disco che si fa amare in modo ossessivo, per l’appunto, e in modo ossessivo lo ascoltavo mentre passavo settimane sbilenche e difficili in Vietnam, nel 2006, cercando di scrivere un libro che poi ho scritto (Viet Now**). La canzone che più di tutte mi ossessionava, in questa festa a due in clima tropicale, era ‘Ghost’.
Durante i giorni vietnamiti non ho mai smesso di ascoltare una canzone commovente, Ghost dei Neutral Milk Hotel – in cui la voce sforzata del cantante Jeff Mangumevoca una sorta di versione personale della figura storica di Anna Frank. L’io narrante della canzone, come in altri episodi provenienti dallo stesso disco, adombra una sorta di relazione fittizia con Anna Frank. E quando vede prendere fuoco il quattordicesimo piano di un palazzo a Manhattan immagina che il corpo mortale della ragazza olandese uccisa dai nazisti in qualche modo ‘viva per sempre’.
Passeggio ai bordi delle strade puntellate da insegne Nokia, a un passo dal traffico insostenibile di milioni di motorini con sopra visi femminili coperti con fazzoletti istoriati da banditi del West, e mi chiedo chi sia questa Anna Frank: se appartenga al genere di personaggi storici trasmigrati nella fiction cui ci ha abituati certa narrativa postmoderna, oppure se sia un’omonima, o un terzo soggetto che oscilla tra il disegno fantastico di un autore e la ricezione storica di un pubblico che non può non associare, non può non collegare i punti, non può evitare di cucire l’abito al vascello fantasma.
Qualche giorno prima di partire era comparsa sulle pagine di un quotidiano italiano la notizia che era stato ritrovato il diario di una ragazza vietnamita morta durante i bombardamenti. Il titolo dell’articolo era: ecco le parole dell’Anna Frank vietnamita. Poi, laggiù, nel deserto umido che corrisponde alla memoria collettiva vietnamita, la canzone dei Neutral Milk Hotel, ascoltata con passione e ripetizione. Ora mi rendo conto di aver vagato in quel paesaggio di merci ben esposte e memorie ben nascoste, con in testa le mie due Anna Frank – la seconda, poco più che un espediente del titolista del giornale, che però istituisce paragoni assordanti e cancella differenze importanti.
La prima, poco meno che un fantasma immaginato da una voce americana, unica deroga alla nostra unica regola, che a suo modo illumina le analogie tra le diverse latitudini del dolore storico – il sibilo perdurante del sacrificio ingiusto. Più di una volta ho avuto la sensazione certa che le due Anna Frank mi tenevano per mano, ed erano precisamente le custodi di quel deserto umido – un posto in cui la memoria diventa acqua, poi aria, poi niente.