Capsule Digitale

Song to Song 15: Hello in There*

Avventure ossessive di un ascoltatore. Trenta canzoni perfette, da Eno a Monteverdi, raccontate a cavallo tra musica e altre discipline da Gianluigi Ricuperati

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John Prine

Hello in There, John Prine, 1971

Per uno strano fulmine del caso e dell’ispirazione nel decennio più giovane del Novecento, gli anni 60, alcuni tra i migliori scrittori di canzoni dell’epoca, tutti ampiamente sotto e 30 hanno scritto capolavori dedicati a cosa significa essere anziano. I Beatles con Eleanor Rigby, gli Zombies con ‘A rose for Emily’ (ispirata a un omonimo magnifico racconto lungo di Faulkner), e, nel 1971, il grande John Prine, una delle vittime eccellenti della prima ondata di Covid (scomparso nel 2020), con una delle più strazianti folk song di tutti i tempi, ‘Hello in There’.

Dopo un’introduzione acustica di mezzo minuto, inizia a raccontare la vita di una coppia di anziani, due amanti che ora si trovano a vagare nei loro anni d’oro. “Avevamo un appartamento in città / A me e Loretta piaceva vivere lì / Beh, erano passati anni da quando i bambini erano cresciuti”, canta. “Una vita propria ci ha lasciati soli / John e Linda vivono a Omaha / E Joe è da qualche parte sulla strada / Abbiamo perso Davy nella guerra di Corea / E non so ancora per cosa, non importa più”.

Eleanor, Emily, Loretta. Tre nomi di solitudine di una vecchiaia forse ormai superata dalla rampante terza età di oggi, per fortuna assai più dignitosa grazie ai progressi della scienza medica e all’allungamento della vita media, almeno in Occidente.

Ecco cosa dice Prine della scelta Loretta in ‘Hello In There’. Volevo scegliere un nome che potesse essere il nome di una persona anziana, ma non volevo che si notasse così tanto”, ha detto. “Le persone attraversano delle fasi in cui molti chiamano i propri figli con lo stesso nome… e io stavo pensando che era molto probabile che il tipo di persona che avevo in mente potesse chiamarsi Loretta. E non è così strano da collocarla in un periodo temporale completo”.

Ma il centro musicale della canzone, il buco bianco di questo brano che ascolterei – e ascolto – anche 90 volte di seguito è l’accordo di settima maggiore (Cma7) quando dice che i figli sono cresciuti, o che non c’è più molto da dire, o che le notizie si ripetono come un sogno già visto da entrambi: È qui che nasce e si glorifica la malinconia composta, trattenuta, fatta di serena disperazione, in questa ode perfetta.

Testo

We had an apartment in the city
Me and Loretta liked living thereWell, it’d been years since the kids had grownA life of their own, left us alone
John and Linda live in OmahaAnd Joe is somewhere on the roadWe lost Davy in the Korean warAnd I still don’t know what for, don’t matter anymore
You know that old trees just grow strongerAnd old rivers grow wilder every dayOld people just grow lonesomeWaiting for someone to say, “Hello in there, hello”
Me and Loretta, we don’t talk much moreShe sits and stares through the back door screenAnd all the news just repeats itselfLike some forgotten dream that we’ve both seen
Someday I’ll go and call up RudyWe worked together at the factoryWhat could I say if he asks “What’s new?”“Nothing, what’s with you? Nothing much to do”
You know that old trees just grow strongerAnd old rivers grow wilder every dayOld people just grow lonesomeWaiting for someone to say, “Hello in there, hello”
So if you’re walking down the street sometimeAnd spot some hollow ancient eyesPlease don’t just pass ’em by and stareAs if you didn’t care, say, “Hello in there, hello”
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