Capsule Digitale

Song to song 23: How music works/Warning Sign*

Quasi nessuno incarna con precisione millimetrica la stoffa dell’essere crossdisciplinare come David Byrne

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La copertina dell’album More Songs About Buildings and Food dei Talking Heads, 1978

How music works/Warning Sign, David Byrne

Etnologo urbano. Cantante all’occorrenza. Produttore. Editore. Artista e sodale di grandi artisti contemporanei, da Eno alla ex compagna Cindy Sherman. Ma anche diarista in pubblico, sul suo blog. È promotore culturale. Oltre che compositore, attore, regista, ciclista. L’identità di David Byrne è prismatica, e tutti gli intellettuali di professione dovrebbero passare qualche tempo a casa Byrne, e studiare con grazia il caso Byrne. La voce dei Talking Heads è un formidabile esempio di come la curiosità – e un solido ancoraggio in una disciplina: nel suo caso la musica – possa essere il propellente migliore per qualsiasi serio viaggio avventuroso tra le anse dei saperi più disparati. Basti dire che il tour di presentazione americana del suo classico libro – How Music Works (Mc Sweeney’s)- nel 2012 constava di una decina di dialoghi con nomi del calibro di Trent Reznor, Win butler degli Arcade Fire, il neuro scienziato Steven Pinker, e altri, curati come se fossero capitoli di una collana (Byrne aveva capito già allora che la dimensione performativa è una delle fogge cruciali con cui si fa cultura nel nostro presente futuro).

How music works presenta l’autore di Warning Sign – la canzone con il suono di batteria più intenso sottile brutale mai incisa – è nelle vesti di saggista musicale, per l’appunto. How Music Works dispiega ordinatamente l’intera tassonomia della produzione di suoni organizzati, con una prospettiva personale ma senza abbandonarsi al prevedibile memoir che forse gli appassionati vorrebbero leggere. È lo sforzo di un intellettuale entusiasta e insieme freddo, che affronta l’idea e la pratica musicale osservate dai diversi angoli d’esperienza: comporla, ascoltarla, registrarla, esibirsi, pagarla ed esserne ripagati, comprenderla filosoficamente, leggerne e scriverne. E infine chiedersi come la musica funziona. Come abita il cervello, e come stimola e insieme delude le eterne domande senza risposta. È un libro educato ed educativo, e non a caso si sofferma molto su due temi importanti come il ruolo della musica della scuola e nella scuola – oltre che l’ovvia questione tecnologica, una delle ossessioni professionali di chi vive suonando. Byrne scrive senza paura di società e cultura, computer e ‘innovazione’. Ecco perché chiudo il suo libro convinto di un piccolo principio, stimolato dall’incessante peso metaforico che l’ascolto musicale fornisce, sotto forma di analogie, per capire i processi di produzione di conoscenza. La sola cosa che conta, politicamente, è investire sul software umano, anche in tempo di ChatGPT.