Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Un dialogo su come riconnettere l’Arte e l’Architettura alla Letteratura con la scrittrice zimbabwese di origine britannica, premio Nobel per la letteratura 2007 con la seguente motivazione: «cantrice dell’esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa»
[Hans Ulrich Obrist] Mi può raccontare di cosa si sta occupando in questo momento?
[Doris Lessing] Ho appena terminato un nuovo romanzo. L’idea è nata dalla lettura di un articolo apparso su una rivista scientifica, secondo cui per molti scienziati il ceppo umano fondamentale è femminile, e i maschi sono arrivati solo in un secondo tempo. La premessa è che, facendo nascere sempre e soltanto delle femmine, le donne abbiano vissuto credendo di essere state fecondate da un grande pesce o dalla luna; ma poi hanno messo al mondo il primo maschio, e questo evento ha causato uno choc enorme. I genitali di un bambino appena nato sono assolutamente sproporzionati, come saprà. Le donne erano sconvolte, così hanno cominciato a perseguitare i figli maschi come fossero mostri. Ecco da cosa è scattata la molla narrativa. L’aspetto più interessante è che in una situazione così emergono tutti i luoghi comuni del caso. Le donne sono più anziane e più stabili e reazionarie – lo so, non è la parola giusta – non sopportano l’innovazione, mentre i ragazzi sono sempre a favore qualsiasi novità.
[HUO] Ecco che nasce il conflitto.
[DL] Ovviamente, e di continuo. La storia viene raccontata attraverso molte fonti di letteratura antica. Il narratore è un senatore romano, perché volevo che sul libro gravasse una sorta di peso del tempo; invece di emergere dal nostro punto di vista di contemporanei, a raccontare questa storia ci pensa un romano, così si produce un salto storico e percettivo. Poi in realtà mi sono piuttosto affezionata a questo senatore romano e alla sua vita e ora penso che potrei vivere senza problemi nell’antica Roma.
[HUO] Così, scrivendo il libro è quasi come se avesse iniziato ad abitare in quel luogo.
[DL] Esattamente. C’è tutto. Ora devo rivedere la prima stesura.
[HUO] E ha già un titolo?
[DL] Sì. The Cleft. (La fessura. ndt) Si rifà a una frase pronunciata da Elisabetta Prima, rivolta ad alcuni suoi cortigiani che erano stati impertinenti: ‘Se fossi nata con una corona invece che con una fessura non usereste lo stesso tono nei miei confronti’. Se fossi un uomo e avessi genitali maschili, invece di essere donna, non vi rivolgereste a me in questo modo. Ecco da dove viene The Cleft. Le donne hanno una fessura e chiamano mostri i primi maschi. Comunque, devo dire, nelle ultime pagine del romanzo tutti finiscono con il piacersi!
[HUO] Come ha trovato il titolo? Ho fatto una discussione molto interessante sui titoli qualche mese fa con Studs Terkel. Anche lui ha realizzato una bellissima intervista con lei. È un maestro delle interviste. Abbiamo parlato molto di titoli e mi ha suggerito di chiederle dei titoli, perché pensa che i suoi – e io ritengo a ragione – siano davvero particolari. Così mi domandavo come li trova e quale sia il ruolo del titolo nella sua poetica.
[DL] Questo titolo è venuto da solo. Se c’è una situazione dove le donne producono dei bambini che considerano mostri, come definirla sinteticamente? Vivono accanto a una montagna che assomiglia a un crepaccio, sono come lacerate dalla situazione che stanno vivendo, e all’inizio gli uomini sono mostri. Così è arrivato The Cleft. Non so cosa dirà la gente. Mi ha affascinato l’intera faccenda perché per molto tempo ho pensato che gli uomini fossero una tarda invenzione della natura in quanto voi uomini possedete tutte le caratteristiche di uno sviluppo recente – tendete a essere erratici e non stabili. Le donne sono stabili, invece, inserite nel flusso della vita: è come se riuscissimo a comprendere la vita a un livello più profondo. L’ho pensato anch’io per molto tempo, ecco perché questa teoria mi ha intrigato. Chissà se è vera o no? Non lo sappiamo.
[HUO] Molti dei lettori delle interviste che sto realizzando sono architetti o artisti, e nella sua opera lei ha trattato in modo approfondito il tema delle città. Penso a The Four-Gated City, (La città dalle Quattro porte) che è forse il suo libro che ha avuto più influenza sull’urbanistica, e ovviamente al suo Racconti Londinesi, e poi anche un meraviglioso racconto, ossia ‘Report on the Threatened City’ (Rapporto sulla città minacciata). Dato che oggi nelle città si raccoglie una percentuale sempre maggiore della popolazione umana, e sempre più persone vivono nelle città, mi chiedevo se mi potesse parlare del suo approccio alla città, forse partendo da The Four-Gated City, che direi oscilla tra l’apocalisse e l’apoteosi.
[DL] Sì, so che è così. Mi ero sbagliata, perché avevo pronosticato che negli anni Ottanta sarebbero successe una serie di cose che non si sono mai verificate. Deve sapere che io sono stata allevata nel bush, in Africa, in una casa fatta con pareti di fango e tetto di paglia, con tutti i tipi di animali e insetti, sia dentro che fuori, con l’acqua che arrivava da una fonte a oltre un chilometro di distanza, senza elettricità, con lampade e candele; il bagno era un buco nel terreno sulla collina. Non ho trascorso la mia infanzia in una città. Sono molto brava a vivere senza comodità. Dicono che arriverà la siccità… io ci sono cresciuta, facendo attenzione a ogni singolo bicchiere di acqua; dovremo vivere in questo modo, penso, preoccupandoci davvero del problema delle risorse idriche. In qualche angolo della mia psiche, nella mia storia, c’è questa vecchia casa sulla collina dove entravano i serpenti. Mi ricordo che stavo a letto e guardavo le vespe che andavano e venivano dal loro nido sulla parete. Fa una differenza autentica. Non potrebbe essere più diverso, qui. È stata costruita nel 1890.
[HUO] La sua casa?
[DL] La casa in cui vivo ora, sì. L’intera area fu edificata nel 1890; fu uno dei primi quartieri dormitorio.
[HUO] E da quanto tempo vive lì?
[DL] Adesso sono venticinque anni. Quindi ora dipendo completamente dalla vita urbana, ma potrei tornare a quell’altra senza troppe ansie. Perciò ho un modo di vedere le città che definirei a doppio strato. Penso che Londra sia meravigliosa; mi piace davvero molto. C’è tutto quello che si vuole per divertirsi.
[HUO] Ed è quello che il suo libro Racconti londinesi mostra in modo così riuscito: il suo amore per Londra. È la sua città preferita?
[DL] Beh, non ho mai abitato a lungo in nessun’altra città. Sono stata a Parigi qualche mese, d’accordo, cose così. È molto bella.
[HUO] Una delle cose che mi incuriosiscono molto è che le città sono talmente caotiche e complesse da rendere praticamente impossibile la determinazione di una loro immagine sintetica. Il suo libro, in modo splendido, procede per dettagli e frammenti, e mi chiedevo come sarebbe stata invece secondo lei una immagine riassuntiva. Concorda sul fatto che sia impossibile definire una immagine sintetica di una città?
[DL] Un ritratto di una città. Credo sia molto difficile. A Londra scherziamo dicendo che è una accozzaglia di villaggi, villaggi cresciuti insieme, ed è vero. Le varie parti di Londra sono molto differenti tra di loro; non hanno nulla in comune. Scendo a Chelsea per esempio; ha una storia diversa, c’è un’atmosfera particolare, tutto è differente. Si sale ad Hampstead e tutto è completamente diverso. Non penso si possa dare un ritratto composito e insieme unitario, sintetico, di una città. Ma c’è un tizio, si chiama Ackroyd, che è innamorato di Londra e continua a scrivere libri su Londra. È affascinato dalla sua storia e da tutto quello che la riguarda.
[HUO] Credo che per me, che vengo dal campo dell’arte e dell’architettura, sia molto importante riconnettersi alla letteratura, perché penso sia andato perso qualcosa. L’arte e l’architettura sono legate alla musica, sono legate alla moda, sono legate a qualunque cosa, ma l’anello di congiunzione con la letteratura è in qualche modo meno solido. Penso che per tutta l’avanguardia storica il legame con la letteratura fosse essenziale; quindi, ritengo che dobbiamo tornare a insistere su questo aspetto.
[DL] Sono d’accordo. L’ho sempre pensato e l’ho sempre detto, ma in questo paese molti non leggono affatto. Sembra esserci una minoranza appassionata di lettori, ma tantissime persone non leggono mai nulla. Sta accadendo una cosa negativa. Un tempo sembrava ovvio, normale, che i genitori raccontassero o leggessero ai propri figli delle storie prima di andare a letto. Adesso lo fa solo una minoranza. Lei sa che viviamo in una cultura frammentata, parcellizzata, credo.