Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Il Manifesto Blanco, da Guidi a Tancredi, il gruppo veneziano del movimento fondato da Lucio Fontana, Dal “Giornale dell’Arte” n. 148, settembre 1996
Lo Spazialismo fu uno dei momenti più rappresentativi della Venezia artistica del dopoguerra, in simmetria con quanto stava avvenendo a Milano, ma con suoi caratteri peculiari. Per alcuni artisti già affermati come Guidi, rappresentò uno degli approdi più importanti; per i giovani come Tancredi un esordio foriero di importanti sviluppi; eppure, quel periodo venne quasi subito dimenticato dopo la primitiva esplosione, forse perché poco inquadrabile nelle dispute ideologiche del tempo.
La mostra «Spazialismo. Arte astratta, Venezia, 1950-1960», a cura di Enrico Crispolti e Luca Massimo Barbero, allestita nella Basilica Palladiana dal 12 ottobre al 19 gennaio, cade a cinquant’anni esatti dalla pubblicazione del Manifesto bianco di Lucio Fontana, l’atto di nascita del movimento. La rassegna propone, al di là del suo significato di doverosa riscoperta, due motivi d’interesse. Il primo è il luogo, certo molto connotato dal punto di vista artistico e la città. «Con questa iniziativa, afferma il nuovo assessore alla Cultura Francesca Lazzari, Vicenza ritrova il suo legame con la contemporaneità. Era vivo negli anni ’50 quando le gallerie private, come la Calibano, erano pronte a recepire le istanze innovatrici presenti nel territorio. Era vivo al tempo di Neri Pozza e della sua casa editrice. Ma negli ultimi tempi questo legame si era attenuato.
Questo primo esordio è un’occasione anche e soprattutto per un pubblico giovanile, per soddisfare alcune curiosità e cogliere spunti da una sperimentazione di altissimo livello». Il secondo motivo d’interesse riguarda l’allestimento: la parte centrale della mostra è costituita da un monoblocco di due ambienti bianchi che si aprono all’interno su sale di forma esagonale, ciascuna parete allestita con le opere di un solo artista, che però si trova a confrontarsi con chi gli sta di fronte o a fianco: è una serie di rimandi ad evidenziare il complesso intreccio degli sviluppi artistici. All’esterno di questo monoblocco, con intenti anche didattici, sono esposte tutte le informazioni relative agli artisti con fotografie, autoritratti, ma anche disegni e piccole opere che costituiscono la premessa alla realizzazione delle maggiori.
Preziosa, dal punto di vista documentario, l’esposizione dei dieci manifesti inediti eseguiti manualmente da Lucio Fontana in occasione della sua mostra a Venezia. Infine, ai due lati del perimetro esterno sono allestite le fotografie, di cui alcune inedite, dei due promotori culturali, senza i quali lo Spazialismo non avrebbe avuto la risonanza adeguata alla sua importanza artistica: Peggy Guggenheim, protettrice di Bacci e Tancredi, e Carlo Cardazzo che con le due gallerie, «Il Naviglio» e «Il Cavallino», creò l’asse Milano-Venezia, così da inserire il movimento anche all’interno della Biennale. A Venezia comunque lo Spazialismo, fatta salva la motivazione sperimentale insita nei suoi programmi, ebbe caratteri più omogenei rispetto a quello milanese. Né può essere un caso, visto che si innestava sulle ricerche dello spazio e della luce, perseguite da Virgilio Guidi e da Mario Deluigi.
Ai due artisti sono dedicate due pareti ciascuno. Di Guidi viene esposto il ciclo «Cielo antico» e i «Giudizi», un’interpretazione quasi mistica dell’elemento aereo, segnato da forti pennellate di colore. Di Deluigi viene documentato l’esordio della sua tecnica del «grattage», quel suo asportare con bisturi il colore per pervenire ad esiti di un’astratta luminosità. Esemplare a questo proposito il ciclo «Galassie di volume e luce» già alla Biennale del 1954.
A firmare il Manifesto insieme ai due maestri furono anche i più giovani Edmondo Bacci, Gino Morandis, Vinicio Vianello, e più tardi, Tancredi e lo scultore De Toffoli, di cui viene esposta una «Scultura-Spaziale» in gesso. Ognuno con la sua personale interpretazione: Bacci con le «Albe» e gli «Avvenimenti» più sensibile alla tematica sociale; Morandis con le «Immagini spaziali», dai toni bruni, più memore della lezione tiepolesca; Tancredi, con le sue astrazioni, più vicino alla temperie naturalistica; Vinicio Vianello, che finalmente viene rivalutato dopo un periodo di oscuramento, il più disponibile a servirsi di materiali ultra moderni come i colori fosforescenti industriali, il più pronto a captare attraverso i suoi «Rockets», missili, le novità dell’era spaziale. Alla tematica spazialista parteciparono anche, pur non aderendo esplicitamente al movimento, Luciano Gaspari con i suoi grumi spaziali; Bruna Gasparini con i suoi colori terragni; Riccardo Licata con la sua sensibilità musicale e i più giovani Saverio Rampin ed Ennio Finzi, che si ritrovarono attorno alle iniziative della Fondazione Bevilacqua La Masa. Pronti a sperimentare altri materiali rispetto alla pittura e poiché lo Spazialismo è un discorso di luce, i suoi esponenti non potevano fare a meno di confrontarsi con le trasparenze del vetro.