Capsule Digitale

Song to Song 16: Marquee Moon*

Avventure ossessive di un ascoltatore. Trenta canzoni perfette, da Eno a Monteverdi, raccontate a cavallo tra musica e altre discipline da Gianluigi Ricuperati

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Tom Verlain con i Television, Photo by Godlis, 1977

Marquee Moon, Television 1977

Due settimane fa ci ha lasciato Tom Verlaine, il compositore cantante e chitarrista dei Television, un uomo che ha cambiato la vita e aperto porte a tanti di noi, lungo l’asse di almeno due o tre generazioni diverse, sporgendoci una vista con camera sonora sul cosmo della poesia, dell’arte d’avanguardia, della bellezza metropolitana, della bellezza lancinante che può assumere una chitarra elettrica, e tanto altro ancora. Invito chi legge a far suonare Marquee Moon, dei Television, cavalcata senza fine (ma di undici minuti) registrata nel 1976 e pubblicata nel febbraio del 1977, come quarto pezzo di uno dei dischi più perfetti di sempre,

Marquee Moon ha un riff, potremmo chiamarlo tema, composto dal dialogo moltiplicatorio di due chitarre, che insieme vanno a costituire una sorta di parentesi graffa rovesciata, simmetrica, doppia e singolare insieme: la musica è sempre geografica, e d’altro canto se così non fosse non si spiegherebbe perché è fatta di scale. I due filamenti chitarristici, suonati da Tom Verlaine e Richard Lloys nella prima parte (poi si scambieranno i ruoli), potrebbero essere immaginati come due porte. Avete presente quelle stanze nelle case degli anni 30 in stile art deco o liberty alle quali si accede da due porte singole, in un apparente spreco di possibilità? La struttura fondamentale di Marquee Moon è simile a una stanza cui si accede da due ingressi vicini e separate.

Ma cosa succede una volta entrati? Ci si accorge che il soffitto è piuttosto alto, e a dire il vero esiste un controsoffitto che copre l’intera planimetria della camera. Questo accade perché nella nostra Marquee Moon a un certo punto il magico tema simmetrico lascia spazio a una normale alternanza di strofe e ritornello, e per ben due volte – nella lunga cometa che è – prima Richard Lloyd e poi Tom Verlaine costruiscono due assoli di stampo jazzistico (il brano è stato diverse volte apparentato alle composizioni del Coltrane del medio periodo, diciamo intorno a My favorite things, Olè, prima della svolta free del 1965, all’incirca), imperniate su un modo misolidio, una scala usata anche in Norwegian Wood dei Beatles o Clocks dei Coldplay, e in molti brani pop. Gli affondi chitarristici hanno lunghezza diversa – quello ‘legato’ di Lloyd si annoda appunto al ritornello, mentre quello di Verlaine è più ampio e divagante di Verlaine e conduce a una ripresa del tema iniziale che porta al finale  – ma sono entrambi meravigliosi: piuttosto semplici, ma intollerabilmente efficaci, languidi e pungenti a un tempo solo, come gli spazi interni di una cameretta che continuiamo a sognare di notte per tutta la vita, perché vi siamo cresciuti da ragazzini.

Ogni tanto salivamo su e guardavamo il controsoffitto Lloyd, rapido e ascendente, oppure tornavamo sotto e abitavamo l’ambiente-Verlaine, più erratico e ampio. Provate a sospendere l’ascolto, tenerlo aperto su una finestra del telefono o del computer, e aprire uno dei grandi affreschi di John Coltrane (Verlaine aveva iniziato con il sax, da ragazzino, e si può dire che il suo daimon sia sempre stato quello di condurre tra i timbri rock le ornate digressioni del quasi free jazz del grande sassofonista afroamericano), per esempio Olè, del 1961, o anche il classico My favourite things, pure registrato nel 1961, con magnifici musicisti come McCoy Tiner, Elvin Jones, Eric Dolphy (su Olè), etc. Ascoltate uno dei solo di Coltrane, uno qualsiasi, avventure modali che descrivono senza descriverle ma invocandole tutte le scale su cui noi umani ci arrampichiamo in ogni secondo di gioia e sofferenza, intrecciate insieme, nel corso del nostro tempo da vivi, o da appena svegli, o da troppo vivi, o da quasi svenuti. Poi tornate a Verlaine. Non è intento di queste righe paragonarli, ma rendere onore all’anima della musica che trova le dita più lontane e distinte per incarnarsi e riproporsi, e variare, ed estenuarsi, e sfavillare, come le onde evocate da Alighiero Boetti che salgono e scendono, sulle vette e giù per gli abissi di cosa significa essere nati.

 

Television, Marque Moon, copertina dell’album pubblicato nel 1977 per l’etichetta Elektra

Marquee Moon – Limited edition 1.25″ metal lapel pin. Black and white enamel.