Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Ci sono canzoni che conservano la memoria di altre canzoni, ancora da scrivere, e oggetti neutri che conservano la possibilità di momenti disperati. La musica dei Wilco, di Jeff Tweedy, ha a che fare con questo bilico, con questo bivio, tra citazione e disperazione
Le canzoni dei Wilco sembrano nascere quasi tutte dall’angolo accecante in cui ci si trova quando qualcuno se ne va di casa, cambia strada, volta le spalle: sono compagne e sorelle della vita che esplode ai bivi, quando la strada si biforca e l’aria diventa dubbio.
In una delle gemme strazianti dei Wilco, She’s a Jar, canta: “Quando dimentico come si parla inizio a cantare”, un affondo formidabile sull’idea che l’espressione sia qualcosa di trasformativo e insieme sacrificale, un adattamento – appunto – e una condizione penosa – un po’ come il Lennon di Mother: “Non sapevo camminare / così ho iniziato a correre”.
Tweedy all’epoca di She’s a Jar era scontroso, dolce, ciclotimico, ambizioso, a tratti cattivello, di sicuro segnato da una volontà oscura di aderire a una vocazione da predatore alfa, eliminando i vari concorrenti e nel contempo soffrendo a singhiozzo per questa inevitabilità: prima Jay Farrar, poi Jay Bennet – e basta guardare il documentario I am trying to breake your heart, che testimonia la vicenda compositiva e produttiva di Yankee Foxtrot Hotel, per rendersene conto: quando i due litigano in sala di registrazione. Meglio: litigare è la parola sbagliata, non si capiscono è l’espressione esatta. Jeff rimane impassibile, Jay Bennet parla, si spiega, lui lo guarda gli dice solo ‘hai ragione’, poi si alza, JayBennet lo segue, continuano a discutere, continua a discutere, poi Tweedy viene ripreso nel cesso che vomita dall’affanno, poi torna indietro al bancone del mixer, si abbracciano, lui beve una coca cola, e pochi giorni dopo l’amico che scriveva troppo è fuori dalla band.
She’s a Jar è una ode alla pressione che si respira nell’anticipo degli addii, poco prima che la natura della necessità ci obblighi a scegliere, o scelga per noi. Ballata sbilenca, atroce, venata della possibilità di una violenza, prodotta meravigliosamente, è anche la più ampia dimostrazione che Jeff Tweedy e il compianto Jay Bennett avrebbero potuto fare ancora tante cose aspre e incantate, se solo non si fossero divisi con tanta brutalità. Meno male che si sono incontrati: le canzoni migliori dei Wilco sono immortali anche grazie al dialogo impossibile tra queste due anime insorte.
She’s a jar
With a heavy lid
My pop quiz kid
A sleepy kisser
A pretty war
With feelings hid
She begs me not to miss her
She says forever
To light a fuse
We could use
A hand full of wheel
And a day off
And a bruised road
However you might feel
Tonight is real
When I forget how to talk, I sing
Wont you please
Bring that flash to shine
And turn my eyes red
Unless they close
When you click
And my face gets sick
Stuck
Like a question unposed
Just climb aboard
The tracks of a trains arm
In my fragile family tree
And watch me floating inches above
The people under me
Please beware the quiet front yard
I warned you
Before there were water skies
I warned you not to drive
Dry your eyes, you poor devil
Are there really ones like these?
The ones I dream
Float like leaves
And freeze to spread skeleton wings
I passed through before I knew you
I believe it’s just because
Daddy’s payday is not enough
Oh, I believe it’s all because
Daddy’s payday is not enough
Just climb aboard
The tracks of a trains arm
In my fragile family tree
And watch me floating inches above
The people under me
She’s a jar
With a heavy lid
My pop quiz kid
A sleepy kisser
A pretty war
With feelings hid
You know she begs me not to hit her
***
lei è un barattolo dal coperchio duro
è il quiz che guardavo alla TV, quando ero piccolo;
è un bacio sonnolento,
una piacevole guerra
con i sentimenti nascosti,
mi supplica di non sentire la sua mancanza
lei dice “per sempre” e lo fa per accendere una miccia;
possiamo prenderci
un volante, un giorno libero
e andare per una strada stanca;
ad ogni modo, devi sentire
che questa notte esiste davvero
quando mi dimentico come si parla, canto;
quando scatti la foto, non vorresti far partire il flash
e, se non si chiudono, far diventare i miei occhi rossi,
senza che la mia faccia diventi brutta
ed io sembri bloccato, come una domanda che non è mai stata posta?
sali a bordo delle rotaie dei treni che vanno
nel mio fragile albero genealogico
e guardami galleggiare metri e metri sopra
le persone che mi stanno sotto
ti prego, abbi cura del cortile di casa,
ti avevo detto che ci sarebbe stato un cielo pieno d’acqua,
ti avevo detto di non guidare;
asciuga i tuoi occhi, piccoletto..
esistono veramente cose come queste?
quelle che ho sognato
svolazzano come foglie
e congelano per spiegare le ali degli scheletri;
ci sono passato attraverso, prima di averti conosciuta.
credo che sia soltanto perché
lo stipendio di papà non basta;
credo che dipenda tutto dal fatto
che lo stipendio di papà non basta
sali a bordo
delle rotaie dei treni che vanno
nel mio fragile albero genealogico
e guardami galleggiare metri e metri sopra
le persone che si trovano sotto di me
lei è un barattolo dal coperchio duro
è il quiz che guardavo alla TV, quando ero piccolo;
è un bacio sonnolento,
una piacevole guerra
con i sentimenti nascosti;
lo sai, lei mi prega di non colpirla…