Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
Perché non esistono più i ‘parolieri’ nella canzone pop? Forse la riduzione delle economie dell’industria musicale ha reso impensabile un ruolo dedicato a questo tipo di versificazione così rilevante per la cultura e per la vita di molti (tutti?)
Forse molti autori non ritengono di doversi appoggiare a talenti verbali (il livello delle liriche di Sanremo, tolti Colapesce DiMartino e pochi altri, è imbarazzante oltre ogni limite accettabile). Molti pensano che l’età dell’oro della poesia cantata (cantabile) sia da associare agli anni sessanta-settanta, a Dylan, Cohen e i cantautori. Ma ci sono ragioni di pensare che i testi più memorabili della musica popolare siano stati scritti da specialisti geniali dilettanti meravigliosi come Hal David, Mogol, e i grandi parolieri di Tin Pan Alley, e della tradizione anglo americana in generale.
Un esempio su tutti, tra i tanti capolavori che si potrebbero citare? These Foolish Things, scritta nel 1936 dai britannici Jack Strackey* (musica) e Eric Maschwitz** (testo)
These foolish things è una delle canzoni più incise cantate e interpretate del songbook universale, soprattutto come standard jazz, ma non solo. È un’altra composizione pop perfetta, per il suo incedere melodico insieme triste e allegro, minore e maggiore, ma credo di poter scrivere che a farne un classico assoluto sia anche la qualità eccellente dei versi.
La mia versione prediletta è quella di Bryan Ferry, specialmente dal vivo nel suo disco live del 1974, Live at Royal Albert Hall.
A parte la voce di Ferry, argentina, lirica e buffa, intollerabilmente sensuale e docilmente scassata, a parte l’arrangiamento frizzante e quasi foxtrot, ma ancora piacevole ai nostri orecchi troppo ritmici di oggi, basta scorrere le parole per incantarsi in modo definitivo. Basta ascoltarla una volta per non togliersela più di mente. Basta immergersi più volte, come in un deliquio privato, per legarla nella memoria a ogni amore passato o presente, in particolare gli amori classici che mettono ‘le ali al cuore’, come dovrebbe in fondo essere.
First daffodils and long excited cables
And candle lights on little corner tables
And still my heart has wings
These foolish things remind me of you
The park at evening when the bell has sounded
The “Ile de France” with all the gulls around it
The beauty that is Spring’s
These foolish things remind me of you
La canzone è come tutte le grandi perfezioni un elenco dissimulato, neanche tanto: lista di ogni singolo ‘sciocchezza’ che fascia il cuore sepolto nelle tristi obbligazioni del vivere e fa saltare all’indietro, in avanti, a lato, come su un’altalena squisita, in un luogo morale e mentale dove abitano le tracce depositate dal passaggio di Amore. Un biglietto aereo, un parco quando cala la sera, la grazia primaverile, inviti a feste dove ci siamo presentati in due, e il ‘più uno’ valeva molto più di uno; il modo in cui gli spettri di chi amiamo o abbiamo amato ci inseguono, il profumo sull’onda delle braccia appena baciate, la voce di Bing Crosby e il viso di Greta Garbo, e su tutti il verso che ci farà spezzare il cuore: ‘due amanti che camminano come sognatori’. La stoffa delle cose che non dimenticheremo più è tutta in quest’inversione: amare veramente significa sognare da svegli, e soffrire con voglia infinita.