Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
La musica contemporanea può anche non buttare giù: ascoltare i capolavori della ricerca musicale degli anni 60/70 oggi, tra applicazioni intelligenza artificiale arrivi e partenze in un taxi europeo in una giornata pop qualsiasi, può risultare nella più strana e curiosa delle esperienze.
Come visitare uno zoo, grosso modo, ma con la consapevolezza che nessun animale e a nessun’anima è stato comminato alcun male durante la produzione dello spettacolo.
Credo che oggi ci sia una generazione molto più abituata a viaggiare tra le densissime liane della elettronica più dura di quel periodo, proprio grazie all’abitudine a consumare elettronica assai più semplice (e fisicamente ristoratrice, devo dire) negli -enne festival o contesti di clubbin’ avanzato che costituiscono la dieta acustica di milioni di ragazz* alle più distanti latitudini.
Basta leggere un buon manuale di storia della disciplina per rendersi conto che oggi non esisterebbe la musica elettronica così tanto amata senza i pionieri di Darmstadt, dello Studio di Fonologia di Milano e dell’IRCAM di Parigi. Ma c’è di più: la trasmigrazione verso l’orecchio di suoni registrati, concreti, provenienti dalle fonti più disparate, è favorita proprio dall’abitudine a frequentare i club, o perlomeno i più sofisticati.
Non mi stupirebbe se la versione attuale di quegli stessi giovani davanti ai quali Luigi Nono pronunciava parole di giusto rimbrotto (I comunisti di allora volevano solo le chitarre e la musica popolare e folk, mentre lui diceva ‘la nostra cultura è anche fatta da questi suoni elettronici, la grande cultura comunista è una cosa seria’… basta mettere ‘cazziatone’ e il suo nome su YouTube per rivederlo…) oggi apprezzassero le irte, ossee, compresse e ululanti bio-lastre sonore di uno dei suoi atti più radicali, la ‘cantata’ per nastri soprano coro clarinetto e trombone percussioni intitolata ‘A floresta è jovem e Cheja de vita’, del 1966, e per l’epoca un esempio impressionante non solo di manipolazione elettronica di un cosmo sonoro ma anche di improvvisazione non notazionale (la partitura non fu mai scritta dal compositore, e se oggi si può eseguire è soltanto per merito di studiosi ostinati che in seguito ne hanno trascritto su spartito la complessa struttura, sulla base delle registrazioni seguite in vita dallo stesso Nono).
Si tratta di una sorta di sinfonia elettroacustica pensata per essere eseguita in modo immersivo attorno allo spettatore, e come sempre in Nono intrisa di profondissime venature politiche: la giungla del titolo è infatti una descrizione di descrizione, totale adesione del materiale sonoro al programma ideale, perché sembra di muoversi in una foresta oscura, minacciata da ogni lato ma anche pullulante di forze irresistibili: erano all’epoca le forze che resistevano all’imperialismo americano in Vietnam, ma anche in Sudamerica, e in generale ad aggredire con urla lastre impervie e parole declamate allungate compresse in volo da ogni dove. Si tratta di vegetazioni storiche, voci come uccelli intrattabili, forze rivoluzionarie semplicemente perché vive. Se un dj mettesse un po’ di bpm e provasse a remixarlo, incontrerebbe un pubblico inatteso, in tutta la sua urticante ferocia