Il 30 giugno 2023 è terminata la prima capsule digitale del Giornale dell’Arte – Nova Express Digital Capsule – pubblicata qui, sei giorni su sette, da maggio 2022.
Nova Express Digital Capsule, a cura di Gianluigi Ricuperati e Maurizio Cilli, è stata il primo esperimento di un prodotto verticale editoriale del Giornale dell’Arte dedicato a rappresentare nuove tendenze e definire e indagare nuovi limiti. Attraverso le voci di grandi intellettuali, intrecciate a una riscoperta e rilettura dell’archivio del mensile ormai quarantennale, Il Giornale dell’Arte ha voluto affermare come la comprensione della contemporaneità sia una questione di punti di vista e della capacità caleidoscopica di tenerli insieme. Grazie a Gianluigi e Maurizio per averci condotto in questo viaggio davvero Nova.
La National Gallery of Scotland espone per la prima volta una stupefacente collezione di opere italiane raccolte fin dalla metà dell’Ottocento da Lord Lindsay e sopravvissuta fino ad oggi quasi intatta in mani private. Dal “Giornale dell’Arte” n. 191, settembre 2000
Timothy Clifford, direttore della National Gallery of Scotland di Edimburgo, e i suoi collaboratori hanno messo a segno un colpo magistrale con l’allestimento della mostra «Un poeta in paradiso: Lord Lindsay e l’arte cristiana» (aperta fino al 19 novembre). Si tratta di una selezione di circa ottanta lavori, in maggioranza dipinti e sculture di primitivi italiani, alcuni manoscritti miniati, una scelta di tessili e maioliche, appartenuti al’ la collezione creata a partire dalla metà del XIX secolo da Lord Alexander William Lindsay (1812-8o).
Anche altri musei hanno allestito mostre che tentavano di ricreare le grandi raccolte del passato accostando ad opere delle proprie collezioni una serie di prestiti, ma in questo caso due fattori rendono l’esposizione un evento: il fatto che una parte cospicua della collezione sia passata senza subire dispersioni nelle mani dei discendenti di Lord Lindsay e il fatto che le opere che la compongono vengano esposte in pubblico per la prima volta.
Alexander William Lindsay era l’incarnazione di un’epoca intrisa del Romanticismo gotico di Walter Scott. Suo padre, settimo conte di Balcarres e ventiquattresimo conte di Crawford, aveva accumulato un’enorme fortuna grazie al carbone, all’acciaio e alle linee ferroviarie. Formatosi tra Eton, il Trinity College e Cambridge, Lord Lindsay fu per tutta la vita un accanito collezionista di libri: la sua biblioteca arrivò a contare 3omila fra libri, manoscritti e incunaboli.
Nel 1901 i manoscritti finirono in blocco alla allora neonata John Rylands Library di Manchester che li ha prestati in occasione della mostra. Nel 1833, alla morte della congiunta Lady Mary Crawford, ereditò anche il patrimonio del di lei fratello, il ventidue simo conte di Crawford deceduto senza discendenza, venendo in possesso di due case, svariati beni mobili, una biblioteca (che aveva sempre sognato) e, particolare che gli cambiò la vita, una fortuna che lo rese economicamente indipendente e gli consentì di realizzare la sua passione per il collezionismo.
Iniziò a viaggiare all’estero; in Italia (si recò a Roma, Firenze, Venezia, Napoli e in ogni altro luogo imposto dalle guide Murray), scoprì i primitivi di cui più tardi avrebbe collezionato le opere: Giotto, Duccio, Orcagna, i Vivarini, Gozzoli, Signorelli, Rosselli, Ghirlandaio e molti altri. All’incirca allo stesso periodo risale la lettura dell’opera, ispirata da Ruskin, De la poesie chrétienne (1836) scritta dal cattolico francese A. F. Rio; l’autore denunciava il paganesimo del Rinascimento maturo ed elogiava il potere spirituale e morale “che scorgeva invece negli artisti tardo gotici e del primo Rinascimento, idee che colpirono Lindsay con la forza di un’esperienza di conversione, guidando le sue scelte collezionistiche e ispirandogli la stesura del suo resoconto storico artistico Profili di storia dell’arte cristiana (1847).
Ed è proprio l’interesse di Lindsay per l’arte cristiana la ragion d’essere della mostra. Lindsay si preoccupò da un lato di giustificare la sua passione romantica per leggende medievali, miracoli e misteri di santi che costituivano il repertorio dei suoi artisti prediletti, senza per questo entrare in merito alla questione più di scussa nella Gran Bretagna dell’Ottocento: la scelta fra cattolicesimo anglicano o romano.
Dei primitivi italiani apprezzava lo spirito religioso puro, ma non per questo prestava fede ai precetti cristiani. Arrivò così ad elaborare una filosofia determinista di evoluzione storica, attraverso cui l’uomo progredisce verso la verità tramite un dialettico antagonismo di mezze verità. Il risultato fu un goffo, se non eccentrico, resoconto sull’arte cristiana; ciononostante raccolse lavori di tutti i più importanti nomi del Tre e Quattrocento (le sue convinzioni teoriche gli impedirono di apprezzare e acquistare capolavori di altre epoche, in particolare opere dei Carracci e di Guido Reni che tra gli anni Cinquanta e Settanta dell’Ottocento passarono sul mercato). Intorno alla metà degli anni Cinquanta comprò una nuova casa a Dunecht, nell’Aberdeenshire, e i suoi interessi si ampliarono, includendo le arti decorative e in modo particolare la maiolica, con molti pezzi presenti in mostra.
La mostra mette in luce l’impostazione religiosa della raccolta, evidenziandone la particolarità rispetto alle più dottrinali ed ecclesiastiche collezioni dei suoi contemporanei Davenport Bromley, Fuller Russel e Gambier Parry, ma soprattutto ci consente di apprezzare un criterio di ricerca collezionistica limitato, in quanto più intellettuale che visivo, ma molto significativo per l’epoca.